2024-08-13
«Il Green deal inguaia le imprese Ue. Subito dazi al 50% contro Pechino»
Nel riquadro Elvio Silvagni (Ansa)
Il proprietario della Valleverde Elvio Silvagni: «Le regole dell’agenda ecologica europea alzano i costi di energia e materie prime. E non bastano le barriere doganali perché vengono aggirate. Di questo passo i listini saranno più cari».«Non c’è tempo da perdere. Bisogna introdurre prima possibile dazi almeno del 50% sui prodotti provenienti dalla Cina a cominciare da abbigliamento e calzature. Ci stanno facendo una concorrenza spietata. E non mi venissero a dire la solita narrazione che alla fine la qualità del made in Italy è superiore. Ma quale made in Italy? Se ne discusso durante la missione della premier Giorgia Meloni a Pechino? Altro che Green deal, questo è il tema più importante che la neo presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen dovrebbe affrontare. L’agenda verde aumenta il costo dell’energia e delle materie prime e i Paesi come quelli orientali che se ne infischiano, sono avvantaggiati. Le imprese europee sono a rischio lo si vuole capire o no?». Elvio Silvagni è un fiume in piena. Amministratore unico di Silver 1, detiene il marchio Valleverde, noto brand delle scarpe comfort. Un’azienda che è un gioiellino. Rilevata una decina di anni fa, mentre era in serie difficoltà, ora va a gonfie vele. Nel 2023 il fatturato ha registrato una crescita a doppia cifra a circa 32 milioni, oltre +28% rispetto al 2022. Le calzature sono vendute in oltre 1.200 negozi multibrand: quello italiano è tuttora il principale mercato di riferimento, ma il management guarda sempre di più all’internazionalizzazione per rafforzare la crescita. «Esportiamo il 20% circa in Europa ma non ho esitazione a dire che produciamo circa il 30% in Estremo Oriente. Lo fanno tutti nella moda anche se nessuno ha il coraggio di dirlo apertamente».Ma allora il made in Italy?«Una bella favola per chi ci crede. Il prodotto quasi finito arriva in Italia e le aziende introducono un paio di rifiniture in più e mettono il marchio fabbricato in Italia. Ma non possono fare diversamente. Produrre in Estremo Oriente costa il 40% in meno. La Cina sta invadendo l’Europa dei suoi prodotti, la sta impoverendo. E con il Green deal Bruxelles le dà una mano».In che modo?«Con le regole stringenti della transizione ecologica stanno aumentando i costi delle materie prime, dell’energia e dei trasporti. In Asia invece si continua a produrre senza vincoli e questo consente di mantenere i prezzi bassi».Ma la qualità del made in Italy alla fine non è premiante?«Ancora con questa favola della qualità superiore dei prodotti europei e Italiani. In Cina ma anche in Pakistan, Vietnam, Myanmar, Thailandia, dove i cinesi mandano i semilavorati per aggirare le barriere doganali europee, ci sono fabbriche enormi, da 10.000 operai che lavorano 12 ore al giorno anche il sabato. Su un prodotto ci stanno anche in dieci addetti e la qualità, vi assicuro, è la stessa di quella italiana. Solo che lì un operaio è pagato 100 euro al mese, da noi 3.000 euro. Il problema va affrontato con intelligenza. Non basta mettere i dazi alla Cina. Bisogna affrontare il tema degli escamotage i Pechino per superare le barriere doganali».I cinesi fanno i furbetti?«L’Europa pone dazi del 16,8% sulle calzature a maggioranza sintetiche e l’8% sulla pelle. Ma inviando i semilavorati in Bangladesh, Vietnam, Myanmar che poi esportano i prodotti finiti in Europa esenti da dazi, ecco che il gioco è fatto. Non solo. I governi europei addirittura incentivano le esportazioni di questi Paesi con sussidi perché rientrano tra quelli considerati poveri e da aiutare. Quindi applicare dazi oltre il 50% alle produzioni cinesi non basta se non si risolve anche questo problema. La concorrenza è spietata. Anche l’alta moda che pure ha sempre un grande appeal sul mercato asiatico, ha registrato recentemente una flessione. I produttori europei sono stretti nella morsa dei rincari delle materie prime e delle norme ecologiche. C’è stato un calo generalizzato degli ordinativi dal 20 al 40%».Prevedete un aumento dei prezzi dei listini per il prossimo autunno?«La stagione invernale l’abbiamo già chiusa ma per quella estiva del 2025, stimiamo aumenti del prodotto finale del 5-6%. D’altronde non possiamo assorbire totalmente i rincari dell’energia e delle materie prime. Qualcosa finisce anche per essere pagato dal consumatore che è sempre meno attratto dal Made in Italy costoso».Vuol dire che il Made in Italy ha perso attrattiva?«Voglio dire che chi acquista è sempre più attento al costo. Le priorità ora sono i viaggi e la ristorazione meno l’abbigliamento. O meglio, con tutta l’offerta anche online a prezzi stracciati, il consumatore viene attirato da prodotti che gli fanno spendere meno ed essere alla moda. E qui torniamo alla Cina. Le manifatture che vengono dall’Estremo Oriente non sono più quelle di qualche anno fa. La tecnologia si è affinata e sono in grado di sfornare manifatture in poco tempo, in linea con i gusti europei. Quando io mando via mail un disegno, un modello, in una fabbrica asiatica, ricevo il prototipo nel giro di massimo 10 giorni. Io preferirei non andare in Asia e restare in Italia o in Europa, ma è una scelta obbligata. E con il Green deal che spingere ancora più in alto i costi di produzione, non ci saranno alternative. Lo temo».
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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