
L’altolà di Washington non è nell’interesse di ucraini ed europei. E a Mosca Xi Jinping parla di nuovo ordine mondiale. Non so quanto sia attuabile il piano di pace che Xi Jinping ha presentato ieri a Vladimir Putin, ma credo che se anche la proposta contenesse una sola flebile speranza di interrompere il massacro in Ucraina, il mondo avrebbe l’obbligo, se non di acchiapparla, almeno di valutarla. Chiudere a prescindere la porta in faccia a un cessate il fuoco per puro calcolo politico infatti sarebbe cinico, perché la pace sarebbe giocata sulla pelle di milioni di persone che vivono sotto le bombe, ma anche sulla pelle di coloro che sempre più in Europa temono un’escalation del conflitto. Perciò mi ha molto colpito la posizione degli Stati Uniti, che di fronte alle notizie in arrivo da Mosca hanno reagito invitando Kiev e l’Europa a respingere a prescindere qualsiasi appello cinese a far tacere le armi. «Fondamentalmente ratificherebbe ciò che i russi sono stati in grado di conquistare dentro l’Ucraina e darebbe loro il tempo di prepararsi», ha spiegato il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale. Che non ci sia da fidarsi del presidente cinese è ovvio. Né a lui, né a Putin della democrazia importa qualche cosa: ogni autocrate se ne fa un baffo dei diritti e della vita umana. Tuttavia, non per questo l’Occidente ha messo al bando i Paesi retti da una dittatura. Fino a prima che la Russia invadesse l’Ucraina, lo zar del Cremlino era temuto e riverito. E il mondo con lui faceva affari senza preoccuparsi troppo di quel che il presidente russo combinava in Cecenia o di come eliminasse i dissidenti. Un comportamento che oggi si ripete con Xi Jinping, il quale, pur attuando una feroce repressione in Tibet e nelle province musulmane, è ritenuto un partner commerciale affidabile, al punto che dalla Cina compriamo ogni genere di prodotto senza farci troppi scrupoli. Se si parte dal concetto se ci sia da fidarsi di gente del genere, è naturale escludere qualsiasi trattativa. Ma il tema non è se Xi Jinping sia affidabile o democratico. Né se lo sia mai stato Putin. Il tema è molto più pratico: si può fermare questa guerra e qual è il prezzo da pagare per farlo?Dunque, mettiamo da parte il giudizio sulla Cina e sulla Russia, e andiamo all’essenza del problema: quanto ancora gli ucraini e anche noi siamo disposti a sopportare prima di ottenere la pace? Di quante migliaia di morti e di quanti effetti collaterali economici siamo disposti a farci carico? Ogni giorno che passa vede spazzare via vite umane e miliardi di Pil. Qual è il costo che ci possiamo permettere per la difesa del principio che Putin non può invadere un altro Stato e farla franca? Domande a cui non devono rispondere gli Stati Uniti, ma gli ucraini e gli europei, ovvero coloro che stanno pagando il costo dell’invasione.Aggiungo un’ulteriore riflessione. Dopo l’invasione dell’Ucraina, l’Occidente ha reagito con l’embargo, decidendo di sanzionare la Russia isolandola. Però, a distanza di un anno dall’inizio della guerra, Mosca non è affatto isolata, ma continua a intrattenere rapporti con una parte del mondo che rappresenta la maggioranza della popolazione mondiale. La mossa di Xi Jinping dunque non porta all’isolamento di Pechino, ma semmai al rischio di un isolamento dell’Occidente e della fragile Europa. Certo, il Pil della Cina precipiterebbe se l’Europa smettesse di comprare gli aggeggi fabbricati a Pechino, ma molto probabilmente anche quello dell’Europa, privata dei prodotti Made in China che sono indispensabili per le nostre aziende e per la nostra economia. Ieri Xi Jinping ha parlato di un nuovo ordine mondiale, lasciando intendere l’esistenza di un progetto che riunisce gli interessi cinesi a quelli russi, ma anche di una parte del mondo che non ama l’Occidente. Questo è il vero rischio con cui dobbiamo fare i conti. Non si tratta di discutere di quante munizioni abbia Kiev o di quanti carri armati o aerei da combattimento regalare all’Ucraina, ma di quanto potrebbe accadere se la guerra proseguisse riunendo quelli che un tempo avremmo chiamato Paesi canaglia. Pechino non può permettersi l’embargo ai propri prodotti, ma noi possiamo permetterci di giocare con il fuoco? Soprattutto, siamo pronti a lasciare che invece del buon senso parlino le armi?
Stephen Miran (Ansa)
L’uomo di Trump alla Fed: «I dazi abbassano il deficit. Se in futuro dovessero incidere sui prezzi, la variazione sarebbe una tantum».
È l’uomo di Donald Trump alla Fed. Lo scorso agosto, il presidente americano lo ha infatti designato come membro del Board of Governors della banca centrale statunitense in sostituzione della dimissionaria Adriana Kugler: una nomina che è stata confermata dal Senato a settembre. Quello di Stephen Miran è d’altronde un nome noto. Fino all’incarico attuale, era stato presidente del Council of Economic Advisors della Casa Bianca e, in tale veste, era stato uno dei principali architetti della politica dei dazi, promossa da Trump.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 10 novembre con Carlo Cambi
Martin Sellner (Ansa)
Parla il saggista austriaco che l’ha teorizzata: «Prima vanno rimpatriati i clandestini, poi chi commette reati. E la cittadinanza va concessa solo a chi si assimila davvero».
Per qualcuno Martin Sellner, saggista e attivista austriaco, è un pericoloso razzista. Per molti altri, invece, è colui che ha individuato una via per la salvezza dell’Europa. Fatto sta che il suo libro (Remigrazione: una proposta, edito in Italia da Passaggio al bosco) è stato discusso un po’ ovunque in Occidente, anche laddove si è fatto di tutto per oscurarlo.
Giancarlo Giorgetti e Mario Draghi (Ansa)
Giancarlo Giorgetti difende la manovra: «Aiutiamo il ceto medio ma ci hanno massacrati». E sulle banche: «Tornino ai loro veri scopi». Elly Schlein: «Redistribuire le ricchezze».
«Bisogna capire cosa si intende per ricco. Se è ricco chi guadagna 45.000 euro lordi all’anno, cioè poco più di 2.000 euro netti al mese forse Istat, Banca d’Italia e Upb hanno un concezione della vita un po’…».
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, dopo i rilievi alla manovra economica di Istat, Corte dei Conti e Bankitalia si è sfogato e, con i numeri, ha spiegato la ratio del taglio Irpef previsto nella legge di Bilancio il cui iter entra nel vivo in questa settimana. I conti corrispondono a quelli anticipati dal nostro direttore Maurizio Belpietro che, nell’editoriale di ieri, aveva sottolineato come la segretaria del Pd, Elly Schlein avesse lanciato la sua «lotta di classe» individuando un nuovo nemico in chi guadagna 2.500 euro al mese ovvero «un ricco facoltoso».






