2021-05-31
I drogati del Covid. Le nuove dipendenze provocate dalla pandemia
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Finita la pandemia torneremo meglio di prima, o mai come prima? Il Covid ha lasciato una traccia profonda in tutti gli italiani, anche in quelli che non sono rimasti contagiati. Prima il lockdown «duro», poi le lente e graduali riaperture che ci hanno traghettati verso un'estate nella quale abbiamo cercato (invano) di lasciarci alle spalle il dramma vissuto in primavera. Giusto il tempo di riaprire le scuole, ed ecco che il Covid ci ha nuovamente aggrediti alle spalle. Il coprifuoco e il sistema a colori hanno completato l'opera, facendoci ripiombare in un periodo di insicurezza e precarietà. «L'impatto dell'epidemia sulla società italiana è stato molto ampio, principalmente sul piano sanitario, e poi sul piano economico, su quello sociale e, non ultimo, su quello psicologico», recita il rapporto Gli italiani e il Covid pubblicato dalla Fondazione Italia in salute. La parola d'ordine è una sola: paura. Di uscire di casa, di frequentare amici e parenti, perfino di avventurarsi a fare una passeggiata in solitaria. Sette italiani su dieci (71%), rivela il Rapporto, hanno ridotto spontaneamente qualsiasi uscita con altre persone, e quasi la stessa percentuale (69,4%) ha rinunciato a invitare persone a casa propria. Il 63,3% degli intervistati evita di prendere i mezzi pubblici, mentre il 59,3% ha ridotto spontaneamente qualsiasi tipo di viaggio e di spostamento. È in controluce ai cambiamenti nei comportamenti che si leggono i contorni di un malessere generale: aumento del nervosismo e dello stress (49,1%), diminuzione o stop dell'attività fisica (43,9%), disturbi del sonno (28,8%), malesseri psicologici e insofferenza alle restrizioni (27,1%), alimentazione sregolata (25,7%), sintomi di depressione (16,5%). Effetti che colpiscono in maniera maggiore i giovani, le donne, e le persone con un livello di istruzione più elevato. Sono queste categorie ad aver sofferto di più di quello che potremmo definire il «mal di Covid».
Più tempo passato in cucina meno per sentirsi in colpa
Palestre chiuse, fornelli accesi. La serrata provocata dalla pandemia da coronavirus ha inevitabilmente cambiato, in peggio, le abitudini alimentari degli italiani. Secondo un'analisi della Coldiretti realizzata in occasione del World obesity day qualche settimana fa, il lockdown prolungato ha fatto ingrassare più di quattro italiani su dieci (44%). Più tempo dedicato alla cucina, meno alla forma fisica, naturalmente anche per colpa delle restrizioni alle libertà personali. Non va dimenticato, infatti, che durante il lockdown della primavera 2020 era vietato anche fare jogging e attività fisica all'aria aperta. «Computer, divano e tavola hanno, infatti, tenuto lontano dal moto e dallo sport», osserva Coldiretti, «addirittura oltre la metà (53%) degli italiani. Con un corrispondente tripudio del cosiddetto «comfort food», cioè cibo ricco di calorie che se da un lato aiuta a tirare su il morale, dall'altro rappresenta una «ordalia di zuccheri, grassi e carboidrati». Le vendite di pane, cracker, grissini, pasta, impasti base e pizze, dolci, olio per frittura e piatti pronti hanno fatto registrare crescite spesso a doppia cifra. Una situazione che ha colpito in maggior misura le persone già obese e collocate in smart working o in cassa integrazione, quindi costrette a restare a lungo a casa. Secondo una ricerca della Fondazione Adi dell'Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica, questi soggetti hanno subito un aumento medio pari a ben 4 chilogrammi, con inevitabili e gravi ricadute sulla propria salute.
Sempre connessi, più insoddisfatti, cyberbullismo boom
Ubriachi di internet. Privati della scuola e delle occasioni di incontro con i propri coetanei, i ragazzi non hanno avuto alternative e si sono attaccati alla Rete. L'indagine «L'adolescenza ai tempi della pandemia», condotta da Skuola.net e università di Firenze nell'aprile 2020, ha chiarito i termini di questa sbornia digitale. Un ragazzo su quattro sempre connesso durante il lockdown, era appena il 7% prima della quarantena. Ma è aumentato in generale il numero di ore trascorso di fronte allo schermo: più di uno su due (54%) rimane incollato al monitor dalle 5 alle 10 ore (contro il 23% pre-pandemia). Complessivamente, il 79% ha trascorso in clausura più di 5 ore al giorno, contro il 30% di gennaio 2020. Troppe, non tanto per gli occhi quanto per la mente e la socialità. Raddoppiata, secondo lo studio pubblicato ai primi di maggio dalla Fondazione Foresta onlus di Padova, la percentuale di giovani che si affidano a siti di incontri (10% nel 2020-21 contro il 5% dei due anni prima), delle ragazze che si collegano abitualmente a siti pornografici (30% contro il 15% del biennio precedente), ma anche dei ragazzi che dichiarano insoddisfatti della propria vita (19% contro 10%). Allarmante, infine, l'esplosione del cyberbullismo, che ormai interessa il 40% delle ragazze e il 25% dei ragazzi.
Numero verde intasato da giocatori in crisi d'astinenza
Le stime ufficiali dicono che durante la pandemia la pratica del gioco d'azzardo è diminuita. Sulla tendenza generale ha influito, ovviamente, la chiusura dei punti fisici come casinò e sale da gioco. Ma il numero non deve trarre in inganno, perché l'andamento in realtà è stato variabile in funzione del periodo preso in considerazione. Uno studio condotto dall'Istituto superiore di sanità in collaborazione con l'Istituto Mario Negri, l'Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica (Ispro), l'università di Pavia e l'università Vita salute San Raffaele di Milano, i cui risultati sono stati resi noti a febbraio, ha preso in esame l'abitudine al gioco degli italiani. È emerso che durante il lockdown «duro» (aprile-maggio 2020) il gioco d'azzardo nelle sale è diminuito, mentre durante le restrizioni parziali (novembre-dicembre) è aumentato. Secondo le stime di Assoutenti, il Web fa segnare una crescita delle giocate: il 33,8% degli intervistati ha aumentato le occasioni di gioco nel 2020, e l'11,3% ha iniziato questa modalità durante l'isolamento. Come inquietante rovescio della medaglia, informa l'Iss, sono aumentate le chiamate al numero verde dedicato (800-558822) da parte di ludopatici in crisi di astinenza.
Con i bar chiusi è scoppiata la moda degli aperitivi digitali
Costretti in casa dal lockdown, gli italiani hanno alzato il gomito. L'allarme è stato lanciato dall'Istituto superiore di sanità lo scorso 14 aprile in occasione dell'Alcohol prevention day. Nonostante i dati completi sui consumi dell'anno scorso non siano ancora disponibili, la tendenza è chiara: nel 2020 l'home delivery ha fatto registrare un incremento compreso tra il 181% e il 250%. Merito dei «nuovi canali alternativi» di vendita, come quelli online e di e-commerce, purtroppo «meno controllati rispetto al divieto di vendita ai minori». Ma il trend ha riguardato anche i negozi fisici. Secondo i dati Iri, nel 2020 nella grande distribuzione sono cresciute le vendite di vino (+5,6%), spumanti (+6,7%), aperitivi (+23,8%) e birra (+10,7%). L'abitudine apparentemente innocua dei brindisi virtuali si è rivelata deleteria. «L'isolamento ha favorito un incremento di consumo incontrollato anche favorito da aperitivi digitali sulle chat e sui social network», scrive l'Iss, «spesso in compensazione della tensione conseguente all'isolamento, alle problematiche economiche, lavorative, relazionali e dei timori diffusi nella popolazione resa sicuramente più fragile dalla pandemia». Un primo dato parziale rivela l'incremento del 23,6% del consumo a rischio tra i maschi e del 9,7% tra le femmine, con il preoccupante sorpasso delle 14-17enni rispetto ai loro coetanei maschi. Risultato? I centri di alcologia e i dipartimenti per le dipendenze e la salute mentale hanno fatto registrare una «crescita di difficile gestione prima, durante e dopo i lockdown».
La tensione cancellata dai famaci, mentre lo spaccio si sposta online
Stressati dalle preoccupazioni quotidiane legate alla pandemia, gli italiani si sono aggrappati ai farmaci. Stando ai dati diffusi dall'Agenzia italiana del farmaco (Aifa), nel 2020 il consumo di ansiolitici è aumentato del 12%. L'incremento ha riguardato soprattutto le regioni del Centro, con picchi nelle Marche (+ 68%) e in Umbria (+ 73%). Paradossalmente, fa notare l'Aifa, «la cosiddetta fase 2 dell'epidemia ha visto aumentare l'acquisto di ansiolitici in misura maggiore rispetto all'incremento già osservato durante la prima fase». Come se, dopo essere rimasti due mesi e mezzo chiusi in casa, a preoccupare gli italiani sia stato proprio il ritorno alla normalità. Diminuisce, almeno sulla carta, il consumo di droghe, specie quelle pesanti. A influenzare il calo dello spaccio ci hanno pensato le restrizioni alla mobilità, mentre la chiusura dei locali ha comprensibilmente avuto un impatto positivo sulle sostanze consumate nei locali, la cui quantità è drasticamente diminuita. Non c'è molto da esultare, comunque. Questo scenario, spiega l'Istituto superiore di sanità, «apre all'ipotesi che i consumatori di sostanze d'abuso si stiano rivolgendo al mercato illecito presente nel "dark Web" (ovvero la Rete sommersa raggiungibile solo con specifici software, ndr), per procurarsi droghe classiche come la cocaina, l'hashish o l'eroina».Quanto al fumo, l'Istituto superiore di sanità ha rilevato che, durante l'isolamento, erano diminuiti i fumatori di sigarette ma chi non ha smesso ha fumato di più, soprattutto donne. In crescita anche il fumo di sigarette elettroniche.
«Quanta crudeltà con gli studenti a casa»
Dalla pandemia gli italiani usciranno profondamente cambiati: Paolo Crepet racconta questa trasformazione. Lo psichiatra e sociologo ha dedicato al tema il libro Oltre la tempesta, edito appena pochi giorni fa da Mondadori.
Come usciamo da questa pandemia?
«Qualcuno con le ossa rotte. Penso ai giovani, che sento tutti i giorni, e sono testimone di quanta crudeltà è stata usata nei loro confronti».
C'entra anche la didattica a distanza?
«C'entra solo la Dad, vero strumento di tortura».
C'erano alternative?
«Certo, e in tutta Europa le hanno trovate. Noi, invece, abbiamo costretto i ragazzi a stare chiusi in casa, a mangiare, annoiarsi e accumulare buchi formativi. Se qualcuno provasse a dire che si va avanti con la Dad, mi aspetterei una rivolta dell'opinione pubblica».
Non ci scommetterei…
«La Dad l'avrà pur voluta qualcuno. Non ho visto insegnanti davanti ai cancelli per riaprire le scuole. È comoda la Dad: risparmi benzina, non bestemmi per il parcheggio, puoi anche fare il sugo a casa...».
Un'immagine dei ragazzi che l'ha particolarmente colpita in questo periodo.
«Ho visto con i miei occhi giovani chiusi in soffitta. Ha presente dove mettiamo l'aceto balsamico? Le persone non funzionano come dicono i virologi, personaggi che hanno sempre tenuto banco. Magari capiranno pure di linfociti T, certo non di persone».
In tv non si sono visti molti psichiatri e psicologi.
«Zero. Ma guardi, nemmeno un prete, che sicuramente di persone ne capisce più di un qualsiasi virologo».
Cosa dice ai ragazzi oggi che le restrizioni si allentano?
«Che devono soffrire, tenere duro per un'altra settimana. Finito questo bombardamento di verifiche e scrutini, che vadano a fare il bagno al mare e falò sulla spiaggia».
Finalmente, forse, troveranno sollievo.
«Ho trovato cinicamente e diabolicamente offensivo credere di risolvere questa situazione distribuendo psicologi dalle Alpi a Lampedusa. C'è da vergognarsi. È la dottrina Macron: prima fai il danno e poi regali dieci sedute da uno psicologo. Che facciamo, dopo averli danneggiati li prendiamo anche per il culo? Per poi magari farli seguire da una neolaureata. Se i miei 40 anni di esperienza non sono sufficienti, figuriamoci il neolaureato».
Nel suo libro parla di cicatrice: quella dei giovani guarirà mai?
«No, ai ragazzi la cicatrice non andrà via. Ma al ministero sanno che fino a poco tempo fa i reparti di neuropsichiatria infantile erano pieni? Vorrà pur dire qualcosa, o no? L'intelligenza non sta nel guardare quel che accade, ma nel prevedere ciò che accadrà. Il problema non è l'amministrazione del qui e ora, ma il futuro».
E invece abbiamo passato il tempo a gestire l'urgenza.
«Non avevamo nessuna urgenza perché la scuola era chiusa. La gatta frettolosa fa nascere i gattini ciechi. Abbiamo sprecato un anno stupendo per rimettere a posto le cose che non vanno nel nostro Paese. Ha per caso visto una riforma della scuola?».
Che conseguenze ci saranno per i più piccoli?
«Bisognerà vedere cosa diamo loro. La decadenza della pedagogia italiana non è frutto della pandemia, ma dal calo del quoziente intellettivo delle risorse coinvolte. Non dimentichiamo che un ministro voleva obbligare gli studenti a usare il tablet. “Online brain": tutto ciò che viene prodotto, o meglio non prodotto, da un cervello che rimane tutto il giorno attaccato a uno schermo. Ovvero una sindrome molto simile alla demenza. Questo fenomeno non nuovo, negli ultimi tempi è peggiorato: incapacità a concentrarsi, perdita della memoria a breve termine, depressione, ira… Tutte manifestazioni che le famiglie conoscono benissimo. I risultati sono catastrofici, ma chi comanda sembra non vederlo».
Perché?
«Perché dietro ci sono interessi che riguardano giganteschi gruppi editoriali, e la Silicon Valley che fa lavoro di lobbying, interessata che tutti possiedano un dispositivo elettronico».
Nessuno si è opposto nemmeno a un'altra trasformazione epocale, lo smart working.
«Che è peggio della Dad. Li ha sentiti i virologi parlare di queste cose? Loro contano le cellule e i morti, questo è il loro lavoro».
A proposito di morti: in Italia ne abbiamo avuti tanti.
«Guardi come abbiamo trattato i vecchi, che insulto alla civiltà! Qualcuno mi dica perché sono morti questi anziani. C'è un'inchiesta per accertare le responsabilità? Si potevano evitare? Certo! E invece vedrà che finita la pandemia ci saranno pure le celebrazioni. Non si può scaricare la colpa di tutto questo sulle Regioni!».
E invece per un anno si è andati avanti così.
«Se il ministro Roberto Speranza si fosse dimesso avrebbe compiuto un bel gesto. E invece tutti a difenderlo, perché è una gamba del tavolino, se la togli cade il governo. Sa che cosa succederà adesso?».
Cosa?
«Aumenteranno i morti per tumore. Anche questo era prevedibile, visto che si è bloccato lo screening. E chi paga per questi altri morti? Se non hai ambulatori sul territorio e una medicina sganciata dagli ospedali succede questo. Un conto è che questo discorso arrivi da chi ha in mano gli ospedali privati, ma il governo deve fare gli interessi degli italiani».
C'è qualcosa «oltre la tempesta»?
«Tante possibilità. Persone che si adattano e ricominceranno come prima, ma anche persone coraggiose che vorranno battersi per cambiare le cose.
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Riduci
Anche i sani sono rimasti contagiati dalle conseguenze psicologiche del lockdown: paura di frequentare persone e uscire di casa, più stress, meno esercizio fisico. E disturbi del comportamento che mettono in allarme.Lo psichiatra Paolo Crepet: «La didattica a distanza è uno strumento di tortura, in Europa hanno trovato altre soluzioni, noi abbiamo costretto i ragazzi a rinchiudersi. Lo smart working? È pure peggio. E il modo in cui abbiamo trattato gli anziani è un insulto alla civiltà»Lo speciale contiene sette articoli.Finita la pandemia torneremo meglio di prima, o mai come prima? Il Covid ha lasciato una traccia profonda in tutti gli italiani, anche in quelli che non sono rimasti contagiati. Prima il lockdown «duro», poi le lente e graduali riaperture che ci hanno traghettati verso un'estate nella quale abbiamo cercato (invano) di lasciarci alle spalle il dramma vissuto in primavera. Giusto il tempo di riaprire le scuole, ed ecco che il Covid ci ha nuovamente aggrediti alle spalle. Il coprifuoco e il sistema a colori hanno completato l'opera, facendoci ripiombare in un periodo di insicurezza e precarietà. «L'impatto dell'epidemia sulla società italiana è stato molto ampio, principalmente sul piano sanitario, e poi sul piano economico, su quello sociale e, non ultimo, su quello psicologico», recita il rapporto Gli italiani e il Covid pubblicato dalla Fondazione Italia in salute. La parola d'ordine è una sola: paura. Di uscire di casa, di frequentare amici e parenti, perfino di avventurarsi a fare una passeggiata in solitaria. Sette italiani su dieci (71%), rivela il Rapporto, hanno ridotto spontaneamente qualsiasi uscita con altre persone, e quasi la stessa percentuale (69,4%) ha rinunciato a invitare persone a casa propria. Il 63,3% degli intervistati evita di prendere i mezzi pubblici, mentre il 59,3% ha ridotto spontaneamente qualsiasi tipo di viaggio e di spostamento. È in controluce ai cambiamenti nei comportamenti che si leggono i contorni di un malessere generale: aumento del nervosismo e dello stress (49,1%), diminuzione o stop dell'attività fisica (43,9%), disturbi del sonno (28,8%), malesseri psicologici e insofferenza alle restrizioni (27,1%), alimentazione sregolata (25,7%), sintomi di depressione (16,5%). Effetti che colpiscono in maniera maggiore i giovani, le donne, e le persone con un livello di istruzione più elevato. 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Più tempo dedicato alla cucina, meno alla forma fisica, naturalmente anche per colpa delle restrizioni alle libertà personali. Non va dimenticato, infatti, che durante il lockdown della primavera 2020 era vietato anche fare jogging e attività fisica all'aria aperta. «Computer, divano e tavola hanno, infatti, tenuto lontano dal moto e dallo sport», osserva Coldiretti, «addirittura oltre la metà (53%) degli italiani. Con un corrispondente tripudio del cosiddetto «comfort food», cioè cibo ricco di calorie che se da un lato aiuta a tirare su il morale, dall'altro rappresenta una «ordalia di zuccheri, grassi e carboidrati». Le vendite di pane, cracker, grissini, pasta, impasti base e pizze, dolci, olio per frittura e piatti pronti hanno fatto registrare crescite spesso a doppia cifra. Una situazione che ha colpito in maggior misura le persone già obese e collocate in smart working o in cassa integrazione, quindi costrette a restare a lungo a casa. Secondo una ricerca della Fondazione Adi dell'Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica, questi soggetti hanno subito un aumento medio pari a ben 4 chilogrammi, con inevitabili e gravi ricadute sulla propria salute. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-drogati-del-covid-le-nuove-dipendenze-provocate-dalla-pandemia-2653156812.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="sempre-connessi-piu-insoddisfatti-cyberbullismo-boom" data-post-id="2653156812" data-published-at="1622402796" data-use-pagination="False"> Sempre connessi, più insoddisfatti, cyberbullismo boom Ubriachi di internet. Privati della scuola e delle occasioni di incontro con i propri coetanei, i ragazzi non hanno avuto alternative e si sono attaccati alla Rete. L'indagine «L'adolescenza ai tempi della pandemia», condotta da Skuola.net e università di Firenze nell'aprile 2020, ha chiarito i termini di questa sbornia digitale. Un ragazzo su quattro sempre connesso durante il lockdown, era appena il 7% prima della quarantena. Ma è aumentato in generale il numero di ore trascorso di fronte allo schermo: più di uno su due (54%) rimane incollato al monitor dalle 5 alle 10 ore (contro il 23% pre-pandemia). Complessivamente, il 79% ha trascorso in clausura più di 5 ore al giorno, contro il 30% di gennaio 2020. Troppe, non tanto per gli occhi quanto per la mente e la socialità. Raddoppiata, secondo lo studio pubblicato ai primi di maggio dalla Fondazione Foresta onlus di Padova, la percentuale di giovani che si affidano a siti di incontri (10% nel 2020-21 contro il 5% dei due anni prima), delle ragazze che si collegano abitualmente a siti pornografici (30% contro il 15% del biennio precedente), ma anche dei ragazzi che dichiarano insoddisfatti della propria vita (19% contro 10%). Allarmante, infine, l'esplosione del cyberbullismo, che ormai interessa il 40% delle ragazze e il 25% dei ragazzi. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-drogati-del-covid-le-nuove-dipendenze-provocate-dalla-pandemia-2653156812.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="numero-verde-intasato-da-giocatori-in-crisi-d-astinenza" data-post-id="2653156812" data-published-at="1622402796" data-use-pagination="False"> Numero verde intasato da giocatori in crisi d'astinenza Le stime ufficiali dicono che durante la pandemia la pratica del gioco d'azzardo è diminuita. Sulla tendenza generale ha influito, ovviamente, la chiusura dei punti fisici come casinò e sale da gioco. Ma il numero non deve trarre in inganno, perché l'andamento in realtà è stato variabile in funzione del periodo preso in considerazione. Uno studio condotto dall'Istituto superiore di sanità in collaborazione con l'Istituto Mario Negri, l'Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica (Ispro), l'università di Pavia e l'università Vita salute San Raffaele di Milano, i cui risultati sono stati resi noti a febbraio, ha preso in esame l'abitudine al gioco degli italiani. È emerso che durante il lockdown «duro» (aprile-maggio 2020) il gioco d'azzardo nelle sale è diminuito, mentre durante le restrizioni parziali (novembre-dicembre) è aumentato. Secondo le stime di Assoutenti, il Web fa segnare una crescita delle giocate: il 33,8% degli intervistati ha aumentato le occasioni di gioco nel 2020, e l'11,3% ha iniziato questa modalità durante l'isolamento. 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Nonostante i dati completi sui consumi dell'anno scorso non siano ancora disponibili, la tendenza è chiara: nel 2020 l'home delivery ha fatto registrare un incremento compreso tra il 181% e il 250%. Merito dei «nuovi canali alternativi» di vendita, come quelli online e di e-commerce, purtroppo «meno controllati rispetto al divieto di vendita ai minori». Ma il trend ha riguardato anche i negozi fisici. Secondo i dati Iri, nel 2020 nella grande distribuzione sono cresciute le vendite di vino (+5,6%), spumanti (+6,7%), aperitivi (+23,8%) e birra (+10,7%). L'abitudine apparentemente innocua dei brindisi virtuali si è rivelata deleteria. «L'isolamento ha favorito un incremento di consumo incontrollato anche favorito da aperitivi digitali sulle chat e sui social network», scrive l'Iss, «spesso in compensazione della tensione conseguente all'isolamento, alle problematiche economiche, lavorative, relazionali e dei timori diffusi nella popolazione resa sicuramente più fragile dalla pandemia». Un primo dato parziale rivela l'incremento del 23,6% del consumo a rischio tra i maschi e del 9,7% tra le femmine, con il preoccupante sorpasso delle 14-17enni rispetto ai loro coetanei maschi. Risultato? I centri di alcologia e i dipartimenti per le dipendenze e la salute mentale hanno fatto registrare una «crescita di difficile gestione prima, durante e dopo i lockdown». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem5" data-id="5" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-drogati-del-covid-le-nuove-dipendenze-provocate-dalla-pandemia-2653156812.html?rebelltitem=5#rebelltitem5" data-basename="la-tensione-cancellata-dai-famaci-mentre-lo-spaccio-si-sposta-online" data-post-id="2653156812" data-published-at="1622402796" data-use-pagination="False"> La tensione cancellata dai famaci, mentre lo spaccio si sposta online Stressati dalle preoccupazioni quotidiane legate alla pandemia, gli italiani si sono aggrappati ai farmaci. Stando ai dati diffusi dall'Agenzia italiana del farmaco (Aifa), nel 2020 il consumo di ansiolitici è aumentato del 12%. L'incremento ha riguardato soprattutto le regioni del Centro, con picchi nelle Marche (+ 68%) e in Umbria (+ 73%). Paradossalmente, fa notare l'Aifa, «la cosiddetta fase 2 dell'epidemia ha visto aumentare l'acquisto di ansiolitici in misura maggiore rispetto all'incremento già osservato durante la prima fase». Come se, dopo essere rimasti due mesi e mezzo chiusi in casa, a preoccupare gli italiani sia stato proprio il ritorno alla normalità. Diminuisce, almeno sulla carta, il consumo di droghe, specie quelle pesanti. A influenzare il calo dello spaccio ci hanno pensato le restrizioni alla mobilità, mentre la chiusura dei locali ha comprensibilmente avuto un impatto positivo sulle sostanze consumate nei locali, la cui quantità è drasticamente diminuita. Non c'è molto da esultare, comunque. Questo scenario, spiega l'Istituto superiore di sanità, «apre all'ipotesi che i consumatori di sostanze d'abuso si stiano rivolgendo al mercato illecito presente nel "dark Web" (ovvero la Rete sommersa raggiungibile solo con specifici software, ndr), per procurarsi droghe classiche come la cocaina, l'hashish o l'eroina».Quanto al fumo, l'Istituto superiore di sanità ha rilevato che, durante l'isolamento, erano diminuiti i fumatori di sigarette ma chi non ha smesso ha fumato di più, soprattutto donne. 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C'erano alternative? «Certo, e in tutta Europa le hanno trovate. Noi, invece, abbiamo costretto i ragazzi a stare chiusi in casa, a mangiare, annoiarsi e accumulare buchi formativi. Se qualcuno provasse a dire che si va avanti con la Dad, mi aspetterei una rivolta dell'opinione pubblica». Non ci scommetterei… «La Dad l'avrà pur voluta qualcuno. Non ho visto insegnanti davanti ai cancelli per riaprire le scuole. È comoda la Dad: risparmi benzina, non bestemmi per il parcheggio, puoi anche fare il sugo a casa...». Un'immagine dei ragazzi che l'ha particolarmente colpita in questo periodo. «Ho visto con i miei occhi giovani chiusi in soffitta. Ha presente dove mettiamo l'aceto balsamico? Le persone non funzionano come dicono i virologi, personaggi che hanno sempre tenuto banco. Magari capiranno pure di linfociti T, certo non di persone». In tv non si sono visti molti psichiatri e psicologi. «Zero. Ma guardi, nemmeno un prete, che sicuramente di persone ne capisce più di un qualsiasi virologo». Cosa dice ai ragazzi oggi che le restrizioni si allentano? «Che devono soffrire, tenere duro per un'altra settimana. Finito questo bombardamento di verifiche e scrutini, che vadano a fare il bagno al mare e falò sulla spiaggia». Finalmente, forse, troveranno sollievo. «Ho trovato cinicamente e diabolicamente offensivo credere di risolvere questa situazione distribuendo psicologi dalle Alpi a Lampedusa. C'è da vergognarsi. È la dottrina Macron: prima fai il danno e poi regali dieci sedute da uno psicologo. Che facciamo, dopo averli danneggiati li prendiamo anche per il culo? Per poi magari farli seguire da una neolaureata. Se i miei 40 anni di esperienza non sono sufficienti, figuriamoci il neolaureato». Nel suo libro parla di cicatrice: quella dei giovani guarirà mai? «No, ai ragazzi la cicatrice non andrà via. Ma al ministero sanno che fino a poco tempo fa i reparti di neuropsichiatria infantile erano pieni? Vorrà pur dire qualcosa, o no? L'intelligenza non sta nel guardare quel che accade, ma nel prevedere ciò che accadrà. Il problema non è l'amministrazione del qui e ora, ma il futuro». E invece abbiamo passato il tempo a gestire l'urgenza. «Non avevamo nessuna urgenza perché la scuola era chiusa. La gatta frettolosa fa nascere i gattini ciechi. Abbiamo sprecato un anno stupendo per rimettere a posto le cose che non vanno nel nostro Paese. Ha per caso visto una riforma della scuola?». Che conseguenze ci saranno per i più piccoli? «Bisognerà vedere cosa diamo loro. La decadenza della pedagogia italiana non è frutto della pandemia, ma dal calo del quoziente intellettivo delle risorse coinvolte. Non dimentichiamo che un ministro voleva obbligare gli studenti a usare il tablet. “Online brain": tutto ciò che viene prodotto, o meglio non prodotto, da un cervello che rimane tutto il giorno attaccato a uno schermo. Ovvero una sindrome molto simile alla demenza. Questo fenomeno non nuovo, negli ultimi tempi è peggiorato: incapacità a concentrarsi, perdita della memoria a breve termine, depressione, ira… Tutte manifestazioni che le famiglie conoscono benissimo. I risultati sono catastrofici, ma chi comanda sembra non vederlo». Perché? «Perché dietro ci sono interessi che riguardano giganteschi gruppi editoriali, e la Silicon Valley che fa lavoro di lobbying, interessata che tutti possiedano un dispositivo elettronico». Nessuno si è opposto nemmeno a un'altra trasformazione epocale, lo smart working. «Che è peggio della Dad. Li ha sentiti i virologi parlare di queste cose? Loro contano le cellule e i morti, questo è il loro lavoro». A proposito di morti: in Italia ne abbiamo avuti tanti. «Guardi come abbiamo trattato i vecchi, che insulto alla civiltà! Qualcuno mi dica perché sono morti questi anziani. C'è un'inchiesta per accertare le responsabilità? Si potevano evitare? Certo! E invece vedrà che finita la pandemia ci saranno pure le celebrazioni. Non si può scaricare la colpa di tutto questo sulle Regioni!». E invece per un anno si è andati avanti così. «Se il ministro Roberto Speranza si fosse dimesso avrebbe compiuto un bel gesto. E invece tutti a difenderlo, perché è una gamba del tavolino, se la togli cade il governo. Sa che cosa succederà adesso?». Cosa? «Aumenteranno i morti per tumore. Anche questo era prevedibile, visto che si è bloccato lo screening. E chi paga per questi altri morti? Se non hai ambulatori sul territorio e una medicina sganciata dagli ospedali succede questo. Un conto è che questo discorso arrivi da chi ha in mano gli ospedali privati, ma il governo deve fare gli interessi degli italiani». C'è qualcosa «oltre la tempesta»? «Tante possibilità. Persone che si adattano e ricominceranno come prima, ma anche persone coraggiose che vorranno battersi per cambiare le cose.
Francesca Albanese (Ansa)
Rispetto a due mesi fa, la percentuale degli sfiduciati è cresciuta di 16 punti mentre quella di coloro che si fidano è scesa di 9. Il 42% degli intervistati, maggiorenni e residenti in Italia, dichiara di non conoscere la relatrice pasionaria o di non avere giudizi da esprimere, il che forse è quasi peggio: avvolta dalla sfiducia e dall’indifferenza.
Il 53% degli elettori di centrodestra non si fida dell’Albanese, e questo era un dato diciamo scontato, ma fa riflettere che la giurista irpina abbia perso credibilità per il 47% di coloro che votano Pd. Appena il 34% degli elettori dem oggi si fida della relatrice Onu, sotto sanzioni da parte di Washington e accusata da Israele di ostilità strutturale. La sinistra, dunque, non si limita ad essere in disaccordo al suo interno se rilasciare o meno la cittadinanza onoraria alla pro Pal. Sta dicendo che non la sostiene più.
«I cattivi maestri di sinistra non piacciono agli italiani», ha subito postato su X il partito della premier Giorgia Meloni, che sempre secondo il sondaggio Youtrend sarebbe la più convincente per il 48% degli italiani in un ipotetico dibattito assieme a Giuseppe Conte ed Elly Schlein.
Tramonta dunque l’astro effimero di Albanese, spacciata per l’eroina progressista che condanna la violenza sui palestinesi mentre la giustifica a casa nostra. L’assalto alla redazione della Stampa doveva e deve servire «da monito alla stampa», ha dichiarato la relatrice Onu, confermando la pericolosità del suo attivismo politico.
Eppure ha continuato a essere invitata per esporre le sue idee anti Israele, e non solo. In alcune scuole della Toscana avrebbe «ripetuto i suoi soliti mantra, sostenendo che il governo Meloni sia composto da fascisti e complice di un genocidio, accusando Leonardo di essere una azienda criminale e arrivando persino a incitare gli studenti ad occupare le scuole, di fatto, incitando dei minorenni a commettere reati sanzionati dal codice penale», hanno scritto Matteo Bagnoli capogruppo di Fratelli d’Italia al Comune di Pontedera e Christian Nannipieri responsabile di Gioventù nazionale Pontedera.
La mossa successiva è stata un’interrogazione presentata da Alessandro Amorese, capogruppo di Fdi alla commissione Istruzione della Camera alla quale ha prontamente risposto il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, chiedendo agli organi competenti di avviare una immediata ispezione per verificare quanto accaduto in alcune scuole in Toscana.
Secondo l’interrogazione, anche una classe della seconda media dell’Istituto Comprensivo Massa 6 avrebbe partecipato ad un incontro proposto dalla rete di insegnanti Docenti per Gaza, con Francesca Albanese che esponeva le tematiche del suo libro Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite dalla Palestina.
Non solo, con una nuova circolare inviata alle scuole sul tema manifestazioni ed eventi pubblici all’interno delle istituzioni scolastiche, il ministro ribadisce l’esigenza che la scelta di ospiti e relatori sia «volta a garantire il confronto tra posizioni diverse e pluraliste al fine di consentire agli studenti di acquisire una conoscenza approfondita dei temi trattati e sviluppare il pensiero critico».
Una raccomandazione necessaria, alla luce anche di quanto stanno sostenendo i docenti del liceo Montale di Pontedera che in una nota hanno definito «attività formativa» la presentazione online del libro di Albanese ad alcune classi. «Un’iniziativa organizzata su scala nazionale nell’ambito delle attività di educazione alla cittadinanza globale, come previsto dal curriculum di Educazione civica d’istituto […] nel quadro delle iniziative promosse dalla scuola per favorire la partecipazione democratica, la conoscenza delle istituzioni internazionali e il dialogo tra studenti e professionisti impegnati in contesti globali», scrivono. Senza contraddittorio, le posizioni pro Pal e anti governo Meloni della relatrice Onu non sono «partecipazione democratica».
Incredibilmente, però, due giorni fa la relatrice è comparsa accanto a Tucker Carlson, il giornalista e scrittore tra i creatori dell’universo Maga, che gestisce la Tucker Carlson Network dopo aver lasciato Fox News. Intervistata, ha detto che gli Stati Uniti l’hanno sanzionata a causa del suo dettagliato resoconto sulle politiche genocide di Israele contro i palestinesi. «Una penna, questa è la mia sola arma», si è difesa Albanese raccontando che il suo rapporto con Washington sarebbe cambiato bruscamente dopo che ha iniziato a documentare come le aziende statunitensi non solo stavano consentendo le azioni di Israele a Gaza, ma traendo profitto da esse.
«Tucker sta promuovendo le opinioni di una donna sottoposta a sanzioni da parte degli Stati Uniti per aver preso di mira gli americani», ha protestato su X l’American Israel public affairs committee (Aipac), il più importante gruppo di pressione filo israeliano degli Stati Uniti. Ma c’è anche chi non si sorprende perché Carlson avrebbe cambiato opinione su Israele negli ultimi mesi, criticando l’amministrazione Trump per il supporto incondizionato dato allo Stato ebraico così come fa la sinistra antisionista.
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Riduci
Kaja Kallas (Ansa)
Kallas è il falco della Commissione, quando si tratta di Russia, e tiene a rimarcarlo. A proposito dei fondi russi depositati presso Euroclear, l’estone dice nell’intervista che il Belgio non deve temere una eventuale azione di responsabilità da parte della Russia, perché «se davvero la Russia ricorresse in tribunale per ottenere il rilascio di questi asset o per affermare che la decisione non è conforme al diritto internazionale, allora dovrebbe rivolgersi all’Ue, quindi tutti condivideremmo l’onere».
In pratica, cioè, l’interpretazione piuttosto avventurosa di Kallas è che tutti gli Stati membri sarebbero responsabili in solido con il Belgio se Mosca dovesse ottenere ragione da qualche tribunale sul sequestro e l’utilizzo dei suoi fondi.
Tribunale sui cui l’intervistata è scettica: «A quale tribunale si rivolgerebbe (Putin, ndr)? E quale tribunale deciderebbe, dopo le distruzioni causate in Ucraina, che i soldi debbano essere restituiti alla Russia senza che abbia pagato le riparazioni?». Qui l’alto rappresentante prefigura uno scenario, quello del pagamento delle riparazioni di guerra, che non ha molte chance di vedere realizzato.
All’intervistatore che chiede perché per finanziare la guerra non si usino gli eurobond, cioè un debito comune europeo, Kallas risponde: «Io ho sostenuto gli eurobond, ma c’è stato un chiaro blocco da parte dei Paesi Frugali, che hanno detto che non possono farlo approvare dai loro Parlamenti». È ovvio. La Germania e i suoi satelliti del Nord Europa non vogliano cedere su una questione sulla quale non hanno mai ceduto e per la quale, peraltro, occorre una modifica dei trattati su cui serve l’unanimità e la ratifica poi di tutti i parlamenti. Con il vento politico di destra che soffia in tutta Europa, con Afd oltre il 25% in Germania, è una opzione politicamente impraticabile. Dire eurobond significa gettare la palla in tribuna.
In merito all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea già nel 2027, come vorrebbe il piano di pace americano, Kallas se la cava con lunghe perifrasi evitando di prendere posizione. Secondo l’estone, l’adesione all’Ue è una questione di merito e devono decidere gli Stati membri. Ma nel piano questo punto è importante e sembra difficile che venga accantonato.
Kallas poi reclama a gran voce un posto per l’Unione al tavolo della pace: «Il piano deve essere tra Russia e Ucraina. E quando si tratta dell’architettura di sicurezza europea, noi dobbiamo avere voce in capitolo. I confini non possono essere cambiati con la forza. Non ci dovrebbero essere concessioni territoriali né riconoscimento dell’occupazione». Ma lo stesso Zelensky sembra ormai convinto che almeno un referendum sulla questione del Donbass sia possibile. Insomma, Kallas resta oltranzista ma i fatti l’hanno già superata.
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Riduci
Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
La domanda è retorica, provocatoria e risuona in aula magna come un monito ad alzare lo sguardo, a non limitarsi a contare i droni e limare i mirini, perché la risposta è un’altra. «In Europa abbiamo più poveri e disuguaglianza di quelli che sono i rischi potenziali che derivano da una minaccia reale, e non percepita o teorica, di una guerra». Un discorso ecumenico, realistico, che evoca l’immagine dell’esercito più dolente e sfinito, quello di chi lotta per uscire dalla povertà. «Perché è vero che riguardo a welfare e democrazia non c’è al mondo luogo comparabile all’Europa, ma siamo deboli se investiamo sulla difesa e non contro la povertà e le disuguaglianze».
Le parole non scivolano via ma si fermano a suggerire riflessioni. Perché è importante che un finanziere - anzi colui che per il 2024 è stato premiato come banchiere europeo dell’anno - abbia un approccio sociale più solido e lungimirante delle istituzioni sovranazionali deputate. E lo dimostri proprio nelle settimane in cui sentiamo avvicinarsi i tamburi di Bruxelles con uscite guerrafondaie come «resisteremo più di Putin», «per la guerra non abbiamo fatto abbastanza» (Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera) o «se vogliamo evitare la guerra dobbiamo preparaci alla guerra», «dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto con i vaccini» (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea).
Una divergenza formidabile. La conferma plastica che l’Europa dei diritti, nella quale ogni minoranza possibile viene tutelata, si sta dimenticando di salvaguardare quelli dei cittadini comuni che alzandosi al mattino non hanno come priorità la misura dell’elmetto rispetto alla circonferenza cranica, ma il lavoro, la famiglia, il destino dei figli e la difesa dei valori primari. Il ceo di Banca Intesa ricorda che il suo gruppo ha destinato 1,5 miliardi per combattere la povertà, sottolinea che la grande forza del nostro Paese sta «nel formidabile mondo delle imprese e nel risparmio delle famiglie, senza eguali in Europa». E sprona le altre grandi aziende: «In Italia non possiamo aspettarci che faccia tutto il governo, se ci sono aziende che fanno utili potrebbero destinarne una parte per intervenire sulle disuguaglianze. Ogni azienda dovrebbe anche lavorare perché i salari vengano aumentati. Sono uno dei punti di debolezza del nostro Paese e aumentarli è una priorità strategica».
Con l’Europa Carlo Messina non ha finito. Parlando di imprenditoria e di catene di comando, coglie l’occasione per toccare in altro nervo scoperto, perfino più strutturale dell’innamoramento bellicista. «Se un’azienda fosse condotta con meccanismi di governance come quelli dell’Unione Europea fallirebbe». Un autentico missile Tomahawk diretto alla burocrazia continentale, a quei «nani di Zurigo» (copyright Woodrow Wilson) trasferitisi a Bruxelles. La spiegazione è evidente. «Per competere in un contesto globale serve un cambio di passo. Quella europea è una governance che non si vede in nessun Paese del mondo e in nessuna azienda. Perché è incapace di prendere decisioni rapide e quando le prende c’è lentezza nella realizzazione. Oppure non incidono realmente sulle cose che servono all’Europa».
Il banchiere è favorevole a un ministero dell’Economia unico e ritiene che il vincolo dell’unanimità debba essere tolto. «Abbiamo creato una banca centrale che gestisce la moneta di Paesi che devono decidere all’unanimità. Questo è uno degli aspetti drammatici». Ma per uno Stato sovrano che aderisce al club dei 27 è anche l’unica garanzia di non dover sottostare all’arroganza (già ampiamente sperimentata) di Francia e Germania, che trarrebbero vantaggi ancora più consistenti senza quel freno procedurale.
Il richiamo a efficienza e rapidità riguarda anche l’inadeguatezza del burosauro e riecheggia la famosa battuta di Franz Joseph Strauss: «I 10 comandamenti contengono 279 parole, la dichiarazione americana d’indipendenza 300, la disposizione Ue sull’importazione di caramelle esattamente 25.911». Un esempio di questa settimana. A causa della superfetazione di tavoli e di passaggi, l’accordo del Consiglio Affari interni Ue sui rimpatri dei migranti irregolari e sulla liceità degli hub in Paesi terzi (recepito anche dal Consiglio d’Europa) entrerà in vigore non fra 60 giorni o 6 mesi, ma se va bene fra un anno e mezzo. Campa cavallo.
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Riduci
Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
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