2024-01-23
«Griselda»: su Netflix l'epopea della Escobar al femminile
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Sofia Vergara nei panni di Griselda Blanco (Netflix)
Il 25 gennaio parte la miniserie sulla più temuta narcotrafficante donna, che terrorizzò anche Pablo Escobar. Sofia Vergara interpreta Griselda Blanco, regina della cocaina dalla Colombia agli Usa. Spietata, ma anche dotata di un'intelligenza straordinaria.L’hanno chiamata «Vedova Nera», poi «Madrina». Griselda Blanco è stata la signora della cocaina, l’unico «uomo» di cui Pablo Escobar abbia mai detto di aver avuto paura. Era spietata, tanto cattiva quanto all’apparenza placida. Le forze dell’ordine hanno stabilito abbia ordinato circa duecento omicidi nel corso della propria vita, spezzata alla vigilia dei settant’anni, due spari e una motocicletta. Griselda Blanco, cui Netflix ha voluto dedicare una miniserie televisiva, Griselda, senza cognomi ad appesantirla, è stata una criminale più violenta, più ruvida, più astuta di quanto non siano stati i suoi pari, gli uomini del narcotraffico colombiano. Sofia Vergara non è riuscita a spiegarsi perché, cos’abbia potuto portare una donna, una madre, ad infilarsi fra le spire di un business tanto rabbioso. «Non si può generalizzare, ma direi che tutte le donne in Colombia hanno uno stesso modo di guardare alla vita, con entusiasmo e ottimismo, con un occhio al futuro. Senza depressione, ma con felicità. Griselda Blanco, una ex prostituta senza istruzione, aveva questo stesso afflato dentro di sé. Era intelligente, scaltra. Se avesse voluto, sarebbe potuta diventare il presidente della Colombia, ma ha scelto la strada della criminalità», ha cercato di spiegare l’attrice, interprete per Netflix della trafficante. Griselda Blanco, l’infanzia negata, i natali in Colombia, una madre alcolista e un padre fantasma, è partita da lontano, prostituta per sbarcare il lunario. Aveva vent’anni, la promessa di una vita davanti. Voleva soldi, autonomia. Le stesse cose che Sofia Vergara ha detto aver cercato per sé, immigrata negli Stati Uniti. Poi, però, qualcosa si è incrinato, qualcosa è cresciuto oltre la misura lecita. Griselda Blanco ha cominciato ad uccidere. Prima, il marito. Poi, i nemici. Comandava e altri eseguivano. Avrebbe voluto far ammazzare persino i bambini, come monito, come avvertimento. Tutti dovevano sapere quanto fosse disposta a sacrificare Griselda, che la società dell’epoca, a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, avrebbe voluto casalinga. Griselda Blanco, la cui storia – in parte – è ricostruita nei sei episodi della serie Netflix, disponibile online da giovedì 25 gennaio, avrebbe fatto tutto pur di dimostrarsi spietata quanto gli uomini. Più degli uomini. E lo ha fatto, regina di un business, quello del narcotraffico, che si è sempre creduto esclusiva maschile. Griselda Blanco, partita dalla Colombia alla volta degli Stati Uniti, è riuscita a trasformare New York e Miami, poi le città più a Sud della California, in centri di importazione della cocaina. Bianca, pura, neve colombiana, ben più raffinata e perciò tagliabile di quella che allora poteva trovarsi negli Stati Uniti. Niente ha saputo fermarla, nemmeno il carcere. Nemmeno la morte di tre fra i quattro figli. La Blanco, cui Sofia Vergara ha saputo dare una buona credibilità e tridimensionalità, ha spadroneggiato finché ha potuto, finché la morte – violenta quanto la vita – non è sopraggiunta, irreversibile ed eterna. Ma Griselda, la serie, non le è andata dietro, non del tutto. Lo show, in buona parte recitato in spagnolo, ha saputo trovare una sua chiave di lettura, alleggerendo un racconto che le cronache imporrebbero come cupo e sanguinoso. Non è una commedia, sia chiaro, e nemmeno ambisce ad esserlo. Ma Griselda, nei suoi sei episodi, è il tentativo (riuscito) di grattare la superficie per (cercare di) scoprire chi sia stata la Blanco. Quali e quante fragilità abbia patito, quante insicurezza, quanti compromessi abbia dovuto ingurgitare per diventare la versione orripilante e truculenta di un narcotrafficante.