2022-01-18
I governatori si svegliano ma il governo no
Stefano Bonaccini e Giovanni Toti (Ansa)
Da Giovanni Toti a Stefano Bonaccini i presidenti di Regione pongono dubbi sul sistema a colori e chiedono anche una revisione dei bollettini e delle regole sulla quarantena. Si scontrano però contro lo zelo chiusurista di Roberto Speranza, da cui anche i suoi ora si dissociano.Per la serie «i grandi risvegli», da trentasei ore si assiste a un piccolo diluvio di dichiarazioni di sottosegretari, consulenti del governo, e soprattutto presidenti di regione, che - sia pur tardivamente - sollecitano un cambiamento delle regole e dell’approccio a questa fase pandemica, clinicamente più leggera ma tuttora sottoposta a un groviglio di limitazioni e quarantene tali da imporre al Paese un lockdown strisciante. A fare muro è però il solito Roberto Speranza, tuttora incapsulato nel suo paradigma chiusurista, e orientato per lo meno a rinviare qualunque alleggerimento. Ecco il ministro della Salute in un’apparente apertura: «Siamo in un picco e l’auspicio è che nei prossimi giorni ci sia un ulteriore raffreddamento della curva, di cui si è visto qualche primissimo segnale». Ma subito dopo arriva la frenata: «Penso che dobbiamo guardare al domani, ma con piedi radicati nell’oggi». Il massimo concesso da Speranza è il solito tavolo: «Nelle prossime settimane dovremo aprire un confronto con le regioni: apriremo un tavolo tecnico per affrontare le questioni che hanno proposto». E poi ancora toni piuttosto cupi, appena mitigati dalle consuete giaculatorie sul vaccino: «Ho sentito spesso banalizzazioni, come il Covid pari a una influenza, ma con tre dosi di vaccino penso che Omicron sia molto più debole e ci siano poche possibilità di intensiva. Il Covid non è né un raffreddore né un’influenza, ma il vaccino ci consente di fare cose che prima non potevamo fare». Palla lunga, in ogni caso. A fronte di questo muro, vale la pena di ricapitolare le sollecitazioni delle regioni. Stefano Bonaccini, governatore emiliano-romagnolo, pone dubbi sul sistema a colori: «Credo sia giunto il tempo di discutere se abbia ancora senso». Bonaccini chiede anche una revisione dei bollettini («Registriamo molti più contagi rispetto a un anno fa, ma meno decessi e ricoveri. Credo sia giusto scorporare dai ricoveri Covid quelli di pazienti che entrano in ospedale per altre patologie, che successivamente risultano positivi pur non avendo sintomi») e delle regole sulla quarantena («Quel che è certo è che vanno semplificate perché siano meglio comprese, e soprattutto perché le persone che stanno bene possano uscire da isolamenti e quarantene nei tempi previsti»).Stessi toni da parte di Giovanni Toti, che chiede di focalizzarsi sui sintomatici: «È cambiato il Covid e bisogna cambiare sia gli strumenti con cui lo analizziamo e lo governiamo, sia ancora prima l’approccio. È l’ora di fare reset su una normativa che noi per primi abbiamo contribuito a creare in questi due anni, ma che è superata dalla realtà. Contiamo solo i malati sintomatici e basta con le zone a colori e i tamponi che imprigionano le persone a casa, anche se stanno bene o, peggio ancora, solo perché hanno contatti».Dalle stanze accanto a quella di Speranza giungono ulteriori dichiarazioni di disponibilità, in parziale controtendenza con quelle del titolare del ministero. Se l’altro ieri era stato il turno del sottosegretario Pierpaolo Sileri, ieri è toccato ad Andrea Costa: «Basta tamponi agli asintomatici, basta scuole chiuse anche nei comuni in zona rossa, basta bollettini con l’elenco generico dei contagiati. D fronte ad una platea che per l’80% si è vaccinata, credo che la scuola in presenza debba essere una garanzia a prescindere. I cittadini sono stanchi e stremati. L’Italia a colori è stato indubbiamente un sistema utile e condiviso con le Regioni, ed è fondamentale continuare in questo percorso condiviso. Ma anche sull’Italia a colori credo che una riflessione possa essere assolutamente fatta perché è giusto, davanti ad un 90% di italiano vaccinati, dare delle prospettive a chi ha fatto il proprio dovere da due anni». Certo, resta una sensazione di amaro in bocca per almeno tre ragioni. La prima: tutte queste voci che ora chiedono alleggerimenti erano le stesse che, fino a un paio di giorni fa, erano allineatissime al protocollo-Speranza. Se ci fosse stato meno zelo chiusurista, in primo luogo da parte dei governatori, forse già oggi saremmo in una situazione molto diversa. La seconda: è per lo meno fastidioso che le autorità politiche e sanitarie vadano in tv e sui giornali a descrivere i problemi (spesso da loro stessi creati o aggravati), e in ultima analisi a raccontare agli italiani ciò che è già davanti ai loro occhi. Il compito della politica non è commentare (e inseguire), ma risolvere (e possibilmente anticipare).La terza: gli stessi invocati cambiamenti sembrano differiti nel tempo ancora di una o due settimane. Ma considerando che ci sono ben 2,5 milioni di italiani bloccati perché positivi (più i relativi contatti, variamente soggetti a limitazioni), attendere altri 7 o 14 giorni significa rischiare di far crescere quel numero a livelli letteralmente insostenibili per la nostra economia.