2021-12-23
Il governo dà la colpa ai cittadini per occultare i suoi sette fallimenti
Chi avrebbe dovuto non ha saputo, potuto o voluto fare: screening di massa, messa in sicurezza delle aule, accordi con istituti privati, interventi sul Tpl, potenziamento della sanità, tracciamento, prezzo dei tamponi.Diceva Albert Einstein che la follia sta nel fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi. Eppure, le autorità politiche, passando per corti e coorti di virologi e comitati tecnici, sembrano insistere in modo ossessivo-compulsivo nel ripetere i medesimi errori. Come si spiega questa irragionevole perseveranza? Certo, gioca un ruolo la scarsa propensione di qualsiasi burocrazia all’autocritica.Ma forse c’è anche dell’altro, e si tratta di un cinico calcolo politico. Così facendo, lo scrutinio continua a essere indirizzato sul cittadino e mai sul potere. Il capro espiatorio è lì (cioè, siamo noi), pronto a essere colpevolizzato e immolato. Al contrario, il decisore pubblico si autoesonera da qualunque onere della prova, da ogni meccanismo razionale di verifica del suo operato. E così, dopo due governi e due anni di emergenza pandemica, si prosegue (con l’aiuto della maggior parte dei media) a gettare la croce addosso agli italiani, per meglio occultare almeno sette macroscopici fallimenti pubblici. Primo, il mancato screening di massa attraverso i tamponi rapidi, salivari o nasali. Per mesi, La Verità ha insistito con una proposta-uovo di Colombo, valida per le scuole e per le aziende, che avrebbe consentito non solo un monitoraggio costante della situazione, ma avrebbe anche sdrammatizzato molte tensioni. Prendiamo l’esempio di un istituto scolastico: l’uso sistematico e non invasivo di un tampone orale avrebbe consentito di far proseguire l’attività senza esporsi a un andamento a singhiozzo delle lezioni. E invece? Si è limitata l’adozione di questo strumento a pochi istituti-campione, vanificando l’operazione. Secondo, il nulla di fatto sulla messa in sicurezza delle aule attraverso impianti di ventilazione meccanica controllata. Era scontato che, dovendo fare i conti con la circolazione del virus in ambienti chiusi, la purificazione e il riciclo dell’aria fossero carte decisive. E invece? Si sono buttati più di 300 milioni dei contribuenti per i banchi a rotelle, limitandosi per il resto alla raccomandazione di aprire le finestre. Come se in pieno inverno fosse una soluzione intelligente far morire di freddo gli alunni.Terzo, ancora sulle aule. Sempre qui sulla Verità, sin dall’inizio, si era caldeggiata un’intesa con gli istituti privati, finalizzata ad aumentare le aule disponibili. Un po’ per motivi ideologici, un po’ per disorganizzazione, non risultano passi concreti. Così come ben poco si è fatto per lo scaglionamento di orari e ingressi e la moltiplicazione dei turni. Quarto, il trasporto pubblico. Un’altra campagna del nostro giornale - ragionevole quanto praticabile - aveva incoraggiato accordi massicci e sistematici con le compagnie private di trasporto turistico per il potenziamento dei bus. Certo, un’intesa con queste compagnie non avrebbe potuto aumentare le linee di treni e metropolitane (ovvio), ma avrebbe certamente portato a un poderoso aumento dei mezzi su gomma da destinare ai ragazzi per raggiungere le scuole e tornare a casa. Quinto, terapie intensive e ricoveri ordinari. Già appare curioso che con dati di ricovero di poco superiori al 10%, si gridi al collasso. Ma resta il fatto che si sarebbe potuto fare molto di più (in considerazione della massa di denaro pubblico spesa in ventiquattro mesi) per potenziare gli organici di medici e infermieri (con particolare riguardo al personale addetto alla rianimazione). Così come non si capisce perché ci si sia fermati a circa 9.000 posti di terapia intensiva, con voci insistenti (mai smentite in modo definitivo) secondo cui non tutti sarebbero effettivamente attivabili. Così come non si capisce perché sia rimasto senza seguito il progetto di strutture mobili, eventualmente spostabili nell’una o nell’altra zona critica, in base all’andamento delle emergenze sui territori. Sesto, il tracciamento. La vicenda della mitologica app Immuni è ormai consegnata alla storia. Ma resta il fatto che è contraddittorio - nei giorni pari - gloriarsi per il «vantaggio» di due settimane che l’Italia vanterebbe rispetto ad altri Paesi europei rispetto alla diffusione dell’una o dell’altra variante, e poi - nei giorni dispari - scoprire che non ci siamo dotati di un efficace meccanismo per accorgerci in tempo della diffusione delle linee di contagio. E infine settimo, il prezzo dei tamponi. Per mesi (si pensi al leggendario «costo psichico» teorizzato da Renato Brunetta, con tanto di evocazione sadica del lungo cotton fioc che doveva arrivare fino al cervello), si sono branditi i tamponi come clava per punire i non vaccinati. A questa linea di pensiero ha fatto da pendant il costo elevato dei tamponi, nonostante l’insistenza sul fatto che i prezzi fossero «calmierati»: come se spendere 15 euro per 15 volte al mese (225 euro mensili) fosse una cosetta da niente per il budget degli italiani. E invece? Joe Biden ha preannunciato la consegna (gratuita) di mezzo miliardo di test agli americani, mentre già da mesi Boris Johnson, costantemente aggredito dai media nostrani, ne fa consegnare sette a famiglia ogni settimana. Come si vede, l’insistenza ossessiva su alcuni errori ha un motivo preciso. Celare ciò che le autorità non hanno saputo, potuto, voluto fare.
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
Continua a leggereRiduci
Mark Zuckerberg (Getty Images)
A Fuori dal coro Raffaella Regoli mostra le immagini sconvolgenti di un allontanamento di minori. Un dramma che non vive soltanto la famiglia nel bosco.
Le persone sfollate da El Fasher e da altre aree colpite dal conflitto sono state sistemate nel nuovo campo di El-Afadh ad Al Dabbah, nello Stato settentrionale del Sudan (Getty Images)