2020-07-10
I Benetton rilanciano di 24 miliardi. Ma a Palazzo Chigi si rinvia ancora
Nulla di fatto al vertice tra concessionario ed esecutivo: la maggioranza, in frantumi, non riesce a sfruttare l'assist della Consulta. E spunta la lettera con cui Toninelli riaffidava il ponte di Genova al vecchio gestore.Un penultimatum via l'altro, procede la battaglia di parole sulla «caducazione della concessione». Il premier Giuseppe Conte, dopo aver scaricato in aria i suoi colpi, rimette la pistola sul tavolo. Certo, a Palazzo Chigi prosegue la trattativa con Autostrade. Ma, intanto, la società dei Benetton s'è già ripresa la gestione del ponte Morandi. Eppure, dopo due anni di sterilissimi proclami, al governo arriva un superlativo assist. Ovvero, la sentenza della Consulta: legittimo escludere Aspi dalla ricostruzione del viadotto, crollato il 14 agosto del 2018 e costato la vita a 43 persone. In attesa di leggere le motivazioni, l'ufficio stampa della Corte costituzionale dirama un'esplicativa e lusinghiera nota: «La decisione del legislatore è stata determinata dalla eccezionale gravità della situazione che lo ha indotto, in via precauzionale, a non affidare i lavori alla società incaricata della manutenzione».Insomma, il governo s'è mosso correttamente. Dopo infiniti tentennamenti, finalmente un punto a favore. Peccato che appena qualche giorno prima, lo scorso 6 luglio, il ministro dei Trasporti, Paola De Micheli, invii una lettera al commissario straordinario, Marco Bucci, e al presidente del Consiglio: l'infrastruttura, per il momento, torna ad Aspi. Che dunque, il prossimo 29 luglio, rientrerà in possesso del ponte che è accusata di aver fatto crollare per inerzia e negligenza. Tempismo favoloso. La lettera precede di appena due giorni la sentenza della Consulta sfavorevole al colosso dei Benetton. D'altro canto, come spiegava ieri l'Huffington Post, il terreno per il ritorno di Atlantia l'ha preparato il predecessore della De Micheli, il grillino Danilo Toninelli: una lettera del 5 febbraio 2019 spiegava che «al termine dei lavori» sul ponte di Genova, «l'infrastruttura deve ritenersi riassorbita nel rapporto concessorio vigente al momento del trasferimento». Maggioranza in frantumi. I 5 stelle, che comunque avevano giurato che Autostrade non avrebbe più messo le mani su un centimetro d'asfalto, attaccano furibondi. Già, ma chi? Forse, quei felloni dei loro alleati? Ossia, il Partito democratico, di cui il ministro De Micheli è illustrissima esponente. Oppure ce l'hanno magari con il prode Giuseppi, che finge di cascare dal pero? E proprio il presidente del Consiglio, per fugare ogni dubbio, rilancia: «O arriva una proposta vantaggiosa per lo Stato», spiega alla Stampa, «o procediamo alla revoca, pur consapevoli che comporta insidie giuridiche». Urca. Uno stentoreo attacco che avrà fatto tremare i polsi allo stuolo di avvocati e manager di Aspi. Reiterato, tra l'altro, con costanza e pervicacia. Anche il 3 giugno 2020 il premier, per esempio, assicura: «Ci sono tutte le carte per portare avanti la caducazione». Adesso, rilancia: «La procedura di revoca è stata avviata», ribadisce, «e ci sono tutti i presupposti per realizzarla, perché gli inadempimenti sono oggettivi, molteplici e conclamati». E quando, di grazia, verrà presa una decisione? «Entro questo fine settimana», garantisce Giuseppi. «Una decisione di tale importanza che la porteremo in Consiglio dei ministri».Musica per le orecchie dei grillini che, viste le batoste accumulate, vedono un filo di luce. «Il governo deve intervenire immediatamente. Non possiamo più aspettare», dice il viceministro dei Trasporti, Giancarlo Cancelleri. Eccolo, lo squadrone giallorosso: finalmente unito e compatto. Macché. «È il momento di passare dalle chiacchiere ai fatti», avverte Matteo Renzi. «Dopo due anni non si può continuare a urlare «revocheremo» o «cacceremo i Benetton». Perché è molto semplice, ma impossibile da farsi». Dunque? «Tutti sapevano che la gestione sarebbe andata ad Autostrade: era già previsto all'inizio del percorso. Ma ora basta con la politica dei rinvii. Non puoi dire “revoco", lasciando aperta così a lungo la questione. In un senso o nell'altro, le decisioni vanno assunte. Perché altrimenti rischiamo una doppia beffa: il ponte è ricostruito e il dossier resta aperto. E l'eventuale revoca si trasforma in un regalo».Il leader di Italia viva, dunque, conferma il sospetto: è tutta una pantomima. I grillini che battono i piedi, i dem che alzano le spalle e Giuseppi che fa la voce grossa. Nell'incontro di ieri con il governo, Aspi avrebbe riavanzato la sua proposta. Un assegno di quasi tre miliardi, costi di ricostruzione del ponte compresi. Poi un investimento di 14,5 miliardi sulla rete autostradale e 7 miliardi di manutenzione ordinaria. Infine, una progressiva riduzione dei pedaggi. Ma l'esecutivo avrebbe un'ulteriore e indigeribile richiesta: Atlantia, la holding che detiene la società, dovrebbe scendere sotto il 50%, rinunciando quindi al controllo di Aspi. L'azionista di maggioranza diventerebbe allora lo Stato, sotto la sapiente regia di Cdp. La trattativa si annuncia complessa. Così, ieri sera, fonti vicine al dossier lasciano trapelare che il governo chiede «una nuova proposta entro il weekend, che tuteli l'interesse pubblico». Tariffe, compensazioni, controlli. Al tavolo sarebbe stato ribadito: «Le soluzioni avanzate non sono soddisfacenti». E, comunque, non potrebbero interrompere la procedura di risoluzione avviata dai giallorossi. Al di là delle trattative, restano comunque le esasperanti lentezze. Il presidente della Liguria, Giovanni Toti, infierisce: «Abbiamo avuto due anni di colpevoli ritardi, questo è il vero problema. La vera offesa alle vittime è che non si sia detta la verità. Questo governo si è trasformato in un giustiziere delle piazze. Non ha mai ammesso che il rapporto con Autostrade non era risolvibile così facilmente». La «caducazione della concessione» è stata il primo abracadabra di Giuseppi. Adesso s'è trasformata nel suo ultimo bluff.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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