2020-08-30
I contagi tra migranti? Numeri, non razzismo
Il Fatto gioca con le cifre del fenomeno per attaccare Matteo Salvini: «Solo lo 0,4% è positivo». Però i dati del Viminale parlano chiaro: tra gli immigrati arrivati nelle ultime settimane gli infetti sono circa il 4%, cioè molto più del resto della popolazione. Va bene, le esigenze della propaganda si capiscono (anche se non le si condividono), così come è abbastanza facile decodificare lo schemino politico-giornalistico che porta Il Fatto Quotidiano e altri media a dare la colpa di ogni sciagura passata, presente e futura a Matteo Salvini (#HaStatoSalvini è ormai l'hashtag classico utilizzato su Twitter per ironizzare, con tanto di coniugazione dei verbi scombiccherata, su chi trascorre le giornate a colpevolizzare compulsivamente il leader leghista). Ciò che però non può passare senza risposta è la tentazione di giocare con i numeri finendo per aggiustarli e curvarli sulle necessità dello storytelling, e soprattutto la propensione spiacevolissima a buttarla sul razzismo, cioè - tra uno sberleffo e l'altro - tentare di appiccicare agli altri un'etichetta irricevibile, quella di chi si fa condizionare dal colore della pelle di un essere umano. Questo è francamente troppo. Ma cominciamo dalle cifre del Fatto, che ieri ha sparato in prima pagina il seguente titolo: «Salvini smentito: sono migranti solo 4 infetti su mille». E ancora, nel sommarione: «I numeri del Viminale: 1.218 positivi da marzo. È più facile contagiarsi a un suo comizio senza mascherine o nelle disco della Costa Smeralda». Scansiamo la parte più scopertamente propagandistica e polemica, e andiamo ai numeri. Come si arriva allo 0,4% magicamente elaborato dal Fatto? Rapportando i 1.218 migranti positivi (da inizio pandemia al 14 agosto) agli oltre 265.000 casi registrati in Italia sempre dall'inizio della vicenda del coronavirus. Peccato che questo sia un modo di mischiare le pere con le mele. A farcelo intuire è stato lo stesso Viminale, con un altro numero, diffuso ieri, che mette le cose in una luce ben diversa. Dice il ministero degli Interni: «Dal primo giugno in Sicilia sono stati effettuati 6.371 tamponi ai migranti sbarcati». E già capite bene che si tratta di una porzione molto piccola, ma questi sono i dati ufficiali e con questi occorre fare i conti. Ecco, considerando questo campione di «tamponati», sapete quante sono le persone risultate positive? Attenzione, è il Viminale di Luciana Lamorgese che parla, non un centro studi vicino all'opposizione: la percentuale dei positivi al coronavirus è del 3,98%, praticamente il 4%. E già così lo 0,4% sbandierato dal Fatto viene moltiplicato per 10. Senza dire (è perfino pleonastico sottolinearlo) che per tutti i mesi iniziali dell'emergenza coronavirus, gli sbarchi non c'erano: un po' perché si era ancora tra inverno e inizio primavera, e un po' proprio a causa della pandemia. Quindi questi numeri, assai più significativi di come li si vorrebbe presentare, sono di fatto maturati in poche settimane. Ma a questo punto capite bene che salta tutto lo storytelling del Fatto: immaginate in che condizione ci troveremmo se quella stessa percentuale di positivi, circa il 4%, si riscontrasse tra tutti gli italiani «tamponati»: saremmo di nuovo alle soglie di un'emergenza sanitaria da Covid molto più seria della situazione - assolutamente gestibile e controllabile - in cui ci troviamo adesso. Smontata la propaganda sui numeri, arriviamo al bersaglio grosso. È veramente sgradevole il tentativo di buttare addosso agli altri l'ombra orribile del razzismo. Chiunque sia dotato di minima onestà intellettuale comprende bene che, nel caso dei migranti che sbarcano, a destare una preoccupazione in più - mentre una pandemia è in atto - non è certo l'elemento della nazionalità, o dell'etnia, o del colore della pelle. Il problema sono le condizioni di aggravata incertezza (al di là dello stesso coronavirus) derivanti dal modo in cui sono stati costretti a viaggiare, e poi dall'incivile maniera in cui vengono ammassati negli hotspot. Nel silenzio di molti professionisti dell'umanitarismo (evidentemente distratti o impegnati in qualche apericena estivo), questo giornale ha sollevato il caso, alcuni giorni fa, della scena dolorosa e quasi infernale, avvenuta nell'hotspot di Lampedusa, con uno scontro terminato con lanci di pietre tra libici e somali. È toccato alle forze dell'ordine riportare la calma in un autentico girone dantesco: 1.500 immigrati assiepati in una struttura concepita per contenerne 192, più il caldo rovente, più le tensioni tra gruppi. Ora, qualunque essere umano, a prescindere dalle proprie opinioni in materia di politica sull'immigrazione, non può che provare pena profonda per una situazione simile, lontanissima da qualunque standard accettabile in materia di diritti umani, oltre che di sicurezza sanitaria. Eppure stavolta il silenzio è stato sovrano: non una parola, non una sillaba, non un sospiro, né dall'Europa né dalla sinistra italiana né dai media che un anno fa, di questi tempi, erano impegnati a lapidare il «cattivo» Salvini. Per questo, senza giocare con i numeri e senza lanciare accuse a vanvera, si ripropone tutto intero il tema della gestione politica dell'immigrazione, sui cui non solo la Lamorgese, ma l'intero governo giallorosso ha fallito, quadruplicando gli sbarchi e ridando plasticamente l'immagine di un'Italia campo profughi d'Europa. Altro che razzismo. Non ci provate.
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