2019-10-20
I caduti del sabato sono i nostri figli abbandonati in un Paradiso artificiale
Nell'indifferenza generale, il cocktail droga, alcol e rabbia sta decimando una generazione: 194 i morti dall'inizio dell'anno. Gli adulti d'altra parte non propongono nulla, men che meno il significato del vivere.Non possiamo inorridire il lunedì e scordarcene il martedì, salvo rapidi aggiornamenti sui feriti che nel frattempo sono diventati morti. Le stragi del sabato sera sono una tragedia inaccettabile per un Paese che già fa pochissimi figli, di giovani ne ha pochi, di cui una gran parte va via, e centinaia di quei pochi ( che restano (194 dall'inizio di questo anno) li lascia morire così. In gran parte tra le 22 di sera e le 6 del mattino - dicono le statistiche - per aver perso il controllo dell'auto in una triste mistura di alta velocità, assunzione di droghe e alcol, e disattenzione da cellulare. E noi, i grandi, gli adulti, i padri, madri, nonni, autorità, politici, intellettuali, che facciamo? Non sembra che sia in corso un dibattito degno di questo nome e di un fenomeno così stupidamente distruttivo. Neppure è possibile limitarlo alla sfortunate famiglie che ne vengono direttamente investite (centinaia). La coscienza è ferita da queste fini così dolorosamente insensate; anche perché è la società cui tutti apparteniamo che le produce e consente. In fondo sono queste le istruzioni che quei giovani hanno ricevuto dal sistema di comunicazione delle società occidentali. Ad essi è stato detto e ripetuto da tutti i tipi di comunicazione che questa roba è quanto di meglio che ci sia: la discoteca con i suoi parafernalia, la sua musica tra l'assordante e l'ipnotico, il sesso invece dell'amore, l'alcol e la droga per stordirsi, la velocità per sentirsi forti. E loro ci hanno creduto. Peraltro non senza esitazioni e ripensamenti, da quanto risulta a chi abbia parlato con qualcuno di loro, e anche dalle tracce lasciate su qualcuno dei loro social. I ragazzi non sono stupidi, ma alla fine si piegano a un messaggio pervasivo, caratteristico di società psicologicamente ammalate, psicotiche, che tendono complessivamente alla morte (soprattutto dei giovani) più che alla vita. L'intero sistema lo promuove, i media illustrano come il divertimento sia lo scopo principale della vita, e tutti i loro amici su Whatsapp si stanno raccontando più o meno questo, organizzandoselo con ansia per non farselo mancare: alla fine anche loro lo fanno. Certo potrebbero anche cercare di fare in un altro modo, provare a essere diversi dal sistema. La gran parte di loro, però, è stata bombardata proprio dal messaggio che nella vita bisogna fare come tutti gli altri, perché guai a essere diversi, a fare gli stravaganti, a aspettarsi chissà cosa, magari addirittura ideali. Pochi hanno a disposizione identità alternative e controcorrente, famiglie robuste e soprattutto immunizzate dalla vuota banalità del pensiero unico del godimento drogato di massa. Anche se poi lì dentro non funziona quasi niente: dalla musica, agli altoparlanti al sesso, all'amore che appunto non c'è ma in fondo è l'unica cosa che davvero vorresti. Alcol e droghe sono lì apposta, con i relativi rifornitori, gli «assistenti» così simili al gatto e la volpe, gli indimenticabili consulenti del Pinocchio del geniale Edoardo Bennato. E poi, quando la notte sta passando e non è andato bene niente, e comunque non capisci più granché e hai solo voglia di rivincita; e anche la macchina sembra fatta apposta per smaltire la rabbia, basta schiacciare il pedale e lei va, e tu sei fortissimo, e cosa vuole quello stupido guardrail, confine stradale in un'epoca i cui tutti i confini sono molto malvisti, anche in alto, in cima... (come se si potesse farne a meno, di limiti, confini, guardrail...). La morte, poi... Non te ha mai parlato nessuno, è il grande tabù. Oppure viene anch'essa trasformata in nevrotica ricerca di godimento, come nella orrenda Shoah party, scoperta in questi giorni sui Whatsapp degli studenti di Siena, Torino e altre Regioni italiane. Ma appunto, sempre solo come divertimento, svago, perversione. La morte vera, sacra perché tocca a tutti, che non puoi scampare, che è accanto a te da sempre, e quindi può diventare la grande, sicura Maestra di tutta la vita, di quella non ti ha mai parlato nessuno (e quindi non hai potuto imparare nulla neanche della vita che scorre). Tutti sono d'accordo di fingere che non esista, anche nei necrologi, dove nessuno è più morto (parola proibita) ma improvvisamente mancato, scomparso (già, quasi un fantasma). Anche la scomparsa della morte però è solo una finzione, come la leggenda che nella sinistra disco ci si diverta, o che ci si debba per forza incontrare in questi modi sgradevoli e stralunarsi così male, a beneficio solo dei pusher di droghe e alcol cattivi (la cui catena è però assai lunga; una trama molto fitta e influente, cui dal dritto o dal rovescio partecipa un sacco di gente). Comunque ora è qui, la morte vera, subito al di là del guardrail, del confine proibito e anch'esso innominabile, e ti prende, fatto e sballato come sei.Una sola cosa è chiarissima in questo disastro: la povertà - l'unico male di cui oggi si possa e debba parlare, che viene ritenuta la causa di tutti gli altri, dalla caduta delle nascite al terrorismo - qui non c'entra affatto. Non sono poveri questi adolescenti piuttosto ben tenuti, vestiti accuratamente secondo i correnti dettami delle mode, estratti dalle lamiere contorte della macchine o scaraventati sull'asfalto o i prati intorno, nelle notti del sabato sera. Non sono nella povertà (unico male oggi riconosciuto assieme ai rischi dell'ambiente) eppure vanno a morire in tanti, lo stesso giorno, prede di un rito che i media segnalano perché fa notizia, ma senza che si manifesti nessuna azione non solo per farlo finire, ma neppure per contrastarlo; come del resto accade anche per la droga più diffusa e da cui si accede a tutte le altre: la cannabis. La povertà di cui questi giovani sono vittime (come tanti altri morti o mai nati, sempre rubricati sotto la comoda casella: povertà), non è infatti quella economica, ma quella molto più profonda dell'anima e della psiche alla ricerca di senso della vita. Un tema di cui però non si occupa più nessuno e su cui non ricevono nessun insegnamento, indicazione, esperienza. È questa una della maggiori responsabilità delle chiese oggi, diventate grevemente materialiste proprio mentre le società sviluppate scoprivano l'intollerabile vuoto del benessere economico, e ricercavano identità e appartenenze forti, in grado di dare orientamenti stabili e generare progetti di vita e di civiltà.È del resto un tipico passaggio dello sviluppo (segnalato dall'antropologo Arnold Gehlen e tanti altri fin dal secolo scorso): il benessere economico e l'invadenza tecnologica, sostituendosi alle fatiche indispensabili allo sviluppo fisico e psichico dell'essere umano avrebbero creato un indebolimento, cui provvedere con nuovi impegni culturali e spirituali. È stato fatto il contrario, e i ragazzi muoiono. Chi con l'eutanasia, come chiede Kelly, 23 anni, Lovanio (Belgio), un angelo biondo che vuole morire perché guardandosi allo specchio si trova un mostro. Chi con il rito della macchina lanciata a tutta velocità contro il guardrail.
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