Invece di parlare di inquinamento e climate change, finalmente Jorge Bergoglio ha schierato lo Stato pontificio contro la legge bavaglio che dice di combattere l'omofobia. Ma che rende dogma l'ideologia gender e punisce i non allineati. Speriamo solo che non sia tardi.Finalmente il Papa fa il Papa. Invece di parlare di condizionatori, cambiamenti climatici, materie plastiche, di vermi e insetti e financo di car sharing, Bergoglio per una volta interviene su una questione che riguarda da vicino i cattolici e la Chiesa stessa: il disegno di legge Zan. Quella del Pontefice non è un'enciclica e nemmeno una preghiera rivolta ai fedeli dalla finestra che si affaccia su piazza San Pietro. Si tratta al contrario di un atto ufficiale che Francesco ha autorizzato nei confronti dello Stato italiano: un ricorso alle norme che regolano i rapporti fra il Vaticano e la Repubblica. In pratica, per fermare la legge che vorrebbe punire con il carcere chi ha atteggiamenti ritenuti lesivi o discriminatori nei confronti degli omosessuali e del mondo Lgbt, istituendo una giornata contro la transfobia con tanto di educazione nelle scuole di ogni ordine e grado, la Santa Sede si appella ai Patti Lateranensi, cioè alle regole che fissano i rapporti tra lo Stato pontificio e quello italiano. Firmati nel febbraio del 1929 da Benito Mussolini e dal cardinale Pietro Gasparri, gli accordi misero fine al contenzioso seguito alla presa di Roma, a seguito della confisca da parte del Regno d'Italia dei possedimenti vaticani. Il trattato riconobbe la libertà di culto e la garanzia di alcuni privilegi agli ecclesiastici ed è recepito dalla Costituzione. Rivisto nel 1984 con la firma di un nuovo patto da parte di Bettino Craxi e del segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli, il cosiddetto Concordato è tuttora in vigore e Bergoglio intende farlo valere per bloccare il ddl Zan che tanto piace ai compagni e al mondo Lgbt.I lettori della Verità naturalmente conoscono le ragioni che spingono il Papa a mettersi di traverso con una mossa tanto decisa. Semmai c'è da chiedersi perché il Pontefice abbia inteso farlo solo ora, lasciando che per mesi vescovi e prelati schiudessero la porta alle norme che imbavagliano la libertà di opinione su temi delicati come la famiglia, l'educazione sessuale, l'identità di genere. Da parte nostra ci saremmo aspettati reazioni ferme nei confronti di una legge che pretende di istituire la «giornata nazionale contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia» e impone che nelle scuole e nelle amministrazioni pubbliche si organizzino «cerimonie, incontri e altre iniziative di sensibilizzazione contro i pregiudizi omotransfobici». In pratica, secondo il disegno di legge appoggiato dal Pd e dalla sinistra nell'offerta formativa scolastica, che non prevede l'educazione sessuale, bisognerebbe inserire una giornata di educazione omosessuale, transessuale, bisessuale e così via, prevedendo iniziative di commemorazione sul modello della Giornata della memoria contro la persecuzione degli ebrei. Immaginiamo già i progetti, con dibattiti e proiezione di film «educativi» sul tema. E proprio come per le vittime del nazionalsocialismo, il ddl Zan, dal nome del deputato del Partito democratico che ne è il primo sottoscrittore, si propone di tutelare le vittime dell'omotransbifobia con un ufficio nazionale antidiscriminazioni, che avrà «il compito di prevenire e contrastare le discriminazioni legate all'orientamento sessuale e all'identità di genere». Anche chi non ne sa niente capisce che se una legge del genere entrasse in vigore, chiunque osteggiasse la propaganda pro gender e le follie che spingono per il cambio di sesso degli adolescenti, rischierebbe seri guai, con condanne e multe. E a nulla vale la spiegazione che il diritto di critica sarà sempre possibile, perché all'articolo 4 del suddetto disegno di legge si sostiene sì che la libertà di espressione è garantita, ma purché non idonea a determinare il concreto pericolo di «atti discriminatori». E che cosa sono gli atti discriminatori? Chi stabilisce cosa è discriminatorio? Se in una scuola cattolica si insegna che la famiglia è composta da una mamma e un papà e non da un papà e un papà o da una mamma e una mamma, è un atto discriminatorio? E se un insegnante si rifiuta di celebrare la giornata pro gay, si può considerare un atto discriminatorio? E se un preside vieta a un ragazzo che si sente donna di recarsi a fare pipì nel bagno delle donne, è punibile con il carcere e potrebbe essere costretto a pagare una multa? E se un docente di educazione fisica - tanto per rimanere a un argomento che in questi giorni divide il mondo dello sport - non vuole far gareggiare con le sue studentesse uno studente che si è sottoposto alla terapia per cambiare sesso, che succede? Sì, perché la legge Zan non solo è scritta con i piedi, ma è anche uno strumento in mano ai gruppi pro gender che la possono interpretare a piacimento. Tuttavia, se a chiunque tutto ciò è chiaro, a vescovi e alti prelati con tendenza arcobaleno finora non lo era. E dunque il Papa ha mosso la diplomazia vaticana, facendo intervenire il cardinal Paul Richard Gallagher. Chissà ora come la prenderà Enrico Letta, che appena diventato segretario del Pd ha sposato la lotta all'omofobia più di quella all'epidemia. S'inginocchierà al volere del Papa oppure si schiererà contro l'ingerenza vaticana? Una cosa è certa: prepariamoci a una guerra di religione. La religione gender contro la religione del buon senso.
Alberto Stefani (Imagoeconomica)
(Arma dei Carabinieri)
All'alba di oggi i Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Chieti, con il supporto operativo dei militari dei Comandi Provinciali di Pescara, L’Aquila e Teramo, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia de L’Aquila, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un quarantacinquenne bengalese ed hanno notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 19 persone, tutte gravemente indiziate dei delitti di associazione per delinquere finalizzata a commettere una serie indeterminata di reati in materia di immigrazione clandestina, tentata estorsione e rapina.
I provvedimenti giudiziari sono stati emessi sulla base delle risultanze della complessa attività investigativa condotta dai militari del NIL di Chieti che, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia, hanno fatto luce su un sodalizio criminale operante fin dal 2022 a Pescara e in altre località abruzzesi, con proiezioni in Puglia e Campania che, utilizzando in maniera fraudolenta il Decreto flussi, sono riusciti a far entrare in Italia diverse centinaia di cittadini extracomunitari provenienti prevalentemente dal Bangladesh, confezionando false proposte di lavoro per ottenere il visto d’ingresso in Italia ovvero falsificando gli stessi visti. L’associazione, oggi disarticolata, era strutturata su più livelli e si avvaleva di imprenditori compiacenti, disponibili a predisporre contratti di lavoro fittizi o società create in vista dei “click day” oltre che di di professionisti che curavano la documentazione necessaria per far risultare regolari le richieste di ingresso tramite i decreti flussi. Si servivano di intermediari, anche operanti in Bangladesh, incaricati di reclutare cittadini stranieri e di organizzarne l’arrivo in Italia, spesso dietro pagamento e con sistemazioni di fortuna.
I profitti illeciti derivanti dalla gestione delle pratiche migratorie sono stimati in oltre 3 milioni di euro, considerando che ciascuno degli stranieri fatti entrare irregolarmente in Italia versava somme consistenti. Non a caso alcuni indagati definivano il sistema una vera e propria «miniera».
Nel corso delle indagini nel luglio 2024, i Carabinieri del NIL di Chieti hanno eseguito un intervento a Pescara sorprendendo due imprenditori mentre consegnavano a cittadini stranieri documentazione falsa per l’ingresso in Italia dietro pagamento.
Lo straniero destinatario del provvedimento cautelare svolgeva funzioni di organizzazione e raccordo con l’estero, effettuando anche trasferte per individuare connazionali disponibili a entrare in Italia. In un episodio, per recuperare somme pretese, ha inoltre minacciato e aggredito un connazionale. Considerata la gravità e l’attualità delle esigenze cautelari, è stata disposta la custodia in carcere presso la Casa Circondariale di Pescara.
Nei confronti degli altri 19 indagati, pur sussistendo gravi indizi di colpevolezza, non vi è l’attualità delle esigenze cautelari.
Il Comando Carabinieri per la Tutela del Lavoro, da anni, è impegnato nel fronteggiare su tutto il territorio nazionale il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, fenomeno strettamente collegato a quello dello sfruttamento lavorativo.
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