2022-04-01
Gli ultimi razzisti sono i progressisti dell’Occidente
MAssimo Recalcati (Getty Images)
Un disprezzo feroce accomuna i nostri dem e quelli Usa, pronti a esportare con le armi il proprio modello considerato superiore.I numerosi artiglieri da salotto italici, non avendo il fegato d’arruolarsi nelle brigate internazionali a supporto di Volodymyr Zelensky, sublimano pubblicando articoli intrisi di violenza e disgusto. Non solo nei confronti di Vladimir Putin - definito da Massimo Recalcati su Repubblica «un narcisista maligno e autodistruttivo» - ma pure verso chiunque s’azzardi a fornire una lettura della crisi appena meno manichea del consentito. Emblematico, al tal proposito, l’editoriale in cui Gianni Riotta ha liquidato un gigante della politologia quale John J. Mearsheimer alla stregua di un famiglio putiniano.Questo atteggiamento, condiviso da molti commentatori, potrebbe essere spiegato dalla diffusa tendenza a sottomettersi al pensiero prevalente, e a dimostrarsi - per convenienza - più realisti del re (laddove il re abita ovviamente a Washington). Tuttavia non si tratta soltanto di opportunismo: c’è molto di più. C’è un disprezzo feroce profondamente rivelatore della visione del mondo progressista la quale, non casualmente, accomuna la sinistra nostrana e i democratici statunitensi.Henry Kissinger spiegava con grande semplicità una contraddizione del concetto di ordine statunitense. «La convinzione che i principi americani siano universali», scriveva, «implica che i governi che non li praticano non siano pienamente legittimi. Questa tesi […] induce a pensare che una parte significativa del mondo viva in una situazione in qualche modo insoddisfacente, provvisoria, e che un giorno sarà redenta; nel frattempo, i rapporti di tale parte con la massima potenza mondiale devono essere connotati da un latente elemento conflittuale».La spinta «civilizzatrice» emerge regolarmente nella retorica statunitense. Persino ora che gli Usa non sono ufficialmente in guerra, essi si sentono in diritto di teorizzare un cambio di regime a Mosca, e presentano il sostegno all’Ucraina come un ineludibile appoggio alla parte belligerante «illuminata». Manco a dirlo, questo genere di discorsi si ritrova più frequentemente sulle labbra dei presidenti democratici, o dei repubblicani consigliati da neocon provenienti dalla sinistra (talvolta persino sinistra radicale). Non è affatto paradossale individuare tale forma di gnosi rivoluzionaria - derivata da una particolare tradizione protestante (molto istruttiva, tal proposito, la lettura di La Repubblica americana di Raymond Léopold Bruckberger, appena pubblicato dall’editore D’Ettoris) - come un fondamentale punto di congiunzione fra il culto americano del progresso e il progressismo postcomunista italiano ed europeo. E non è troppo forzato rintracciare esattamente in questa congiunzione l’origine del sentimento di superiorità (morale e materiale) che da sempre caratterizza gli amici d’Oltreoceano e i liberal nostrani.Il disastro ucraino - a prescindere dalle ragioni e dallo specifico della guerra - ci sta offrendo l’ennesima conferma dell’esistenza di un razzismo progressista che, probabilmente, costituisce ormai l’ultima forma di razzismo di massa esistente in Occidente. Chiunque non si adegui al modello illuminato dei sinceri democratici è ritenuto semplicemente inferiore, un subumano da rieducare, o un nemico da abbattere.Ecco perché Joe Biden non vuole far cessare la guerra: vuole destituire Putin e redimere la Russia. Allo stesso modo - su un piano inferiore e più ridicolo - la sinistra italica tenta di colpire gli avversari considerati responsabili di intelligenza col nemico.Il pensiero di destra - da sempre accusato di essere depositario di ogni male e, soprattutto, ottusamente razzista - contiene invece gli antidoti a tale visione uniformante del mondo. Autori tradizionalisti come René Guénon avevano individuato con precisione i tratti del vero razzismo contemporaneo, e li avevano duramente stigmatizzati. Parlando degli occidentali nel saggio Oriente e occidente, il pensatore francese scriveva: «Se essi si accontentassero di affermare la superiorità immaginaria che si attribuiscono, questa illusione porterebbe danno solo a loro; ma la cosa più tremenda è il loro furore di proselitismo: in essi lo spirito di conquista si traveste di principi “moralistici”, vogliono costringere il mondo intero a imitarli in nome della “libertà”!». Pure il tanto contestato (in questi giorni) Aleksandr Dugin, considera l’antirazzismo un fondamento della sua Quarta teoria politica: «L’ideologia del progresso è in sé razzista», spiega. È un antirazzismo, quello tradizionalista e conservatore, radicalmente diverso dal proclamato antirazzismo progressista.Quest’ultimo, a ben vedere, non ha fatto altro che appoggiare la tirannia delle minoranze, esibendosi nella difesa interessata di tutte le forze realmente anti europee e anti occidentali sulla piazza. L’antirazzismo conservatore prende al contrario le mosse dalla difesa della propria identità e dal rispetto di quelle altrui (comprese quella russa e quella cinese, nello specifico). L’antirazzismo progressista è, in realtà, il risvolto della superiorità morale, e postula la cancellazione dell’alterità per imporre un modello omologante decisamente antidemocratico e distruttivo (non per nulla ha prodotto la cultura della cancellazione, puntellata proprio da discorsi antirazzisti). Chi oggi accusa, soprattutto «da destra», i critici di Biden e della Nato di essere «nemici dell’Occidente», dovrebbe ricordarsi chi siano realmente i sedicenti difensori della libertà a cui sta reggendo le borse.Gli illuminati intenzionati a rieducare il narcisista Putin sono gli stessi che consideravano malati di mente i sovranisti, e che contemporaneamente - in nome del politicamente corretto - approvano i più intolleranti attivisti operanti in Occidente, che si tratti dei contestatori black o dei fanatici Lgbt+. Sono i veri razzisti pronti a esportare con le armi il proprio modello considerato superiore, e disposti a disprezzare chiunque non si adegui. Fanno professione di odio contro la Russia che ha invaso l’Ucraina e intanto tentano di invadere il mondo con la loro ideologia.
13 ottobre 2025: il summit per la pace di Sharm El-Sheikh (Getty Images)
iStock
In un mondo che ancora fatica a dare piena cittadinanza alla voce femminile, questa rivista è un atto di presenza, che ho fortemente voluto, con l’intenzione di restituire visibilità e valore alle donne che ogni giorno, in silenzio o sotto i riflettori, trasformano il mondo in cui vivono.
Quelle che fondano imprese e reinventano modelli economici, che fanno ricerca, innovano nelle professioni, guidano comunità e progetti sociali. Quelle che mettono la competenza al servizio dell’impegno civile, che difendono i loro diritti, che si fanno portavoce di una nuova idea di leadership: inclusiva, empatica, concreta. Non a caso in questo numero è stato dato largo spazio al premio Donna d’autore, promosso dall’A.i.d.e. (Associazione indipendente donne europee) e in modo particolare alla sua entusiasta presidente Anna Silvia Angelini, perché le premiate rappresentano in maniera evidente i modelli di Valore Donna, dove ogni pagina è una finestra aperta su storie di talento, coraggio e visione. Non ho voluto costruire solo un racconto di unicità, ma anche restituire la normalità della grandezza femminile: donne che riescono, che sbagliano, che ricominciano, che costruiscono futuro. La loro forza non è un’eccezione, ma una presenza quotidiana che Valore Donna vuole portare alla luce, con impegno, rispetto e franchezza. Questo progetto editoriale inoltre ha nel suo dna un’idea di qualità come responsabilità: nella scrittura, nelle immagini, nella scelta dei temi. Ogni contributo è frutto di una ricerca attenta, di un linguaggio curato e di una sensibilità che si sforza di vedere il mondo con occhi diversi. Dando spazio a voci nuove, a imprenditrici, giornaliste, intellettuali, professioniste, donne della politica, giovani, donne che operano nel terzo settore, donne che collaborano, si sostengono e che raccontano la realtà contemporanea senza filtri, con l’autenticità di chi la vive pienamente. Perché solo rinnovando lo sguardo si può cambiare la prospettiva. Valore Donna vuole essere una rivista che lascia un’impronta nel panorama editoriale del Paese, un luogo d’incontro tra generazioni, esperienze e linguaggi. Non un manifesto ideologico, ma un laboratorio vivo, dove la libertà di pensiero e la sensibilità estetica si intrecciano. Nel racconto di queste pagine c’è l’orgoglio delle donne che sognano e nello stesso tempo si impegnano non per rivendicare uno spazio, ma per abitarlo con la pienezza di chi sa di meritarlo. Perché il futuro si scrive soprattutto con le loro voci.
Per scaricare il numero di «Valore Donna» basta cliccare sul link qui sotto.
Valore Donna-Ottobre 2025.pdf
Continua a leggereRiduci