2019-02-09
«I cellulari in classe? Mi fido dei ragazzi»
Il ministro Marco Bussetti spiega perché non è favorevole a proibirli: «Il divieto assoluto può essere controproducente, ma ogni istituto deciderà in libertà come prevenirne l'uso scorretto. Il 5 politico? Non sono d'accordo: i voti vanno da 1 a 10. Con i bulli serve il pugno duro».Stipendio d'oro ed extra garantiti ma i prof italiani all'estero piangono. Compensi fino a oltre 8.000 euro, oltre ai rimborsi per le rette dei figli e le spese di spostamento. Eppure i sindacati riescono a lagnarsi: per il taglio di otto cattedre e della supervalutazione di servizio a fine carriera.Lo speciale contiene due articoli. Ministro Marco Bussetti, lei si è detto favorevole ai cellulari in classe. Può spiegarci la ratio di tale posizione? «Facciamo chiarezza: non sono favorevole a un uso indiscriminato degli smartphone in classe. Quando l'insegnante spiega, devono stare spenti nello zaino. Penso però che il divieto assoluto sia controproducente, perché la nuova tecnologia può essere una valida alleata della didattica, se viene impiegata per innovare e migliorare le metodologie d'insegnamento». Non sono sufficienti i tablet per un uso didattico delle tecnologie? «Il punto non è fare un elenco di ciò che è possibile utilizzare o meno. Gli insegnanti sanno decidere cosa è meglio per i propri studenti in base alle esigenze didattiche e alle diverse occasioni di apprendimento. Dobbiamo avere fiducia in loro e anche nei ragazzi».Ma non si rischia la distrazione di massa in un'epoca in cui i livelli di attenzione sono ai minimi termini? «Nessuno si sognerebbe di autorizzare l'utilizzo in classe di elementi che mettono a rischio la formazione di qualità dei nostri studenti. Vorrebbe dire tradire la missione educativa della scuola. Le trasformazioni in atto nella società riguardano la vita del nostro sistema di istruzione. Ammetterlo aiuta a far crescere i nostri giovani e a far progredire la scuola. Nei giorni scorsi è stata presentata una proposta di legge su questo tema».In che modo verrà regolato l'uso di tali apparecchiature? «Ogni istituto può prendere liberamente e in autonomia decisioni su questo tema, prevedere le misure organizzative più adatte a prevenire un uso scorretto di queste apparecchiature. Dobbiamo poi considerare un altro aspetto: i nostri giovani non sono degli sprovveduti».Ha preso in considerazione il problema della dipendenza tecnologica che patiscono molti giovani?«Educare gli studenti a un uso corretto dei dispositivi è proprio funzionale ad arginare distorsioni, dipendenze. E l'educazione all'uso corretto di questi dispositivi passa anche dalla famiglia».Si è parlato del 5 politico. Una dirigente di una scuola media romana ha pensato di diffondere una circolare per esortare i docenti a non assegnare voti inferiori al 5. Cosa ne pensa? «Devo dire che ho trovato la scelta della dirigente particolare. I voti vanno da 1 a 10, anche se capisco che non sia piacevole per un insegnante assegnarne uno basso, né per uno studente sia semplice ricevere una valutazione non positiva. Credo che dovremmo spiegare ai giovani che quando si prende un voto, quel voto è relativo alla prestazione, non è un giudizio sulla persona».Che tipo di scuola ha in mente? Ha dichiarato che essa deve valutare la preparazione e non la persona.«La scuola non è una vetrina, è una palestra. In vetrina si esibisce qualcosa; in palestra, invece, ci si esercita, ci si pone degli obiettivi. Si fanno i conti con la fatica, con lo sforzo. Con i propri limiti. E i risultati sono frutto di un percorso». Per quanto riguarda i compiti invece, lei ha invitato i docenti ad assegnarne meno. Come mai? «In occasione delle scorse vacanze di Natale, ho semplicemente suggerito alle scuole di assegnare un numero non eccessivo di compiti a casa per lasciare ai nostri bambini e ragazzi la possibilità di trascorrere tempo con le proprie famiglie. I giovani hanno bisogno di stimoli differenti e di dare il giusto spazio ai propri affetti».A suo parere esiste un punto di equilibrio tra chi professa il cosiddetto «compiti zero» e chi è a favore delle vacanze a suon di sussidiari? «Esiste certamente. E sono le singole scuole, i singoli insegnanti a sapere cosa è più giusto per i loro studenti».Un altro dei temi caldi è il cyberbullismo, una vera piaga sociale, che vede vittime sette studenti su dieci… «In questi giorni a Milano abbiamo celebrato il Safer internet day, la giornata mondiale per la sicurezza online, istituita e promossa dalla Commissione europea. Il Miur è impegnato in prima linea: la conoscenza è l'unico antidoto a questi fenomeni». Ha in cantiere altre idee per contrastare il bullismo sui social? «Innanzitutto dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi a chiamare le cose con il loro nome. Atti di bullismo e cyberbullismo non sono bravate, sono forme di violenza e prevaricazione, e come tali vanno trattati. A dicembre ho avviato un gruppo di lavoro con esperti di alto livello su bullismo e prevenzione. Va poi ricordata la proposta di legge presentata nei mesi scorsi per rendere obbligatorio l'insegnamento dell'educazione civica, a partire dalla scuola dell'infanzia fino alla fine del percorso di studi».A proposito di questo, parte la seconda edizione di «Viaggio per l'Italia: la Corte costituzionale nelle scuole». Cosa si vuole dire ai giovani? «Il fatto che i giudici della Consulta si mettano a disposizione dei giovani per fare toccare loro con mano i contenuti della Costituzione, è encomiabile. Si tratta di momenti formativi eccezionali: gli studenti sono il presente e il futuro dell'Italia, metterli in contatto con la nostra Carta fondamentale, spiegargliela nel dettaglio, darle concretezza nelle loro vite è fondamentale per costruire attraverso di loro società solidali, libere, rispettose dei diritti di tutti».La Corte ha un ruolo sempre più profondo nel nostro Paese e con le riforme costituzionali in programma è certo che sarà grande protagonista della vita politica del Paese. In che ottica avverrà l'appuntamento? «Di apertura e condivisione. Una tra le più importanti istituzioni del nostro Stato dialoga con i ragazzi. Va loro incontro e li accoglie. Perché non ci può essere cittadinanza attiva senza conoscenza».Se il suo mandato dovesse durare l'intera legislatura e questo governo arrivasse fino alla fine, che tipo di scuola consegnerebbe ai ragazzi? «Una scuola a misura delle loro esigenze, dei loro sogni. Che li aiuti a crescere e che li faccia protagonisti delle loro vite. Che torni a dare centralità alle parole “amore" e “passione". Per gli studi, per il proprio lavoro, per gli altri. E che sia di qualità».Qual è la sua visione di lungo periodo considerando che le cose da cambiare sono ancora tante? «In pochi mesi di governo ci siamo impegnati per sburocratizzare un sistema troppo spesso ostaggio di lungaggini amministrative, abbiamo dato risposte al personale scolastico, bandito concorsi, sbloccato risorse per l'edilizia scolastica e investito sull'innovazione digitale. C'è ancora tanto da fare, però c'è un governo che sta lavorando concretamente per raggiungere il suo obiettivo principale: il successo formativo degli studenti».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-cellulari-in-classe-mi-fido-dei-ragazzi-2628399390.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="stipendio-doro-ed-extra-garantiti-ma-i-prof-italiani-allestero-piangono" data-post-id="2628399390" data-published-at="1758175053" data-use-pagination="False"> Stipendio d’oro ed extra garantiti ma i prof italiani all’estero piangono «Un processo strisciante di privatizzazione della scuola italiana all'estero con l'obiettivo di assegnare al contrattismo locale la docenza statale italiana», lamentava pochi giorni fa la Uil, denunciando «il taglio di ben 4 cattedre nella scuola di Asmara e 4 cattedre nella scuola di Madrid!». Notizia sconvolgente, pare, per gli addetti ai lavori come Remo Omar Cinquanta, che pochi giorni fa su Facebook postava l'allarme del sindacato. Remo, fondatore nel 2013 del gruppo pubblico Insegnare all'estero (33.414 iscritti sul social di Zuckerberg), si definisce «professore fuori ruolo presso il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale», è psicologo con master in didattica e psicopedagogia dei disturbi specifici dell'apprendimento, spiega che ha «lavorato in campo educativo e formativo in Italia e all'estero in Paesi quali il Brasile, la Libia, il Perù, il Congo e la Francia». A chi lo segue online ricorda che non ci saranno «più opportunità di trasferimenti, non più precedenza al rientro in patria! Non più supervalutazione del servizio al fine della carriera e della pensione». Letta così sembra catastrofica, la fine di diritti sacrosanti. Non è così, lo spieghiamo tra breve. Intanto, se vai a vedere, in Eritrea all'Istituto italiano statale omnicomprensivo di Asmara tolgono ai nostri connazionali due classi di educazione motoria, una di tecnologia e una di inglese; a Madrid sempre ginnastica, due classi di inglese, una di educazione musicale. Due classi in meno di italiano a Londra, una in meno a Charleroi (Belgio), a Ginevra e a Zurigo. Eccola qua, la tremenda scure che si è abbattuta sulle scuole italiane all'estero. Non fa notizia che cinque nuovi lettorati siano previsti in Giappone, Oman, Montenegro, Australia, Vietnam e nuove cattedre a Tunisi, Alessandria d'Egitto, Santiago, Zurigo, Charleroi. «Unica nota positiva», si limitava a commentare il comunicato della Uil ripreso da Omar Cinquanta, è l'aumento «dei posti di sostegno che passano da 10 a 17 posti (in media due unità per ciascuna delle otto scuole statali)». Per chi non lo sapesse, stiamo parlando di insegnanti che dipendono dal Miur (il ministero dell'Istruzione) e dal Maeci (ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale), con privilegi e agevolazioni alla stregua dei dipendenti delle ambasciate. Attualmente sono 674 nelle scuole italiane all'estero (infanzia, primaria, secondaria di primo e di secondo grado) che, oltre agli 8 istituti statali omnicomprensivi con sede ad Addis Abeba, Asmara, Atene, Barcellona, Istanbul, Madrid, Parigi e Zurigo, comprende 43 scuole italiane paritarie presenti in tutte le aree geografiche nel mondo, 7 sezioni italiane presso scuole europee; 79 sezioni italiane presso scuole straniere, bilingui o internazionali. A gennaio il ministero dell'Istruzione aveva pubblicato il bando della selezione per personale scolastico da destinare all'estero, finalizzato a formare le apposite graduatorie. Erano richiesti requisiti culturali e professionali, ovvero una conoscenza sufficiente della lingua che si parla nel Paese straniero in cui ci si vuole stabilire, e l'aver preso parte ad attività formative riconosciute dal Miur su intercultura e internazionalizzazione. I primi dati ufficiosi riportano circa 2.500 domande presentate online, 1.600 per personale docente, 700 per personale amministrativo, tecnico e ausiliario (Ata) degli istituti e scuole di istruzione primaria e secondaria, circa 100 per dirigenti scolastici. Insegnare all'estero (oggi con una permanenza massima ridotta da nove a sei anni, ripetibile una sola volta dopo sei anni trascorsi in Italia), continua infatti a offrire notevoli privilegi. A partire dallo stipendio che è raddoppiato. «Al personale in servizio nelle istituzioni scolastiche all'estero, oltre allo stipendio e agli assegni di carattere fisso e continuativo previsti per il territorio nazionale compete, dal giorno di assunzione fino a quello di cessazione dalle funzioni in sede, uno speciale assegno di sede, non avente carattere retributivo, per sopperire agli oneri derivanti dal servizio all'estero», riporta il decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297. Vediamo subito perché parliamo di raddoppio (come minimo) degli stipendi. L'indennità di servizio estero (Ise) è una cifra variabile, l'ammontare dell'assegno di sede è costituito da un importo tabellare base, distinto per qualifica, cui si aggiungono dei moltiplicatori, coefficienti di sede ed eventuali maggiorazioni di rischio e di disagio. La formula per il conteggio è: assegno base x coefficiente di sede + assegno base = assegno di sede. Ecco degli esempi che spiegano il meccanismo. Un docente di scuola secondaria di primo grado, o un lettore, con uno stipendio di base di 600 euro, se assegnato a San Paolo del Brasile (che ha un coefficiente 8,146) avrà un assegno di sede di 5.487euro. Quando la sede di servizio ha una percentuale di rischio e disagio superiori a zero, ci sono altre maggiorazioni previste. San Paolo ha una percentuale di rischio 32 (sempre stabilita per il personale di ruolo del Maeci), quindi lo stipendio complessivo mensile di un lettore nel Paese carioca diventa di 7.250 euro lordi. Sulla base dei diversi coefficienti, in Perù lo stesso docente o lettore prende 6.000 euro, 8.400 euro in Eritrea, 6.800 euro nella Federazione Russa, 7.500 euro in Giappone, 5.900 euro in Qatar, 5.200 euro a Tunisi, 7.710 euro a Pechino, 6.700 euro al Cairo. Se le destinazioni sono a rischio zero, a Zurigo intascherà comunque 6.270 euro, 4.900 euro in Norvegia, 4.500 euro in Spagna e Francia, 4.800 euro in Austria, 4.600 euro in Finlandia. Cifre ben lontane dai 1.600 o al massimo 2.700 euro lordi che i colleghi rimasti in Italia raccattano ogni mese, a seconda della scuola dove insegnano e dell'anzianità di servizio. All'estero sono conteggiate extra anche agevolazioni e rimborsi per le rette dei figli che studiano e per i loro spostamenti. Vanno poi sommati i contributi per le spese di casa, con percentuali per il calcolo della maggiorazione dell'Ise che variano dal 5% per un'abitazione nello Yemen al 49% se a Singapore, o 61,70 se a Londra. Inoltre, «all'atto dell'assunzione del servizio in ciascuna sede all'estero, il personale ha diritto ad una indennità di sistemazione, nella misura di una mensilità dell'assegno personale spettante per il posto di destinazione», recita il testo unico. E poi pagamenti delle spese di trasferta, 48 giorni di ferie più 4 di festività soppresse mentre un insegnante che lavora in Italia ne ha diritto solo a 32 (più i 4 giorni di festività). Senza contare le vacanze aggiuntive, quando le scuole sono chiuse in base al calendario dei singoli Paesi. Non c'è che dire, una bella pacchia lavorare all'estero, magari insegnando ginnastica con simili stipendi e privilegi, incluse le spese di casa e di spostamento che in Italia sono tutte a tuo carico. Eppure il sindacato scuola ha contestato i tagli previsti dalla legge di Bilancio 2019. Non piace la riduzione dal 15 all'8 per cento della maggiorazione corrisposta ai dipendenti in servizio all'estero «per il coniuge a carico, se quest'ultimo, per ragioni di salute, non può risiedere nella sede di servizio del dipendente». E criticano l'esclusione «dal beneficio del parziale pagamento delle spese di viaggio per congedo in Italia anche per i familiari a carico al personale, che presti servizio in residenze non classificate come disagiate o particolarmente disagiate situate a distanza non maggiore di 3.500 chilometri da Roma». Aspettiamoci altre recriminazioni, ai privilegi non si rinuncia facilmente. Magari ai professori farà bene seguire il corso online La salute dei docenti: prevenzione del burnout e dello stress lavoro correlato che Remo Omar Cinquanta raccomanda. Venticinque lezioni al costo di 150 euro, con certificazione Miur, per «far conoscere e gestire, a docenti e dirigenti, le reali malattie professionali nella scuola» ma anche «mettere in grado il docente di autovalutare il livello di esposizione individuale al rischio di usura psicofisica». All'estero sarà sicuramente maggiore.
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