2024-12-29
        Le «guerre lampo» spesso finite in Waterloo
    
 
        Carlo De Benedetti (Ansa)
    
Se dal contenzioso col Cav e da Omnitel l’Ingegnere ha incassato una fortuna, restano molte macchie sul curriculum da finanziere d’assalto: la legnata presa con Sgb è memorabile (si diede del co...) e pure la toccata e fuga in Fiat gli ha lasciato l’amaro in bocca.«Carlo De Benedetti? Capisce le cose prima degli altri. È anche un dottor Jekyll, in privato amabilissimo, e mister Hyde, perché negli affari spunta il mostro: guai a chi osa intralciargli il passo».Ritratto affidato nel 1989 a Giampaolo Pansa - per il suo libro Il malloppo - da uno che l’Ingegnere lo conosce bene, il finanziere Francesco Micheli. «Fu Micheli a parlarmi dell’opportunità di investire nel Banco Ambrosiano», è stato l’amarcord dello stesso De Benedetti intervistato per i suoi 90 anni da Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera.CDB - «come lo chiama la truppa dei giornali che ha acquistato» (ancora Pansa, questa volta in la Repubblica di Barbapapà, 2013) - si riconobbe nell’identikit? Oggi confessa che il segreto della longevità è «essere in pace con sé stessi. E, naturalmente, l’amore».Naturalmente.Il Franti che è in me, però, si chiede: l’«autunno del patriarca» è esente da rimpianti? Oppure, intimamente, si sente in credito nei confronti della vita, non vedendo forse il suo nome circondato dall’aura riconosciuta a Gianni Agnelli, a Silvio Berlusconi e perfino al più defilato dal palcoscenico mediatico Marco Tronchetti Provera? Che nel 2013 si ritrovò accomunato a Roberto Colaninno in un j’accuse di CDB a Radio 24: «Colannino utilizzò la cassa dell’Olivetti per iniziare la distruzione della Telecom, poi conseguita con grande intensità e incapacità da Tronchetti».Tronchetti replica via Ansa: «Se anch’io raccontassi la storia delle persone attraverso luoghi comuni e slogan potrei dire che l’Ingegnere è stato molto discusso».Poi, soppesando le parole, il capo della Pirelli ricorda alcuni «snodi» cruciali della sua carriera.De Benedetti si sente diffamato e querela.Ma Tronchetti è assolto «perché il fatto non costituisce reato» (la sentenza è sul sito giustiziami.it).CDB è fatto così, almeno secondo Pansa: «Accattivante e brutale, si abbandona al piacere di parlare, ma così i giudizi gli scappano di mano».Prendete quelli su Cesare Romiti.De Benedetti al Corriere: «A Torino tutti sapevano che ha fatto di tutto per distruggermi», muovendosi nell’ombra addirittura per farlo imputare di bancarotta per il fallimento del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi.Romiti, scomparso, non può replicare.Di certo c’è che, nel libro-intervista Storia segreta del capitalismo italiano, 2012, a Paolo Madron che osservava: «L’Ingegnere entrò e uscì (dalla banca) nel giro di appena due mesi, ricavando una plusvalenza di 40 miliardi», e una condanna in primo e secondo grado annullata dalla Cassazione, aveva ribattuto: «Carlo è sempre stato bravo a fare questi blitz».Già. La blitzkrieg, la guerra-lampo, una sua specialità.Non sempre coronata da trionfi.Alla Fiat, nel 1976, i celebri «100 giorni».Romiti: «CDB mi disse che lasciava l’azienda perché non gli era stato permesso di “rivoltarla come un calzino”. In sostanza, aveva chiesto carta bianca senza però ottenerla».Per fare cosa? CDB: «Mi confrontai con l’Avvocato Agnelli, bisognava allontanare (un gentile eufemismo, nda) 60.000 persone. Mi chiese: “Ma dove sono?”, e io: “Non sono sdraiati nei corridoi, sono nei bilanci”». Insomma, licenziamenti à gogo (non male, per chi poi avrebbe voluto la tessera numero 1 del Pd, «flirtando» da sempre con la sinistra e dispensando pagelle o analisi, settembre 2020: «Escludo nel modo più categorico, conoscendolo bene, che Mario Draghi possa fare il presidente del Consiglio», e difatti).In Belgio, nel 1988.Annuncia la conquista della superholding Sgb, titolo lecca-lecca di Repubblica: «De Benedetti si compra un terzo del Belgio».Con un bel po’ di spregiudicatezza (e arroganza) parte per Bruxelles con una scatola di cioccolatini Peyrano e una parola d’ordine spavalda: «La ricreazione è finita!».Finisce con una Waterloo.Perché quelle vecchie volpi degli azionisti Sgb decidono un aumento di capitale per «diluire» la sua partecipazione.Nel 2008, in un’intervista pubblica con il sottoscritto, che gli chiedeva conto di una sua presunta battuta su Sgb, «Sono stato un genio nell’ideazione, un coglione nella realizzazione», confermerà: «Nel modo più assoluto».Per noi iene dattilografe, la sua natura «senza filtro» è una manna.Silvio Berlusconi? «L’Alberto Sordi della politica».«A pranzo a casa di Gianni Letta, mi è venuto incontro: “Carlo, perché non mi vuoi bene?”. Come faccio, gli ho risposto. Mi hai fregato la Mondadori, e pretendi pure che io ti voglia bene? Ma vai a fare in c...» (la «guerra di Segrate», durata 25 anni, si chiude nel 2013 con un risarcimento a favore di CDB ridotto dalla Cassazione a 540 milioni di euro, dagli iniziali 750).Nel 2005 al vituperato Berlusca aveva peraltro proposto, dopo 16 anni di «gelo», di lanciare insieme un fondo di private equity per i risanamenti aziendali, da finanziare con 50 milioni di euro a testa.Progetto rientrato davanti all’indignazione dei repubblicones: ma come, vai a nozze con l’uomo che combattiamo ogni giorno da anni (sottinteso: anche pro domo tua)? Eugenio Scalfari, che con i suoi chiamava CDB «Satanasso"? «Un ingrato. Quando nel 1989 ho rilevato il gruppo Espresso-Repubblica, gli ho dato un pacco di miliardi di lire».Quanti? Per Pansa, a Barbapapà tra i 70 e i 90, a Carlo Caracciolo almeno 300, «con una montagna di assegni circolari. E quando l’Ingegnere suggerì ai due, anche per placare i forti malumori della redazione, di dar vita a un fondo di assistenza per i giornalisti di Repubblica alle prese con difficoltà familiari, ricevette una risposta di chiarezza cinica: non siamo un ente di beneficenza» (bell’ambientino, non c’è che dire).Le mazzette pagate da Olivetti? Al Corriere riassume: «A Milano con Antonio Di Pietro dichiaro che mi assumo ogni responsabilità per quanto di illegale avessero compiuto i dirigenti dell’azienda. Evito così l’arresto. A Roma invece la pm Maria Cordova emette due mandati di cattura: uno per Adriano Galliani, uno per me. La gip Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa, fa sapere che avendo un legame di amicizia con il gruppo Fininvest, non può pronunciarsi su Galliani, invece il mio arresto viene convalidato. Ovviamente fu poi assolto» (fece per fortuna un solo giorno di carcere).Iannini scrive al Giornale una rettifica a tre stadi: «L’Ingegnere ripete alcune sostanziali inesattezze per le quali Repubblica fu a suo tempo condannata a risarcirmi una consistente somma di denaro. Non è vero che io avessi legami di amicizia con il “gruppo” Fininvest ma esclusivamente con un loro autorevole rappresentante all’epoca indagato per vicende del tutto diverse da quelle contestate a De Benedetti e dalle quali venne, lui, assolto da altro giudice perché il fatto non sussiste. Fu questo rapporto di amicizia che mi impose una doverosa astensione».Quanto alle tangenti, «è vero che l’Ingegnere fu prosciolto dall’accusa di corruzione per aver pagato circa 10 miliardi di lire per favorire la vendita di telescriventi al ministro delle Poste. Fatti che egli stesso ammise nel suo interrogatorio davanti a me».Ma c’è un ma: «Il proscioglimento intervenne dopo moltissimi anni nei quali il processo si addormentò fino alla “declaratoria di prescrizione”. Formula spesso ritenuta riprovevole dai giornali di cui all’epoca De Benedetti era editore», ecco.Giovanni Valentini, tra i fondatori di Repubblica, di cui è stato vicedirettore, poi a lungo al timone dell’Espresso, all’Ingegnere non ha mai fatto sconti, nemmeno sul salvataggio della sua Sorgenia con 600 milioni arrivati da un Monte dei Paschi di Siena già con i conti sottosopra.Dopo la débcle in terra belga, gli dedicò una feroce copertina: un CDB seduto accasciato, sfranto, la testa tra le mani. Titolo: Lo smacco. « È un affronto! Cosa c’entra questa foto d’archivio? Dove l’avete presa?» urlò al telefono CDB, legandosela al dito.Questo non gli impedirà anni dopo di cercare, per il «groviglio» della licenza Omnitel, proprio Valentini.Che a me, per La Verità, spiegherà: «La sera delle elezioni del 1994, vinte dal centrodestra, il governo di Carlo Azeglio Ciampi - a urne chiuse - l’assegnò all’Ingegnere. Una ciambella di salvataggio senza cui l’Olivetti avrebbe rischiato il fallimento e il gruppo editoriale avrebbe potuto risentirne».Il pericolo? Che il nuovo esecutivo bloccasse tutto.«Quando De Benedetti, che nel frattempo mi aveva licenziato dall’ Espresso, scoprì che avevo ottimi rapporti personali con Pinuccio Tatarella, ministro delle Poste e Telecomunicazioni, barese come me, da cui dipendeva il rilascio definitivo della concessione, cominciò a martellarmi di telefonate. Alla fine organizzai una colazione a casa mia. Lui e Tatarella si parlarono a quattr’occhi, e Pinuccio, che era un galantuomo, riconobbe che l’assegnazione della licenza era regolare».Rivendendola poi al gruppo Mannesmann, De Benedetti incassò l’astronomica cifra di 14.500 miliardi di lire.Si sdebitò, CDB? «Dopo il pranzo mandò dei fiori a mia moglie con un biglietto in cui c’era scritto “Grazie”: lo conserviamo come una reliquia di San Nicola».Amen.
        Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
    
        Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
    
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico. 
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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