2025-02-12
Operazione «Homecoming». I prigionieri Usa ritornano a casa
True
Ex prigionieri americani ritornano dal Vietnam su un C-141 noto come «Hanoi Taxi» (Getty Images)
Il 12 febbraio 1973 furono rilasciati i primi prigionieri dalle carceri del Nord Vietnam. Per alcuni di loro furono 8 anni di torture. La «banda Alcatraz» degli 11 irriducibili che sfidarono ogni tipo di abuso.Il primo aereo da trasporto C-141 toccò la pista della base aerea americana di Clark nelle Filippine il 12 febbraio 1973. Il primo a scendere la scaletta fu Jeremiah «Jeremy» Denton, ufficiale pilota dell’Aviazione di marina Usa. Dopo qualche passo sul tappeto rosso steso vicino all’aereo, dal microfono di fronte al picchetto d’onore l’ufficiale ex prigioniero pronunciò in fretta queste parole: «Siamo onorati di aver servito il nostro Paese in circostanze difficili. Siamo profondamente grati al Presidente degli Stati Uniti e alla nazione intera per questo giorno. Dio benedica l’America!». Pochi secondi per annunciare la fine di un incubo, quello vissuto dai prigionieri americani in Vietnam, e del definitivo disimpegno americano nella guerra iniziata quasi dieci anni prima. All’indomani della firma nei trattati di Parigi, iniziava l’operazione «Homecoming», lo scambio di prigionieri tra gli Stati Uniti e il Vietnam del Nord. Altri 40 militari seguirono Denton nella discesa sulla pista filippina, alcuni sulle proprie gambe, altri aiutandosi con le stampelle o in barella. Erano liberi dopo una discesa all’inferno che per alcuni di loro durò anni. Tra il 12 febbraio e il 4 aprile 1973 gli aerei da trasporto truppe noti poi come «Hanoi Taxi», riportarono a casa un totale di 591 ex prigionieri.Tra i militari rimpatriati, alcuni diventeranno personaggi politici di rilievo negli anni successivi alla fine della guerra. Lo stesso Jeremy Denton, uno dei prigionieri detenuti più a lungo avendo trascorso nelle prigioni nordvietnamite oltre 8 anni, sarà eletto senatore nelle file repubblicane nel 1980. Sull’aereo di Denton aveva viaggiato anche James Stockdale, che nel 1992 sarà candidato alla vicepresidenza nella lista indipendente di Ross Perot. E sempre il 12 febbraio 1973 fu il giorno della liberazione di un altro candidato alla Casa Bianca, il senatore repubblicano John McCain, che corse per la presidenza due volte nel 2000 e 2008, venendo sconfitto rispettivamente alle primarie repubblicane da George W.Bush e alle urne da Barack Obama.Gli ex prigionieri tornavano in un America cambiata profondamente dall’inizio del conflitto in Vietnam. Ritornare a casa, al di là degli abbracci delle mogli e dei figli da cui erano stati separati per anni e che furono immortalati dai fotografi, sarebbe stata una ulteriore sfida. In molti casi contro la loro stessa condizione psicofisica. Le cronache dello svolgimento dell’operazione «Homecoming» furono scritte quasi in sordina. Tutta un’altra cosa rispetto alle trionfali parate in onore dei combattenti della fine della Seconda guerra mondiale.«Benvenuti all’inferno»: il carcere di Hòa-Lò, meglio conosciuto come «Hanoi Hilton»Nel cuore della capitale nordvietnamita sorgeva un edificio costruito dai francesi negli ultimi anni del XIX secolo, battezzato «Maison centrale» e già utilizzato come centro di reclusione sin dalla sua nascita. Il nome Hòa-Lò, suona in vietnamita come «fornace ardente» un appellativo che derivò probabilmente dalla presenza nella zona di esercizi specializzati nella vendita di stufe a legna. Il carcere, della capienza stimata di 600 detenuti ma spesso sovraffollato durante gli anni della colonizzazione francese, ospitò la maggior parte dei prigionieri americani dal 1964 al 1973. Molti dei reclusi venivano dal cielo, abbattuti durante i bombardamenti su Hanoi e il Nord Vietnam. Tra i prigionieri vi furono anche civili, catturati durante le imboscate dei vietcong lungo le strade nei pressi del fronte. È il caso di Douglas Ramsey, funzionario del Dipartimento di Stato americano, catturato durante una missione di aiuto a profughi e rinchiuso per 7 anni in diversi campi di prigionia del Vietnam del Nord.Nella prigione di Hòa-Lò le condizioni igienico-sanitarie, come intuibile, erano pessime. Umide e malsane, la mura della Maison Centrale ospitarono migliaia di episodi di tortura allo scopo di ottenere informazioni militari riservate dai prigionieri. Ma non soltanto: la presenza di prigionieri spesso di alto rango (era il caso di McCain, figlio di un ammiraglio comandante della flotta Usa nel Pacifico) era un’occasione per la propaganda di Ho-Chi-Minh e del generale Vo-Nguyen Giap per realizzare riprese televisive in cui i prigionieri avrebbero dovuto condannare l’azione americana in Vietnam per essere divulgate nel mondo. Anche il citato John McCain fu obbligato a parlare dietro alla macchina da presa mentre giaceva gravemente ferito. Era stato catturato dopo essere stato abbattuto nel cielo di Hanoi il 26 ottobre 1967 mentre si trovava ai comandi del suo A-4 E Skyhawk, dal quale riuscì ad eiettarsi finendo nelle acque del centralissimo lago Hò Tài. Recluso in isolamento e senza cure mediche adeguate, McCain rischiò di morire e pensò al suicidio. Fu torturato e interrogato ma non rivelò mai nulla se non le sue generalità militari. Nel 1968 gli fu proposta la liberazione in quanto figlio di un alto ufficiale, ma rifiutò per non infrangere il codice d’onore. Rimase in carcere per oltre 6 anni in condizioni subumane.Tra i prigionieri americani che passarono anni nelle celle del carcere di Hòa-Lò iniziò a svilupparsi una leadership volta alla resistenza alle torture e all’autosostentamento. Tra le mura di quella che fu anche chiamata la «Bastiglia del Vietnam» un nucleo di detenuti iniziò sin dai primi mesi ad assumere la leadership sui compagni di prigionia e ad affrontare le angherie dei nordvietnamiti con una forza quasi sovrumana. Per la comunicazione tra detenuti, i capi della resistenza americana svilupparono il cosiddetto «tap code», un linguaggio in codice morse diffuso attraverso i muri del carcere battendo bastoni o altri oggetti sulle pareti. Questo codice fu utilizzato da uno dei leader dei detenuti, il già citato Jeremiah Denton. Durante una ripresa televisiva della propaganda nordvietnamita il prigioniero di guerra scandì la parola «T-o-r-t-u-r-e» con il movimento delle palpebre in codice morse. Anche quest’ultimo, catturato il 18 luglio 1965, diventerà in carcere uno dei leader della cosiddetta «prigionia con onore» portata avanti tra torture, fame e malattie.Un carcere duro per i più «duri». Gli 11 irriducibili della «Alcatraz Gang»I carcerieri di Hanoi erano coscienti dell’azione dei detenuti americani meno malleabili e più resistenti al dolore fisico e alla pressione psicologica. La loro presenza vicino agli altri compagni di prigionia poteva essere di grave disturbo per la gestione della propaganda. Fu quindi deciso il loro trasferimento in una struttura a circa due chilometri a Nord del carcere di Hòa-Lò. Undici detenuti considerati l’élite dei più «duri» entrarono nella prigione attigua al Ministero della Difesa, ribattezzata «Alcatraz». In confronto la Maison Centrale poteva davvero sembrare un hotel di lusso: nel nuovo carcere ad attendere i nuovi inquilini c’erano celle di 3 metri per uno, dove la luce elettrica veniva tenuta accesa 24 ore su 24. Alla sera gli americani venivano immobilizzati al pavimento con ceppi e catene ai piedi e durante il giorno ripetutamente torturati. Per tutti loro vigeva un regime di isolamento totale dai compagni. In condizioni come queste, resistere senza parlare pareva un’impresa senza speranza. Anche perché il livello degli abusi si alzò notevolmente rispetto alla prigione di Hòa-Lò. Come raccontò in numerose interviste dopo il suo rilascio uno dei membri della «banda di Alcatraz» George Thomas Coker, una delle torture peggiori e maggiormente applicate era il cosiddetto «muro» («The wall», come fu chiamato dai prigionieri). Il supplizio consisteva nel rimanere in piedi, faccia al muro della cella, con le braccia sopra alla testa dalle 5:30 del mattino alle 10 di sera. Immaginabili le conseguenze fisiche e psicologiche di una simile violenza. In un’altra intervista la moglie di Coker raccontò alla stampa che anni dopo il suo rilascio «George, nel sonno, si lamentava assumendo nel letto la posizione della tortura del muro». Gli irriducibili undici, tormentati per anni da violenze, privazioni, umiliazioni malattie e denutrizione ritornarono quasi tutti con l’operazione «Homecoming». Solo uno di loro, Ronald Storz, perderà la vita tra le mura del carcere degli orrori. Abbattuto il 28 aprile 1965 durante una missione di ricognizione, Storz fu costretto a partecipare alla «marcia di Hanoi» del luglio 1966 dove assieme ad altri 51 compagni di prigionia fu forzato a sfilare per la città tra gli insulti e le percosse della popolazione e dei carcerieri nordvietnamiti. Trasferito nella prigione del Ministero della Difesa e sottoposto a continue torture, a causa delle gravi ferite non curate entrò in coma e si spense in carcere il 23 aprile 1970. Il suo corpo fu restituito un anno dopo l’operazione «Homecoming», nel marzo del 1974.I membri della «Alcatraz gang» sono stati:George Thomas Coker (1943)Jeremiah Denton (1924-2014)Harry Jenkins (1927-1995)Sam Johnson (1930-2020)George McKnight (1933-2019)James Mulligan (1926-2023)Howard Rutledge (1928-1984)Robert Shumaker (1933)James Stockdale (1923-2005)Ronald Storz (1933-1970)Nels Tanner (1932-2015)
La nave Mediterranea nel porto di Trapani (Ansa)