2018-03-25
Ho paura che il terrorismo possa prendere il posto di questi partiti in rovina
I moribondi di Montecitorio sono cadaveri ambulanti, ci soffocano con i loro intrighi E l'Italia del 2018 rivela un'inclinazione alla violenza che sino a ieri nascondeva.Sempre più spesso mi accorgo di vivere come viveva mio padre Ernesto. Classe 1898, arruolato dal regio esercito a diciotto anni, nella grande guerra era stato un giovanissimo soldato semplice del Genio radiotelegrafisti, una specialità che si stava estendendo. Dunque si intendeva di telefoni, poiché ne aveva installati qualche centinaia nelle prime linee, alle spalle delle maledette trincee. Spesso sotto il fuoco delle truppe dall'Austria e dell'Ungheria. Dopo la fine del conflitto mondiale, si era imbattuto in altri telefoni da installare o da riparare in una delle capitali delle nazioni sconfitte: Budapest, la perla ungherese. Ernesto ci era arrivato al seguito del suo tenente, un giovanotto lomellino di Mortara che guidava il reparto di radiotelegrafisti della missione italiana. Dopo tutti gli orrori della guerra, Budapest gli sembrava un paradiso in terra, soprattutto per le ragazze che gli apparivano tutte belle e senza inutili pudori. Ma nel pentolone ungherese bolliva anche dell'altro. L'utopia comunista di Béla Kun e della sua repubblica dei consigli. Quindi la repressione feroce attuata dall'ammiraglio Miklós Horthy. La fame e la miseria degli strati bassi di una nazione che ancora non credeva alla propria sconfitta. Qualche lettore del Bestiario adesso si domanderà che cosa c'entri tutto questo con la faccenda dei telefoni. C'entra perché Ernesto mi ha insegnato a diffidare di questi aggeggi che oggi sono diventati i padroni delle nostre esistenze. Lui ne aveva uno solo, fisso, appeso a un chiodo piantato in una parete della cucina, un modello antiquato, ma che gli dava fiducia. Mi diceva: il telefono piace soltanto ai chiacchieroni, stai attento a non abusarne. Era un consiglio inutile. Nei tanti anni di lavoro come inviato per questo o quel giornale, il telefono è stato la mia croce. Durante la rivolta di Reggio Calabria, era il 1970, per trasmettere il proprio servizio bisognava prendere il traghetto e raggiungere Messina, poiché i boia chi molla reggini avevano tagliato le linee della città. Nell'agosto 1965, subito dopo la sciagura di Mattmark, in Svizzera, dove un ghiacciaio era caduto sulle baracche di un cantiere che costruiva una diga, venni costretto a trasmettere l'elenco di cinquantotto operai italiani morti in quella sciagura. Passando da una sede all'altra della società telefonica elvetica. Morale della favola: il telefono mi è utile nel lavoro e nella vita privata, ma cerco di stare lontano da tutte le diavolerie che ha generato. Ho un apparecchio che riceve soltanto gli Sms e non le fotografie. Di conseguenza non navigo su Internet e non uso le famose mail. Non ho un profilo su Facebook . Non so che cosa sia Youtube, lo stesso vale per Whatsapp e per Instagram. Ignoro del tutto la presunta potenza di un tweet e mi sembra da pazzi che Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti, uno dei padroni del mondo, li usi di continuo. Mi fanno pena i nostri politici che la tv riprende di continuo mentre camminano per strada. Parlando affannati e al tempo stesso circospetti, con cellulari sempre più sofisticati. Che cosa avranno da dire e da condividere con altri personaggetti come loro? Non lo sa nessuno. E soprattutto a nessuno interessa. E per concludere in gloria questa tirata accusatoria, dirò che non ho mai frequentato i cosiddetti social. E non mi è mai venuto in mente di farlo. Penso che la Rete e i social ci rendano stupidi. Anzi, per dirla tutta, ci rincoglioniscano più di quello che già siamo. E dal Bestario voglio dire ai nostri attuali padri della patria: comprate qualche cellulare costoso in meno e qualche libro in più. Vivrete meglio e non rischierete di fare la fine miseranda che di sicuro vi taglierà le gambe. Mandandovi ko, per non dire di peggio. Scrivo da molti anni a proposito della vita politica nazionale. Ho visto crescere e poi cadere leader di tutte le taglie e di tutte le fedi. A cominciare dai grandi big democristiani, come Amintore Fanfani e Giulio Andreotti. Ho narrato in venticinque articoli il dramma atroce di Aldo Moro. Ho visto nascere e morire l'utopia della sinistra italiana, dal riservato Enrico Berlinguer al giulivo Achille Occhetto. Ho duellato con un big socialista come Bettino Craxi. Stavamo nello stesso albergo, il bersaglio dei lanci di monetine. Craxi mi aspettava al rientro in hotel da Repubblica per lagnarsi del giornale di Eugenio Scalfari.Ho assistito al sorgere dell'astro di Silvio Berlusconi e ho pure scritto un libro, L'intrigo, sulla sua voglia di mangiarsi, dopo la Mondadori, anche il gruppo Espresso-Repubblica dove lavoravo. Mi sono inimicato persino Giorgio Almirante e il suo partito, il Movimento sociale italiano. Ho sbeffeggiato un capo politico tutto sommato per bene, come Fausto Bertinotti, che avevo chiamato il Parolaio rosso. Però non avevo mai visto il manicomio che ogni sera i telegiornali ci descrivono a proposito della maratona balorda e grottesca per eleggere i presidenti delle due Camere e poi il leader che dovrebbe guidare l'Italia negli anni a venire. La Casta dei partiti, di tutti i partiti, compresi i cosiddetti movimenti, sta toccando il fondo? Sembra di sì. E la faccenda non mi rallegra affatto. Il motivo della mia apprensione è uno solo, ma decisivo e brutale. Se i partiti costruiscono la loro rovina, qualcuno finirà per prendere il loro posto. Non sto pensando a un golpe ideato e attuato da qualche corpo militare. Sventura sempre possibile, dal momento che la funzione sviluppa l'organo. E non è da scartare l'ipotesi che qualche centinaio di signori in divisa cerchino di annullare del tutto lo sfasciume politico che sta emergendo in una misura mai vista. Ma a quel punto entreranno in scena nazioni come la Francia, la Germania, la Gran Bretagna, e metteranno a bagnomaria le nostre tensioni casalinghe. Mi spaventa ancora di più il ritorno di un cancro che ho già visto crescere giorno dopo giorno tra gli anni Settanta e Ottanta: il terrorismo. Oggi di nuovo colorato di rosso, ma con possibili venature nere. Forse non tutti avranno notato la ricomparsa di una sigla mortuaria: Br, ossia Brigate rosse. Ha profanato persino la lapide dedicata agli agenti uccisi nel corso del sequestro di Aldo Moro. Era stata appena inaugurata quando qualcuno ha pensato di lordarla con quelle due lettere dell'alfabeto che ai vecchi cronisti come me hanno rammentato i tanti morti ammazzati e i tantissimi gambizzati. Voglio dirlo senza giri di parole. L'Italia del 2018 rivela un'inclinazione alla violenza che sino a ieri nascondeva nella propria pancia. Per ora si rivela soltanto in una terribile quantità di delitti privati. Ma nulla esclude che tracimi sulle nostre strade e sulle nostre piazze. Nella prima repubblica, per l'esattezza nel 1947, Vittorio Gorresio, un principe del giornalismo politico italiano, aveva pubblicato con Longanesi un libro dal titolo che mordeva: I moribondi di Montecitorio. Tanti decenni dopo, i moribondi sono cadaveri ambulanti e ci soffocano con i loro intrighi. Il Bestiario li ammonisce, ricordandogli un vecchio detto: temete l'ira dei calmi.
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