L’ingresso di Kiev nell’Unione avrebbe un impatto devastante sulla Politica agricola comunitaria. Per accoglierla senza decurtare i contributi europei agli altri 27 Paesi occorre un salasso. Intanto tornano le proteste: ieri Varsavia è stata assediata dai contadini.
L’ingresso di Kiev nell’Unione avrebbe un impatto devastante sulla Politica agricola comunitaria. Per accoglierla senza decurtare i contributi europei agli altri 27 Paesi occorre un salasso. Intanto tornano le proteste: ieri Varsavia è stata assediata dai contadini.Se Ursula von der Leyen si preoccupa di armare l’Europa per difendere l’Ucraina, farà bene anche a occuparsi di come disarmare la «minaccia» ucraina per gli agricoltori pronti a trasformare i campi in un fronte di battaglia. Ieri a Varsavia si è vissuta una giornata ad altissima tensione. Oltre centomila manifestanti si sono radunati attorno alla capitale polacca dopo una marcia dei trattori durata sette giorni che ha paralizzato il Paese. Hanno incendiato copertoni davanti al Parlamento, hanno lanciato uova e petardi contro il premier Donald Tusk e bloccato il traffico. Sono stati dispersi dopo molte ore da cariche dalla polizia, ma non hanno intenzione di togliere l’assedio. La loro protesta è indirizzata su tre fronti: l’importazione «selvaggia» di grano ucraino che viene venduto a prezzi stracciati e che, triangolato attraverso la Lituania, passa per comunitario, le politiche green dell’Europa che erodono i redditi di chi coltiva e il governo Tusk accusato di essere subalterno a Bruxelles. Sono le stesse parole d’ordine degli agricoltori cechi che annunciano per oggi un’imponente manifestazione a Praga. I fermiers francesi tre giorni fa hanno pacificamente assediato l’Arco di Trionfo a Parigi e nella notte hanno scaricato balle di fieno sugli Champs Elysees. La polizia ha fatto 66 arresti perché la manifestazione non era autorizzata, ma gli agricoltori - che già avevano bloccato il presidente Emmanuel Macron e il primo ministro Gabriel Attal al Salone dell’Agricoltura - hanno ribadito: «Vogliamo che l’Europa tolga di mezzo il Green deal, che ci venga riconosciuto il giusto prezzo, perché il 45% delle aziende francesi sta morendo, e che si dichiari la fine degli accordi per il libero scambio; fanno invadere l’Europa di merce di bassa qualità». Però la Von der Leyen, incurante che le proteste stanno per ripartire anche in Italia e in Spagna e che puntano dritto su Bruxelles, va in direzione ostinata e contraria. Non solo ha tolto i dazi sui prodotti agricoli ucraini fino al 2025, ma ha promesso a Voldymur Zelensky di far entrare l’Ucraina nell’Ue con un percorso accelerato. Il Centro studi Divulga ha stimato che l’importazione in Italia di cereali dall’Ucraina è esplosa: grano tenero (+260%), mais (+230%) e orzo (+128%). A crescere sono anche gli arrivi di carni avicole (oltre 700 tonnellate complessive), semi di girasole (+368%) e soia (+108%). Un altro centro studi, il Gea, ha stimato l’impatto dell’ingresso dell’Ucraina nell’Ue sulla politica agricola comunitaria. Per accogliere Kiev senza decurtare i contributi agli altri 27 Paesi occorrono cento miliardi. Lo studio è stato presentato ad Agrifood 24 a Bruxelles, presente il Commissario all’agricoltura Janusz Wojciechowski, e rivela che, poiché l’Ucraina ha una superficie coltivata di 41 milioni ettari, farebbe aumentare del 20% la superficie agricola europea (ora pari a 157 milioni di ettari) e per erogare i contributi agli ucraini si dovrebbe aumentare il budget agricolo di 98 milioni di euro. Se si lasciasse invariato l’ammontare della Pac, che è pari a 378 miliardi, in sette anni con l’ingresso dell’Ucraina per ogni ettaro coltivato gli agricoltori riceverebbero 272 euro anziché gli attuali 343. Per l’Italia ci sarebbe un taglio di circa 1,4 miliardi. Utilizzando dati dell’Università di Perugia, Gea ha valutato che la Lombardia perderebbe il 52% dei contributi passando da oltre 600 milioni a meno di 300; la Calabria con meno 48%, passerebbe da quasi 400 milioni a 200, il Veneto con meno 47%, scenderebbe da 500 milioni a circa 250. Fortemente penalizzate sarebbero anche Piemonte, Emilia Romagna, Marche, Friuli Venezia Giulia, Campania e Umbria. Dunque, se l’agricoltura sarà usata come «prodotto diplomatico», si andrà incontro a impoverimento reale delle nostre aziende senza contare che oggi l’agricoltura ucraina è in mano ad alcune multinazionali dei cereali (in particolare Cargill e Adams) di alcuni grossi gruppi mondiali della carne (Jbs su tutti) e che dunque i contributi Pac non andrebbero affatto ai contadini oppressi dalla guerra, anche perché Zelensky ha varato un massiccio programma di vendita di terreni agricoli dello Stato. Gea ha preso in esame anche la limitazione dei fitofarmaci, così come imposto dal Farm to Fork europeo. Risulta dai dati dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e Cremona e di Assofertilizzanti che si ha sulla produzione italiana questo impatto: meno 14,5% per il frumento duro, meno 12,3% per il grano tenero, meno 12% per il mais, crollo del 12,6% del pomodoro, del 6,6% della soia e del 9,9% per l’uva da vino. La perdita di produzione è pari a 5,4 miliardi di euro. Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, commentando i dati afferma: «Se non ci fosse la Pac i 300 miliardi di contributi sarebbero caricati sui prezzi finali e pagati dai consumatori. Quanto all’Ucraina, va sostenuta, ma non è accettabile che a pagare il prezzo di una possibile entrata nell’Ue sia la filiera agroalimentare, anche considerando che sempre più fondi speculativi internazionali stanno mettendo le mani su una parte crescente dell’agricoltura di quel Paese, danneggiando gli stessi piccoli agricoltori ucraini». Cristina Tinelli di Confagricoltura sostiene: «Da sempre diciamo che la Pac va cambiata, che è inadeguata e la Commissione deve farlo subito». Ettore Prandini presidente di Coldiretti auspica che «nel Consiglio europeo di marzo ci sia la svolta necessaria e chiediamo una Pac più vicina alle imprese». Altrimenti i trattori torneranno al fronte.
L’aumento dei tassi reali giapponesi azzoppa il meccanismo del «carry trade», la divisa indiana non è più difesa dalla Banca centrale: ignorare l’effetto oscillazioni significa fare metà analisi del proprio portafoglio.
Il rischio di cambio resta il grande convitato di pietra per chi investe fuori dall’euro, mentre l’attenzione è spesso concentrata solo su azioni e bond. Gli ultimi scossoni su yen giapponese e rupia indiana ricordano che la valuta può amplificare o azzerare i rendimenti di fondi ed Etf in valuta estera, trasformando un portafoglio «conservativo» in qualcosa di molto più volatile di quanto l’investitore percepisca.
Per Ursula von der Leyen è «inaccettabile» che gli europei siano i soli a sborsare per il Paese invaso. Perciò rilancia la confisca degli asset russi. Belgio e Ungheria però si oppongono. Così la Commissione pensa al piano B: l’ennesimo prestito, nonostante lo scandalo mazzette.
Per un attimo, Ursula von der Leyen è sembrata illuminata dal buon senso: «È inaccettabile», ha tuonato ieri, di fronte alla plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo, pensare che «i contribuenti europei pagheranno da soli il conto» per il «fabbisogno finanziario dell’Ucraina», nel biennio 2026/2027. Ma è stato solo un attimo, appunto. La presidente della Commissione non aveva in mente i famigerati cessi d’oro dei corrotti ucraini, che si sono pappati gli aiuti occidentali. E nemmeno i funzionari lambiti dallo scandalo mazzette (Andrij Yermak), o addirittura coinvolti nell’inchiesta (Rustem Umerov), ai quali Volodymyr Zelensky ha rinnovato lo stesso la fiducia, tanto da mandarli a negoziare con gli americani a Ginevra. La tedesca non pretende che i nostri beneficati facciano pulizia. Piuttosto, vuole costringere Mosca a sborsare il necessario per Kiev. «Nell’ultimo Consiglio europeo», ha ricordato ai deputati riuniti, «abbiamo presentato un documento di opzioni» per sostenere il Paese sotto attacco. «Questo include un’opzione sui beni russi immobilizzati. Il passo successivo», ha dunque annunciato, sarà «un testo giuridico», che l’esecutivo è pronto a presentare.
Luis de Guindos (Ansa)
Nel «Rapporto stabilità finanziaria» il vice di Christine Lagarde parla di «vulnerabilità» e «bruschi aggiustamenti». Debito in crescita, deficit fuori controllo e spese militari in aumento fanno di Parigi l’anello debole dell’Unione.
A Francoforte hanno imparato l’arte delle allusioni. Parlano di «vulnerabilità» di «bruschi aggiustamenti». Ad ascoltare con attenzione, tra le righe si sente un nome che risuona come un brontolio lontano. Non serve pronunciarlo: basta dire crisi di fiducia, conti pubblici esplosivi, spread che si stiracchia al mattino come un vecchio atleta arrugginito per capire che l’ombra ha sede in Francia. L’elefante nella cristalleria finanziaria europea.
Manfred Weber (Ansa)
Manfred Weber rompe il compromesso con i socialisti e si allea con Ecr e Patrioti. Carlo Fidanza: «Ora lavoreremo sull’automotive».
La baronessa von Truppen continua a strillare «nulla senza l’Ucraina sull’Ucraina, nulla sull’Europa senza l’Europa» per dire a Donald Trump: non provare a fare il furbo con Volodymyr Zelensky perché è cosa nostra. Solo che Ursula von der Leyen come non ha un esercito europeo rischia di trovarsi senza neppure truppe politiche. Al posto della maggioranza Ursula ormai è sorta la «maggioranza Giorgia». Per la terza volta in un paio di settimane al Parlamento europeo è andato in frantumi il compromesso Ppe-Pse che sostiene la Commissione della baronessa per seppellire il Green deal che ha condannato l’industria - si veda l’auto - e l’economia europea alla marginalità economica.




