2022-05-21
I «buoni» si riscoprono alleati dei satrapi
Nicolas Maduro (Getty images)
L’America dem voleva guidare una lotta delle democrazie contro tutti i governi autoritari. Per rimediare ai suoi disastri, invece, l’Occidente è ora costretto a baciare la pantofola ai tiranni di mezzo mondo. Che, ironia della sorte, spesso sono anche filo russi.Una politica estera astratta rischia di generare pericolosi cortocircuiti. Mario Draghi ha per esempio annunciato un vertice Italia-Turchia a luglio. Ora, va da sé che le relazioni italo-turche sono complesse, vista la proiezione di Ankara nei Balcani e la sua influenza sull’Ovest della Libia. Eppure le contraddizioni non mancano. Non solo perché il premier provocò una mezza crisi diplomatica nel 2021, definendo Tayyip Erdogan un «dittatore», ma anche perché il presidente turco (che di certo non è un leader liberaldemocratico) rappresenta il principale ostacolo all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. Un ingresso auspicato invece da Draghi, che ha ricevuto per questo a Roma la premier finlandese Sanna Marin. Tra l’altro, la Turchia è, sì, un membro dell’Alleanza atlantica, ma intrattiene anche significativi legami col Cremlino. Sotto questo aspetto, un ulteriore cortocircuito risiede nell’avvicinamento dell’Italia all’Algeria. Certo: bisogna cercare di ridurre la dipendenza dal gas russo. Però vanta stretti rapporti con la Russia e con la Cina. Algeri ha non a caso votato contro l’espulsione di Mosca dal consiglio per i diritti umani dell’Onu, mentre dieci giorni fa il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, si è recato nel Paese nordafricano per rafforzare i rapporti bilaterali. Sia chiaro: queste contraddizioni non riguardano solo l’Italia. Ieri, l’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, era in Germania, dove è stata siglata una partnership energetica tra Doha e Berlino. Ebbene, oltre alle note controversie sui diritti umani, anche il Qatar non è esente da ambiguità nella crisi ucraina, essendosi astenuto dalla suddetta risoluzione sul consiglio delle Nazioni Unite. Ma non è finita qui. A marzo, il ministro dell’Economia di Berlino Robert Habeck si è recato negli Emirati, favorendo degli accordi tra aziende tedesche ed emiratine, per realizzare una catena di approvvigionamento dell’idrogeno. Anche qui si assiste a un testacoda. Già negli ultimi anni Abu Dhabi si era parzialmente avvicinata a Mosca (sostenendo per esempio Khalifa Haftar in Libia): una situazione aggravatasi con l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca. E infatti anche il governo emiratino si è astenuto dalla risoluzione sul consiglio per i diritti umani. Tra l’altro, a dicembre - quando la crisi ucraina già montava e la vicinanza tra Abu Dhabi e Mosca era ben nota - Emmanuel Macron siglò un accordo in armamenti dal valore di 17 miliardi di euro con gli Emirati. Ma i cortocircuiti più eclatanti sono quelli che riguardano Biden, che in campagna elettorale aveva accusato Trump di farsela con i dittatori. Evidentemente deve aver cambiato idea. Il governo americano si accinge infatti ad allentare le sanzioni contro il Venezuela, nella speranza di ridurre i contraccolpi dell’embargo energetico imposto alla Russia dalla Casa Bianca. Un bel paradosso. Non solo il regime di Nicolas Maduro è una dittatura, ma intrattiene anche stretti legami con il Cremlino: Maduro ha non a caso dato il proprio endorsement all’invasione russa dell’Ucraina. Che senso ha di grazia imporre sanzioni a Putin e avviare contemporaneamente una distensione col Venezuela? Non pago, Biden ha annunciato la revoca delle restrizioni che Trump aveva imposto a Cuba. A parte il fatto che non si capisce che cosa abbia a che fare il regime castrista con la liberaldemocrazia, giova ricordare che L’Avana si è schierata con Putin, accusando gli Usa di aver provocato la crisi ucraina. E vogliamo parlare del Medio Oriente? Nel 2021 l’attuale presidente americano ha avviato una distensione con l’Iran per rilanciare il nefasto accordo sul nucleare, alienandosi così le simpatie di Arabia saudita ed Emirati, che hanno quindi preferito spostarsi sempre più verso Mosca. Certo: né Riad né Abu Dhabi sono esempi di liberaldemocrazia. Ma neanche il khomeinismo risulta ispirato a John Locke. Paradosso dei paradossi, Biden sta continuando a negoziare proprio con Putin per ripristinare l’accordo sul nucleare, mentre il governo iraniano ha fatto sapere di voler spalleggiare la Russia contro le sanzioni occidentali. Dell’assurdità di una tale situazione ha parlato anche l’ex segretario di Stato americano, Mike Pompeo, in un’intervista su queste colonne sabato scorso. Resosi conto di essersi ritrovato isolato in Medio Oriente e alle prese col caro energia in vista delle elezioni di metà mandato, Biden sta facendo adesso di tutto per ottenere un incontro col principe saudita, Mohammad bin Salman. Lo stesso bin Salman con cui raffreddò platealmente i rapporti l’anno scorso, a causa della sua implicazione nell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, oltre che per le sue posizioni su Iran e Yemen. Tutto questo per dire che una politica estera astratta non solo sta rendendo l’Occidente più isolato, ma sta rafforzando indirettamente l’asse sino-russo. Questo non significa che la dimensione valoriale vada esclusa, ma semmai, come suggerisce Henry Kissinger in On China, che vada integrata all’interesse nazionale. Il che vuol dire: lavorare per aumentare l’autonomia energetica, individuare pragmaticamente alleati e avversari, prendersi finanche dei rischi per tornare a contare sul palcoscenico internazionale. L’alternativa non è una difesa della democrazia su scala globale, ma finire sotto il ricatto del satrapo di turno. L’Occidente deve creare le condizioni concrete per difendere i suoi valori. Le astrazioni manichee di matrice liberal lo porteranno solo a ingrassare autocrati in giro per il mondo.
13 ottobre 2025: il summit per la pace di Sharm El-Sheikh (Getty Images)
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