2021-12-01
Gli ultrà sanitari collezionano flop ma continuano a propinarci divieti
Boris Johnson (Paul Grover - WPA Pool/Getty Images)
Pur di fronte al fallimento dei diktat imposti finora, governo ed «esperti» alzano il tiro. Anziché procedere con prudenza, preferiscono sventolare la minaccia di nuove restrizioni, senza spazio per dubbi e dissenso.Chiunque si applichi a esaminare lo stato presente dell’emergenza Covid, e lo faccia - beninteso - con animo libero da pregiudizi, si troverà davanti a un’equazione con un numero piuttosto elevato di incognite. Per dirla ancora più chiaramente: sono tantissime le cose che non sappiamo. Non sappiamo esattamente la forza e l’impatto della cosiddetta variante Omicron: o meglio, dopo alcuni giorni, crediamo di sapere che essa sia molto meno pericolosa di come era stata descritta in prima battuta dalle autorità politiche e sanitarie. Tuttavia, non sappiamo se e cosa accadrà all’apparire (probabilissimo) di altre varianti, che inevitabilmente si genereranno, e che circoleranno a loro volta in tempi rapidissimi, in un mondo sempre più collegato e interconnesso. Alcune (auspicabilmente) si riveleranno meno insidiose, altre potrebbero invece (speriamo di no) rivelare una maggiore dannosità o comunque una superiore e più rapida facilità di contagio. Ancora: non sappiamo (e questo è un punto di debolezza oggettivo) quanto sia davvero temporalmente ampio l’ombrello della protezione vaccinale offerto a chi abbia ricevuto mesi fa la seconda dose. Se assumiamo come parametro una protezione di sei mesi, e quindi consideriamo in via di scadenza la tutela offerta a chi abbia avuto il secondo richiamo entro fine maggio, in questo momento ci sarebbero circa 5 milioni e mezzo di italiani - di fatto - «scoperti», per quanto dotati dell’inutile pezzo di carta chiamato green pass. E se per caso accorciamo la durata presuntiva della protezione a cinque mesi, e quindi riteniamo «scoperto» chi abbia ricevuto il secondo richiamo entro fine giugno, il numero degli italiani «greenpassati» ma ormai non più protetti si avvicinerebbe a 12 milioni. Il che, come questo giornale scrive da mesi, rende ancora più macroscopici gli errori del governo: anziché scatenare una crociata estiva e autunnale contro no vax e no green pass, l’esecutivo si sarebbe dovuto affrettare con 2-3 mesi di anticipo, seguendo gli esempi israeliano e britannico, a offrire le terze dosi ai più anziani e ai più fragili. Ancora: sappiamo che il livello di occupazione delle terapie intensive è basso, il che dovrebbe confortarci e dissuadere dalle ondate di panico. Al tempo stesso, non possiamo sottovalutare il rischio futuro di malaugurate accelerazioni della pressione ospedaliera nell’una o nell’altra Regione. Come si vede, le incognite sono effettivamente numerose e tutt’altro che trascurabili per importanza. Ecco, proprio questa fotografia mossa, non chiara, non nitida, non a fuoco, dovrebbe indurre i decisori a un sovrappiù di moderazione, a risposte miti e pronte ad essere eventualmente modulate. È davvero il caso di dirlo: servirebbe quello che per antonomasia è il metodo scientifico, e cioè un procedere per approssimazioni successive, per aggiustamenti costanti, per verifiche, secondo una logica induttiva, e cioè quella per cui ogni passo ulteriore deriva dalla acquisizione e dall’esame degli elementi di conoscenza che via via sopraggiungono. E invece? E invece le nostre autorità sembrano fare esattamente il contrario. Non metodo induttivo, ma deduttivo, con verità precostituite, tesi imposte dall’alto e programmaticamente non discutibili. Non approcci empirici, improntati al dubbio, ma atteggiamenti dogmatici, quasi religiosi: con relativa messa al rogo degli eretici, e cioè di chiunque osi sollevare dubbi, incluse personalità scientifiche (uno per tutti, il professor Andrea Crisanti) ascoltate con rispetto fino a qualche giorno prima. Non risposte miti, ma scelte politiche improntate a una durezza esplicitamente punitiva. Non ha funzionato il green pass? E allora ecco il super green pass. Ed ecco l’imposizione della mascherina all’aperto: scelta, questa, letteralmente surreale, chiaramente priva di qualunque base scientifica. Ma tutto il ventaglio degli strumenti adottati ha questo sapore: punire i «cattivi», senza che peraltro scatti alcun premio per i presunti «buoni»; tenere tutti sulla corda, imponendo regole sempre più draconiane, pur in presenza del fallimento delle regole precedenti. L’importante è imporre l’obbedienza e affermare un clima «esemplare» di repressione del dissenso. Per paradosso, non siamo a una nuova versione degli «anni del consenso»: ciò che conta è la repressione - visibile a tutti, dunque educativa - di ogni eventuale dissenziente. Così, il gioco è fatto, ottenendo un rovesciamento delle parti vantaggiosissimo per chi sta al potere, per almeno due ragioni. Primo: se le cose andranno bene, sarà merito dei governanti illuminati; se invece andranno male, sarà colpa dei cittadini che non le hanno rispettate abbastanza. Secondo: con una simile pressione politica, anche il sistema mediatico (rare e meritorie eccezioni a parte) si presta a non essere più strumento dei cittadini per realizzare uno scrutinio sull’azione di chi sta al potere, ma uno strumento di chi sta al potere per realizzare uno scrutinio sul grado di obbedienza dei sudditi. La sensazione è che non sarà facile né indolore uscire da questo circolo vizioso.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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