2019-02-05
I giudici puniscono i contratti capestro delle coop rosse
Stipendi più bassi e una mensilità in meno: così le holding di sinistra sfruttano i lavoratori. Migliaia di cause in arrivo.Sono già tre i giudici del lavoro (Bologna, Rimini e Padova) che hanno stabilito che le cooperative rosse che operano nel mondo degli appalti di igiene urbana, tra l'Emilia Romagna e il Veneto, applicano ai loro soci-lavoratori contratti capestro. Contratti che prevedono stipendi più bassi nell'ordine di 400-500 euro al mese e una mensilità in meno (la quattordicesima) rispetto a quello nazionale di categoria.Finora i dipendenti che hanno ottenuto giustizia in un'aula di tribunale sono una dozzina, ma potenzialmente quelli interessati sono molti di più. Almeno un migliaio nella sola Emilia Romagna, dove i servizi di raccolta dei rifiuti sono appaltati dalla multiutility Hera, una Spa con capitale misto pubblico-privato, quotata in Borsa e controllata da un patto di sindacato di 118 amministrazioni locali. Proprio la holding, che si occupa anche di risorse idriche ed energia elettrica in diverse regioni del Nord Italia, è stata condannata dal giudice del lavoro di Bologna, Carlo Sorgi, al pagamento in solido delle «eventuali differenze retributive» a favore del lavoratore, G. M. S., insieme al raggruppamento di imprese vincitrici dell'appalto per la raccolta rifiuti nella provincia di Bologna, la coop La Fraternità e il consorzio Stabil e.co.bi. Ciò significa che il magistrato ha ritenuto la Hera inadempiente sul fronte del controllo - previsto dal nuovo codice degli appalti - della regolarità contrattuale dei lavori. Il magistrato le ha inflitto, inoltre, il pagamento pure delle spese di giudizio per la chiamata in causa, dichiarata nulla, di un'altra cooperativa sulla quale la holding avrebbe voluto far cadere l'onere a sé spettante. La sentenza del tribunale del capoluogo emiliano, che è un po' il dispositivo apripista su questo tema, impone alla cooperativa La Fraternità di inquadrare il socio-lavoratore G. M. S. secondo il contratto nazionale Fibe (oggi Utilitalia) e non sulla base di quello delle cooperative sociali, a cui era stato sottoposto fin dall'assunzione, che prevede minori garanzie anche di natura previdenziale. Il ragionamento della toga è particolarmente severo nei confronti delle coop rosse che usano questo escamotage per abbattere i costi e risparmiare sul piano fiscale. «Che le società cooperative possano e debbano partecipare a ogni gara come previsto anche dal codice degli appalti è fuori discussione, quello che non è possibile consentire è che in nome di benefici, accordati per tutt'altre finalità, possano offrire servizi a prezzi non concorrenziali pagando i propri lavoratori meno degli altri». Il giudice contesta anche la linea difensiva di Hera, e scrive: «L'altro argomento offerto in sede di discussione da Hera sui prezzi offerti ai propri clienti-utenti, consentiti in termini contenuti solo per il costo del lavoro concorrenziale (in sostanza, pagando di più i lavoratori, i costi dei propri servizi risulterebbero maggiorati a scapito degli utenti che pagherebbero tariffe maggiori)... si osserva che ci sono molti metodi per ridurre i propri costi, e non si comprende perché solo il sistema che introduce nella sostanza dumping contrattuale possa essere ritenuto praticabile, a parte profili di illegittimità del metodo evidenziati in precedenza». L'obbligo di regolarizzare sulla base del contratto nazionale di categoria è previsto, peraltro, nero su bianco, sia nel protocollo d'intesa sugli appalti del gruppo Hera sia nel protocollo regionale tra i sindacati più rappresentativi e l'Atersir, l'agenzia territoriale dell'Emilia Romagna per i servizi idrici e di igiene ambientale. Dunque, nessuno poteva obiettare di non sapere. La sentenza di Rimini e quella di Padova, che ricalcano la traccia indicata dal giudice di Bologna, hanno visto prevalere le ragioni dei dipendenti - rispettivamente - delle coop 134 e Il Grillo con liquidazioni delle differenze retributive che saranno valutate successivamente e con l'obbligo, anche per loro, di essere inquadrati secondo i parametri stipendiali e previdenziali del contratto Utilitalia. Ma è quasi tutto il comparto che funziona con accordi al ribasso. E venti di protesta arrivano anche dalla provincia di Imperia dove, nei giorni scorsi, i sindacati hanno chiesto al prefetto un Osservatorio sui profili contrattuali applicati nel settore ambiente. Sul mancato inquadramento dei lavoratori nel contratto di categoria Utilitalia è in trincea, da oltre un anno ormai, il capogruppo del gruppo consiliare La Pigna di Ravenna, Veronica Verlicchi. Prima con una mozione e poi con un ordine del giorno, la combattiva consigliera comunale ha chiesto al sindaco di «attivarsi, sia in qualità di azionista di Hera Spa... e sia come membro effettivo del consiglio Atersir», affinché le cooperative sociali applichino ai lavoratori il contratto corretto e «corrispondano... le differenze retributive incrementando gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto». E questo considerando il non trascurabile dettaglio che «nella tassa rifiuti (Tari) è previsto il costo lordo del lavoro del contratto Fise-Utilitalia, la cui non applicazione si traduce, di fatto, in una penalizzazione per i contribuenti ravennati e per i lavoratori delle cooperative sociali, oltre che in un indebito vantaggio per Hera SpA e per le cooperative sociali». Che vedono i loro bilanci gonfiarsi anno dopo anno. La consigliera ha inoltre firmato un esposto inviato al ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, alla Guardia di finanza, all'Ispettorato del Lavoro e alle sedi Inps di Ravenna, Rimini e Forlì.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)