
Il sindaco Pawel Adamowicz è stato ucciso da un pazzo e la polizia nega moventi politici. Ma per sinistra e vertici Ue «è un martire» caduto per colpa dell'ideologia sovranista. Lo stesso stupro della memoria toccato ad Antonio Megalizzi.«Morire per Danzica» era il titolo di un pezzo di giornale passato alla storia, scritto nel 1939 da un futuro collaborazionista francese che appoggiava la «pace di Monaco» tra le potenze europee e Adolf Hitler. «Va bene stare con i polacchi e con la libertà, ma fino a un certo punto», era il senso della posizione politica di Marcel Deat. Morire a Danzica è un terribile fatto di cronaca di cui La Verità ha ovviamente dato conto ieri: lo storico sindaco della città polacca (era in carica da 20 anni) Pawel Adamowicz, padre di due figlie, è stato ferito a morte sul palco di una manifestazione di beneficenza. Il suo assassino si chiama Stefan Wilmont, è un ex galeotto di 27 anni che se ne è fatti cinque in carcere, e viene descritto come uno sbandato che aveva appena interrotto una terapia di psicofarmaci. È salito sul palco camuffandosi da operatore dei media, lo ha colpito con un lungo coltello, ha preso il microfono e ha farfugliato esultando come dopo un gol: «Sono stato in prigione da innocente, “Piattaforma civica" mi ha torturato e per questo Adamowicz è morto».Non c'è quasi bisogno di sottolineare la gravità della cosa, ed è sensato che l'atto criminoso induca la politica non solo polacca a sapersi mostrare capace di rispetto per gli avversari. Tuttavia, le reazioni soprattutto italiane all'evento fanno scattare un'altra sensazione, e cioè che a usare il cadavere del povero Adamowicz sia un'ideologia che si appropria e si nutre di morti per scopi non esattamente nobilissimi.«Pawel Adamowicz è un martire politico, vittima del terrorismo populista e sovranista», ha scritto su Twitter il senatore del Pd Roberto Rampi: «La mano di chi lo ha ucciso è stata armata dai mandanti morali che dominano la scena europea. Questa ideologia va fermata dalla lotta pacifica di tutti i democratici europei». È la punta più spericolata e avanzata di un pensiero che si è imposto rapidamente, anche se con toni più cauti: «L'omicidio del sindaco di Danzica è un colpo al cuore dell'Europa, dei suoi valori, dei suoi ideali», ha per esempio scandito Matteo Renzi: «Oggi è un giorno di lutto per chi crede nella politica e nell'Europa». Così invece Roberto Giachetti (sempre Pd): «L'odio, la violenza, i venti populisti. Pawel Adamowicz è stato accoltellato per questo motivo». Sui giornali di ieri campeggiavano titoli sulla morte di un «antisovranista», «aperto al mondo», in favore della società multietnica. Tutto peraltro verissimo, ma - per esempio - secondo l'articolo della Stampa «gli inquirenti negano che l'assassinio del sindaco sia legato in qualche modo alle sue posizioni politiche», il che non è proprio un dettaglio secondario. storia traditaPer questo le geremiadi sulle spoglie di Adamowicz paiono poco rispettose anzitutto della sua storia. Quando Jean Claude Juncker, Donald Tusk (polacco come la vittima, ma non più dello stesso partito) e Antonio Tajani, cioè gli attuali vertici delle istituzioni europee, si precipitano a piangere nel sindaco un «simbolo dell'Europa», tornano alla mente le parole spese per l'assassinio - altrettanto terribile - di Jo Cox nei giorni precedenti il voto della Brexit nel giugno 2016. La deputata inglese, schierata per il «remain», fu uccisa a colpi di pistola prima e di coltello poi da Thomas Mair, affiliato a un movimento neonazista. Dire che il suo omicidio fu usato in campagna elettorale per descrivere tutto il movimento del «leave» come violento è un eufemismo. Con notevole garbo, per esempio, Gianni Riotta scrisse: «Invano. Rip» in un post con la foto della Cox, il giorno dopo il verdetto dell'uscita del Regno Unito dalla Ue.Non dissimile il meccanismo scatenatosi con Antonio Megalizzi, il giornalista italiano colpito a morte e scomparso dopo giorni di agonia in seguito al massacro ai mercatini di Strasburgo lo scorso dicembre. La rapidità con cui il nostro connazionale è stato assoggettato alla causa delle istituzioni europee (che indubbiamente seguiva e sosteneva) ha fatto dimenticare due dati: primo, l'esplicita rivendicazione terroristica islamica, come tale non certo diretta in sé contro il parlamento di Strasburgo; secondo, la tragica fatalità delle circostanze. Megalizzi era al mercatino, e qualunque fossero le sue (anche nobilissime) idee o posizioni politiche, non è stato ammazzato per esse, proprio come è capitato alle altre vittime. Questo ovviamente non sposta di una virgola né il dolore per la sua morte, né la partecipazione al lutto: anzi, semmai dona ad essi il pudore della mancata strumentalizzazione. Probabilmente Adamowicz sta subendo una sorte simile: fa sorridere amaramente che Repubblica consideri quello che lo ha visto vittima come il «primo crimine ideologico dal post comunismo». Al momento, anzi, tutto fa pensare che sia vittima di un disturbato mentale, che ha accusato per la propria detenzione un partito (Piattaforma civica) che non è neppure quello del sindaco (l'aveva lasciato nel 2015 per essere finito indagato per una grana fiscale, parzialmente risolta con una multa di 40.000 zloty). il ricattoIl fatto che l'omicidio non sia politico non sfiora neppure né la statura di Adamowicz (che ricevette un'onorificenza da Wojtyla) né la gravità dell'accaduto. Ma l'uso che si fa del corpo del sindaco di Danzica sia contro il governo polacco sia - soprattutto, per quel che ci riguarda - a favore non tanto dell'Europa, ma dei partiti che governano le attuali istituzioni europee, fa apparire queste ultime come possedute da una forza necrofaga che, per mancanza di argomenti migliori, deve appropriarsi di morti per darsi dignità. La conseguenza morale è immediata: chi si oppone, sta con gli assassini. Ma il gioco macabro è sempre più scoperto, e sempre più sterile.
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.






