2024-06-12
La condanna del figlio travolge Joe Biden: Hunter adesso rischia 25 anni di galera
False dichiarazioni e possesso di armi quando era drogato. A imbarazzare il presidente anche le sue relazioni opache.Una nuova svolta giudiziaria ha fatto irruzione nella campagna elettorale per le presidenziali americane di novembre. Ieri, una giuria a Wilmington ha riconosciuto Hunter Biden colpevole di tutti e tre i reati per cui era stato incriminato: due per falsa dichiarazione e uno per possesso illecito di arma da fuoco nel periodo in cui era tossicodipendente (circostanza, quest’ultima, che egli negò, mentendo, durante l’acquisto di un revolver, che tenne poi per undici giorni). È la prima volta nella storia americana che il figlio di un presidente in carica viene condannato penalmente. Hunter, che si è detto «deluso» dal verdetto, rischia fino a 25 anni di prigione, oltre a una multa di 750.000 dollari: è tuttavia improbabile che riceva il massimo della pena, visto che si tratta della sua prima condanna. La sentenza non sarà comunque emessa prima di metà ottobre: vale a dire a poche settimane dalle elezioni presidenziali del 5 novembre. Si prevede che Hunter presenterà ricorso. «Sono il presidente, ma sono anche un papà», ha dichiarato Joe Biden dopo il verdetto, per poi aggiungere: «Come ho detto anche la scorsa settimana, accetterò l’esito di questo caso e continuerò a rispettare il processo giudiziario mentre Hunter considera un appello». «Nessuno in questo Paese è al di sopra della legge. Tutti devono essere responsabili delle proprie azioni: anche questo imputato. Tuttavia Hunter Biden non dovrebbe essere più responsabile di qualsiasi altro cittadino condannato per la stessa condotta», ha affermato, dal canto suo, il procuratore speciale David Weiss in conferenza stampa. Ma le tegole giudiziarie per il figlio di Biden potrebbero non fermarsi qui. A dicembre, costui ha subito anche una seconda incriminazione: nove capi d’imputazione relativi a reati fiscali. In particolare, secondo Weiss, il diretto interessato «si è impegnato in un programma quadriennale per non pagare almeno 1,4 milioni di dollari» di tasse tra il 2016 e il 2019. Il procuratore ha anche accusato il figlio del presidente di aver «speso milioni di dollari in uno stile di vita stravagante piuttosto che pagare le tasse». Era inoltre luglio scorso, quando il procuratore federale, Leo Wise, ammise davanti al giudice Maryellen Noreika che Hunter continuava a essere sotto inchiesta per potenziale violazione della legge che impone la registrazione ai lobbisti operanti per conto di entità straniere. Un’autentica spada di Damocle per il figlio del presidente, perché mette di fatto sotto la lente di ingrandimento i suoi opachi rapporti con la controversa azienda ucraina Burisma e con l’altrettanto controverso ex gigante cinese Cefc Energy. E attenzione: la questione degli affari internazionali di Hunter si interseca con i sospetti di traffico d’influenza che sono stati alimentati dalla testimonianza alla Camera del suo ex socio e amico, Devon Archer. Quest’ultimo raccontò infatti che Hunter aveva messo in contatto il padre, mentre era vicepresidente in carica degli Stati Uniti, con i suoi controversi soci in affari almeno una ventina di volte. Una serie di strane opacità che la condanna di ieri potrebbe indirettamente riportare sotto i riflettori. «Questo processo non è stato altro che una distrazione dai crimini reali della Biden crime family, che ha rastrellato decine di milioni di dollari da Cina, Russia e Ucraina», ha tuonato ieri il team elettorale di Donald Trump. Adesso c’è da chiedersi quale sarà l’impatto della condanna sulla campagna elettorale. Sin da ieri, Biden ha cercato di rimarcare la propria distanza dal rivale repubblicano, accettando il verdetto ed evitando di criticare il sistema giudiziario. Tuttavia, per il presidente in carica la questione è problematica. Innanzitutto, come accennato, potrebbero tornare sotto i riflettori i suoi contatti, da vicepresidente, con i soci del figlio. In secondo luogo, va tenuto presente che, se in un primo momento era parso non voler cavalcare la recente condanna di Trump, successivamente non aveva esitato a bollare il tycoon come un «criminale condannato» durante un evento di fundraising in Connecticut. A peggiorare le cose per Biden sta il fatto che l’avvio del secondo processo di Hunter avrà luogo a settembre: nelle settimane più calde, cioè, della campagna elettorale. C’è infine un ultimo aspetto da sottolineare. Sembrerebbe proprio che alcuni pezzi dell’apparato del Dipartimento di Giustizia stiano sempre più pesantemente remando contro Biden. L’anno scorso, il figlio ha improvvisamente perso lo «scudo» di cui ha di fatto goduto dal 2018 (quando la Procura federale del Delaware iniziò a metterlo sotto indagine per la questione delle tasse), ritrovandosi con ben due incriminazioni sulle spalle nel giro di pochi mesi. Inoltre, a febbraio, il procuratore speciale, Robert Hur, che indagava sui documenti classificati trattenuti indebitamente dallo stesso Biden, ha pubblicato un rapporto assolutamente nocivo per l’inquilino della Casa Bianca. Pur riconoscendo che il diretto interessato si era «intenzionalmente» tenuto quegli incartamenti sensibili, non lo ha incriminato, sostenendo che, essendo anziano e con una scarsa memoria, una giuria avrebbe quasi certamente sollevato il ragionevole dubbio. Un’autentica mazzata per un presidente che, in piena campagna elettorale, viene ritenuto da gran parte dell’elettorato come troppo vecchio e caratterizzato da scarsa lucidità mentale. Segno che, forse, non sono solo gli apparati governativi del Pentagono a non volere un bis di Biden alla Casa Bianca.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.