2025-03-30
«Non sacrifichiamo il settore auto»
Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Il presidente dell’Automotive regions alliance Guido Guidesi: «Il Green deal è letale per il comparto. L’Europa può cambiare rotta grazie al Ppe. La riconversione militare sarebbe un flop».A breve il Parlamento Ue deciderà se avallare o meno l’emendamento al regolamento sulle emissioni di anidride carbonica di auto e furgoni. L’obiettivo è concedere più flessibilità alle case automobilistiche nel raggiungimento dei target di taglio delle emissioni. Si tratta di un passo importante che potrebbe dare nuovo ossigeno ai costruttori automobilistici, schiacciati oggi da una passione tutta europea per l’elettrico che sta regalando ai cinesi il mercato delle quattro ruote. La Verità ne ha parlato con Guido Guidesi, presidente dell’Automotive Regions Alliance e assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia.Partiamo da un tema caldo: le multe ai costruttori automobilistici e il rinvio delle sanzioni. Qual è la posizione della vostra associazione?«Il tema non è ancora ufficiale, ma sappiamo che è stato annunciato. È un inizio. Il vero passo avanti è la riapertura del regolamento Ue per evitare che i costruttori dichiarino il fallimento a causa di multe insostenibili. Tuttavia, questo non basta: un quarto della produttività europea dell’automotive è a rischio, con 440.000 posti di lavoro in bilico. Servono interventi radicali, non solo ritocchi».Cosa chiede concretamente la vostra Alleanza all’Unione europea?«Chiediamo di eliminare la scadenza del 2035 per i motori endotermici e di adottare una piena neutralità tecnologica. I biocarburanti, ad esempio, possono ridurre le emissioni quasi a zero senza distruggere il nostro know how industriale. Inoltre, è assurdo che auto prodotte in Cina con energia fossile siano considerate “green”, mentre l’Europa rischia la deindustrializzazione a cause di una ideologia che sta portando alla rovina dell’industria».Come valutate il Green deal europeo in questo contesto?«È un ostacolo se applicato così. Il Green deal valuta solo le emissioni durante l’uso del veicolo, ignorando l’intera filiera produttiva. Se un’auto elettrica ha una batteria prodotta con carbone cinese, che senso ha definirla sostenibile? Dobbiamo rivedere i criteri, privilegiando soluzioni come i biocarburanti che trasformano le raffinerie esistenti in bio-raffinerie, un vero passo verso la circolarità».Oltre all’ambiente, quali altri fattori minacciano l’automotive europeo?«La competitività! I costi energetici in Europa sono insostenibili rispetto a quelli di Cina e Stati Uniti. Se produrre qui non conviene, le aziende delocalizzeranno. Serve un piano per l’energia a prezzo equo e investimenti in innovazione. Senza un’industria manifatturiera forte, l’Europa perderà posti di lavoro e capacità tecnologica».Quale ruolo possono avere il Partito popolare europeo e il nuovo governo tedesco?«Il Ppe ha già presentato proposte allineate alle nostre richieste, come la neutralità tecnologica. Speriamo che il nuovo cancelliere tedesco rompa con le politiche del suo predecessore, dato che la Germania è il cuore dell’automotive europeo. Senza il loro sostegno, rischiamo di perdere un comparto che ha reso l’Europa prospera».C’è spazio per riconvertire l’automotive verso settori come la difesa?«Quasi nessuno. Servono certificazioni specifiche e competenze diverse. Il focus deve restare sul salvare l’automotive esistente, non su ipotesi irrealistiche. Il tempo stringe: dalla prossima settimana, con le discussioni in Parlamento Ue, vedremo se l’Europa vuole davvero agire o preferisce abdicare alla Cina. Ad oggi si contano sulle dita di una mano le aziende automobilistiche che potrebbe essere riconvertite per operare nella difesa. Non è così semplice, servono certificazioni che non tutti hanno». Qual è il messaggio urgente che rivolgete all’Ue?«Agite ora. Modificate i regolamenti asfissianti, sostenete la neutralità tecnologica e rendete l’Europa competitiva. Se continuiamo a penalizzare la nostra industria con burocrazia e ideologie, consegneremo il futuro a chi non ha i nostri standard ambientali e sociali».
lUrsula von der Leyen (Ansa)