2021-08-11
Governo smentito dal Garante privacy. Sui controlli del pass regna la confusione
L'Autorità corregge il Viminale: «I ristoratori possono chiedere i documenti». Come recita la norma, scritta male dall'esecutivo.Giornataccia per Luciana Lamorgese, con il Garante della privacy che sembra inchiodare il ministro alle sue contraddizioni. Siamo di fronte a un grande classico: quando c'è un buco, non è detto che una toppa applicata frettolosamente migliori la situazione o nasconda lo strappo. È questa la poco simpatica condizione in cui il governo si è cacciato, dapprima varando norme esageratamente restrittive sul green pass, e poi, com'è accaduto l'altro ieri con le dichiarazioni del ministro dell'Interno, tentando di smorzarne un impatto applicativo altrimenti devastante.Riassunto delle puntate precedenti: come questo giornale aveva spiegato sin dall'inizio, sarebbe stato surreale attribuire agli esercenti funzioni da pubblici ufficiali. La titolare del Viminale ha avuto bisogno di diversi giorni per accorgersene, ma poi se n'è a sua volta resa conto, affermando a voce che ristoratori e gestori dovranno sì controllare il green pass, ma non il documento di identità dei clienti. Non solo: la Lamorgese ha aggiunto che realisticamente non saranno nemmeno le forze dell'ordine a occuparsi di questa seconda verifica (per non sottrarre energie al contrasto alla criminalità) ma i vigili urbani, attraverso controlli a campione. E già qui il rischio della canzonatura è dietro l'angolo: da un lato green pass fasulli e taroccati, dall'altro verifiche casuali, discrezionali, arbitrarie. Ad aggravare il caos c'è un fatto ulteriore: la app usata per «leggere» il Qr code del green pass dice una cosa diversa: «Per completare la verifica è necessario confrontare i dati anagrafici sotto riportati con quelli di un valido documento di identità». La app è stata cioè concepita dando per scontato che sia proprio il gestore a dover fare entrambi i controlli. Esattamente ciò che ristoratori e baristi (giustamente) non vogliono fare, e che la stessa Lamorgese ha tardivamente riconosciuto non essere loro prerogativa. E allora? Si attende (con il consueto ritardo) una circolare interpretativa del Viminale, che quasi certamente tenterà di ottenere la quadratura del cerchio: a parole restare fedele alla norma contenuta nel decreto, nei fatti piegarla a un'interpretazione flessibile e «democristiana». Come? È molto probabile che il Viminale metterà nero su bianco questa distinzione: il controllo del documento di identità sarà consentito solo ai pubblici ufficiali (forze dell'ordine, vigili) o al massimo ai soggetti identificabili nell'area degli incaricati di pubblico servizio (ad esempio, controllori nel settore del trasporto, oppure responsabili anche privati della sicurezza di eventi, raduni sportivi, concerti, spettacoli, e così via). Quanto a ristoratori e baristi, loro non potranno controllare il documento: potranno soltanto chiedere ai clienti di mostrare il green pass, e al massimo limitarsi a una vaghissima (e dai contorni giuridicamente incerti) valutazione di «congruità» (età del soggetto, eccetera). La realtà è che ancora una volta si sta aggirando l'ostacolo: anziché cambiare una norma scritta male e pensata peggio (e per cambiarla formalmente ci sono solo due strade: una modifica in sede di conversione parlamentare del decreto legge, oppure il varo di un altro decreto), si cerca di intervenire sulla sua interpretazione con un atto assolutamente subordinato nella gerarchia delle fonti (da quando in qua, con una circolare, si modica - sia pur surrettiziamente - il contenuto di un decreto?). E a complicare le cose - per la Lamorgese - provvede anche una risposta del Garante della privacy alla Regione Piemonte: l'autorità, esaminando la disciplina ora vigente, mette nero su bianco che in realtà il controllo del green pass dovrebbe anche includere quello del documento di identità. Il contrario di quanto sostenuto dalla Lamorgese. Resta infine il classico elefante nella stanza. Se il Viminale dice che le possibilità di verifica e controllo di un esercente sono limitate, perché il decreto prevede, a suo danno, sanzioni draconiane? Eh sì, perché le pene non riguardano solo il cittadino privo di green pass (multa fino a 1.000 euro, addirittura con denuncia per falso se la carta è taroccata), ma pure il negoziante, che rischia la chiusura fino a 10 giorni alla terza violazione, «dopo due violazioni commesse in giornate diverse». E qui siamo davvero alla fantascienza: si ammette che il ristoratore non abbia titolo per chiedere il documento di identità, ma lo si minaccia di chiusura se nel suo locale ci sono state violazioni di questo tipo. E qui non se ne può certo uscire inventandosi un'interpretazione: occorre che la parte del decreto relativa alle sanzioni sia modificata in modo chiaro e trasparente. Su tutto questo, è ben difficile dare torto allo chef Gianfranco Vissani, che, sentito da Repubblica, ha sparato a zero: «Le rassicurazioni della Lamorgese sul green pass? Peggio di prima». Dopo di che, Vissani, comprensibilmente, si infervora: «È sempre un caos. Anzi, c'è ancora più confusione. Prima ci dicono: “Dovete controllare i documenti". Ora invece che non serve, che non siamo poliziotti e che basta verificare i green pass come i biglietti al cinema. E poi che succede? E se sono falsi? È una stronzata». Come dargli torto?
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)