2022-10-09
I guerrafondai da tastiera godono delle atrocità come in un videogioco
L’attentato al viadotto ha suscitato l’entusiasmo degli ultrà bellicisti. Che, perso il contatto con la realtà, vedono nel conflitto una lotta tra Bene e Male. Una semplificazione utile a farci digerire altri «sacrifici».Ogni tanto, forse, dovremmo ricordarci che non ci troviamo all’interno di un videogioco, bensì in una realtà che è fatta di carne, sangue e dolore. Ieri è stato colpito un ponte sullo stretto di Kerch, una infrastruttura strategica che unisce Russia e Crimea. Sulle prime, sembrava che si trattasse di una stupefacente mossa ucraina.Oleksiy Danilov, segretario del Consiglio nazionale per la sicurezza e la difesa dell’Ucraina, ha celebrato l’operazione sui social augurando ironicamente buon compleanno a Vladimir Putin. Niente di sorprendente: Danilov è in guerra, è un uomo che combatte per la sua patria contro un nemico che ritiene essere il male assoluto. E contro il male assoluto, si lotta con ogni mezzo necessario. Sconcerta un poco di più che ai festeggiamenti di alcuni ucraini si siano rapidamente uniti vari artiglieri da tastiera di casa nostra. C’è chi ha ribadito gli auguri a Putin, chi ha pubblicato foto del ponte in fiamme accompagnate da battute. Gongolavano, proprio come si gongola dopo aver sterminato un plotone di nemici in un videogame che simula la Seconda guerra mondiale. È accaduto qualcosa di simile anche alla notizia della morte di Darya Dugina, figlia trentenne del filosofo Aleksandr Dugin dilaniata da un ordigno mentre si trovava sull’auto. Era una intellettuale impegnata, una sostenitrice di Putin, ma non comandava un plotone, non era impegnata in prima linea. Quando si è saputo che era stata uccisa, in Italia c’è chi ha speso sorrisi e battutine, chi ha esultato. Curioso destino: subito si è detto che a uccidere Darya erano stati i russi, nell’ambito di una lotta intestina. Poi il New York Times ha svelato che l’attentato è stato concepito da ucraini. Qualcosa di simile è accaduto con l’attacco al ponte: nel pomeriggio di ieri, la presidenza ucraina ha fornito una versione diversa, sostenendo che non si sarebbe trattato di un formidabile successo ucraino, ma di una enigmatica iniziativa russa. I nostri guerrafondai da strapazzo, però, avevano ormai stappato le bottiglie buone. A questi tifosi disumanizzati dall’ideologia non serve ricordare che non siamo in un gioco: sono da tempo obnubilati, credono di trovarsi in prima linea, hanno confuso il divano con il seggiolino di un tank. Tutti gli altri, però, devono disperatamente cercare di mantenere un legame con la vita vera, ricordando a sé stessi quale genere di orrore sia la guerra per augurarsi che finisca il prima possibile. Non si tratta di rinunciare alle proprie convinzioni, o di abbandonare la posizione. Significa restare convinti che un morto sia un morto, russo o ucraino non importa. E che non c’è nulla di onorevole nel godere della fine altrui, specie quando si è spettatori imbelli e non militari che rischiano la pelle. Significa anche riconoscere che l’intreccio dei fatti è meno lineare della narrazione favolistica: di quel che vediamo in tv comprendiamo solo una parte, e molto resta in ombra. Tale consapevolezza, allo stato attuale, dalle nostre parti manca. Questo è il risultato della visione binaria che ci è stata imposta negli ultimi mesi, della divisione fra buoni e cattivi attraverso cui i nostri mezzi di informazione hanno filtrato il racconto degli eventi. Un attento esame di questo schema mentale calato dall’alto dovrebbe portarci a una visione più lucida e meno ipocrita della situazione. Finora ci è stata presentata la seguente lettura: da una parte c’è il nuovo Adolf Hitler, un Grande Satana sterminatore con il volto asiatico di Vladimir Putin. Dall’altra ci sono gli ucraini, candidi difensori della pace e della democrazia, pronti a morire per la difesa dei valori liberali. Ebbene l’attentato alla Dugina e le esplosioni sul ponte illuminano una prospettiva differente. Ci sono forze in campo pronte a tutto per annientarsi reciprocamente. Anche i presunti buoni, poiché si trovano in guerra e non a una cena di gala, sono costretti talvolta a compiere atti orrendi, a uccidere brutalmente, a violare talvolta i diritti umani. Anche loro mentono, anche loro ingannano: non si battono per far trionfare il bene, ma per far prevalere i loro interessi. È inevitabile, dunque, che siano disposti a dare il peggio di sé, come lo sono in alcune circostanze i loro avversari. Qui non si tratta di stabilire chi sia più cattivo o più spietato. Si tratta di comprendere che è la guerra a spingere verso l’abisso, a richiedere l’estremo. Ed è per questo che la guerra sarebbe meglio per tutti se finisse. Solo che non è ancora finita, e non sembra destinata a finire presto. Amara ironia. Ieri, su Repubblica (uno dei giornali più filoucraini che ci siano), Michele Serra notava che in Occidente - a parte il Papa - l’unico ad aver approntato un piano serio per la pace in Ucraina è stato Elon Musk, uno che a volte sembra avere più dimestichezza con i videogame che con il nostro banale mondo di mortali. Serra si chiedeva come fosse possibile, e la risposta, forse, non è nemmeno troppo difficile: ci siamo appunto convinti di stare giocando una partita in un campo dai contorni chiari, con squadre ben distinguibili per le divise che indossano. Come nei videogame. In un videogioco, non importa se la guerra prosegue all’infinito, perché non ci sono conseguenze. Ci sono i buoni contro i cattivi, e i buoni (noi) devono vincere affinché il Bene trionfi. Ma nella realtà non si tratta di far trionfare il Bene. O, meglio, il Bene - per tutti - consisterebbe nell’esaurimento più rapido e dignitoso possibile del conflitto. Nella realtà si cerca sempre una composizione fra interessi radicalmente diversi, e tale composizione potrebbe e dovrebbe essere trovata sul piano politico. Non solo: fra gli interessi da considerare ci sono anche quelli della popolazione italiana a cui si impongono sacrifici in nome di una ricostruzione ipocrita. La domanda è: a che cosa serve il gigantesco videogame sparatutto in cui ci hanno proiettati nostro malgrado (senza voti in Parlamento, tra l’altro)? Ovviamente, serve a convincerci che la guerra deve finire «quando Putin avrà lasciato l’Ucraina», come ha sibillinamente dichiarato Sanna Marin. Che significa? Nulla, se non che il conflitto potrebbe proseguire all’infinito, perché l’obiettivo dichiarato è spazzare via il Nemico Assoluto, e non evitare massacri o apocalissi nucleari. C’è però anche altro: la battaglia immaginaria fra buoni e cattivi serve a dare un orizzonte di significato alle rinunce che siamo costretti a fare. Se c’è da lottare al fianco di San Michele Arcangelo contro il Demonio, è più facile essere pronti a ogni rinuncia, essere disposti a sopportare anche il peggior dolore. Diminuire la temperatura in casa, però, non serve a far vincere i Buoni ucraini contro il malvagio Zar. A dirla tutta non serve nemmeno a sostenere l’interesse ucraino contro quello russo. La croce che portiamo è quella della transizione energetica, appena appesantita dalla guerra che provoca carenza di gas russo. Chi festeggia per gli attentati andati a segno o per i ponti danneggiati (senza nemmeno sapere chi e perché li abbia assaltati), non sta tifando per la squadra del Bene. No, sta facendo casino per distrarre i tifosi avversari mentre l’arbitro venduto scappa con l’incasso della partita. E nello stadio gelido non c’è nemmeno un Di Maio a venderci un panino caldo che ci ristori un po’.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)