2018-07-24
Gli onorevoli nemici di sé stessi: non fanno ciò per cui vengono eletti
L'intervista di Davide Casaleggio alla «Verità» in cui prospetta la crisi della democrazia parlamentare ha scatenato dichiarazioni allarmistiche. Ma i numeri sulla produttività di deputati e senatori sono impietosi. L'intervista di Davide Casaleggio alla Verità non è passata inosservata. Infatti, il colloquio con il guru della piattaforma Rousseau già nella mattinata di ieri aveva fatto il giro del Web e del Parlamento. Anzi, soprattutto del Parlamento. Un brivido di terrore dev'essere corso lungo la schiena degli onorevoli alla lettura della risposta che il figlio di Gianroberto ha dato a Mario Giordano, quando il collega-direttore gli ha chiesto che tipo di riforma dello Stato vorrebbe. Parlando di Palazzo Madama e Montecitorio, l'uomo che tira le fila del Movimento 5 stelle ha spiegato che se fosse per lui le Camere esisterebbero per svolgere il loro primitivo e più alto compito: garantire che il volere dei cittadini venga tradotto in atti concreti e coerenti. Fin qui tutto bene: il ragionamento non fa una grinza e avrebbe potuto filare via liscio, senza reazioni. Ma prima di cambiare argomento e parlare di Europa, Casaleggio junior si è fatto sfuggire la seguente frase: «Tra qualche lustro è possibile che il Parlamento non sia più necessario nemmeno in questa forma». Tradotto significa che in futuro potremmo non aver più bisogno di uno spazio fisico come il Senato e la Camera, con mille parlamentari che scaldano la poltrona, perché la democrazia potrebbe essere espressa in altro modo, magari online, oppure consentendo la consultazione continua dei cittadini, senza la mediazione di chi oggi li rappresenta in pianta stabile nell'emiciclo, facendo di un incarico di servizio una professione. Apriti o cielo. La frase ha scatenato una tempesta di dichiarazioni. Destra e sinistra hanno reagito all'unisono e addirittura dal Pd hanno chiamato in causa il presidente della Camera, sollecitandone una reazione. Filippo Sensi, già portavoce di Matteo Renzi ceduto poi in comodato d'uso a Paolo Gentiloni, via Twitter come il suo ex capo ha chiesto a Roberto Fico di ribadire con voce ferma che Montecitorio non è un'Aula né sorda né grigia. Il riferimento al discorso del bivacco, quando Benito Mussolini si presentò da presidente del Consiglio alla Camera, ovviamente ha dato la stura a una valanga sul tema. Matteo Orfini (Pd), anche lui via Twitter, ha parlato di autoritarismo, che sarebbe il minimo comun denominatore che unisce i 5 stelle alla Lega, mentre Stefano Ceccanti (pure lui Pd) oltre a rifare il verso a Filippo Sensi con le parole del Duce, ha denunciato la volontà di distruggere la democrazia. Poteva poi mancare Ettore Rosato, papà del Rosatellum? Ovviamente no e infatti l'uomo che ha dato la paternità al sistema elettorale ha tirato in ballo il meglio dei dittatori, da Chavez a Putin. Da Liberi e uguali si sono invece fatti sentire il capogruppo, Federico Fornaro, che ha scomodato Sandro Pertini e la Resistenza, mentre Arturo Scotti, altro compagno, ha ritenuto il ragionamento di Casaleggio «eversivo». Sul fronte opposto, Renato Schifani ha definito il progetto pentastellato aberrante, mentre più terra terra Giorgio Mulé lo ha liquidato come minchiata galattica. Ovviamente ognuno è libero di pensarla come vuole, compreso chi teme di essere alla vigilia di una dittatura, e però forse, prima di lanciare allarmi ed evocare scenari carichi di cattivi presagi, farebbe bene a dare un'occhiata agli indici di produttività parlamentare compilati da Openpolis, un'associazione indipendente che registra l'attività di Camera e Senato. Scoprirebbe che non solo la stragrande maggioranza degli onorevoli ha un indice di produttività bassissimo, ma «dei circa mille deputati e senatori, solo un centinaio è riuscito a influire sui lavori di Montecitorio e Palazzo Madama». Gli altri evidentemente dormivano. Ma non solo: secondo Openpolis, il Parlamento, che da Costituzione dovrebbe essere l'istituzione che esercita l'iniziativa legislativa, nell'ultima legislatura ha approvato per oltre il 70 per cento leggi che erano state proposte dal governo, rinunciando dunque a svolgere la propria funzione.I numeri elaborati dall'associazione sono una débâcle: oltre l'83 per cento dei deputati e il 77 per cento dei senatori hanno un indice di produttività ai minimi. Che cosa significa? Che il Parlamento non fa il suo mestiere e quando c'è da lavorare batte la fiacca. Il capogruppo di Leu replica che la «peggiore delle democrazie è sempre meglio della migliore delle dittature». Vero, ma chi teme il colpo di Stato, il fascismo e già s'immagina sui monti, forse dovrebbe cominciare a ragionare sul degrado dell'attività parlamentare. Se gli onorevoli, quando non premono un bottone per approvare un provvedimento deciso da altri, cambiano casacca, forse qualche cosa non va. Casaleggio propone una democrazia diretta e gli altri gli rispondono preoccupati. Ma se hanno così tanta paura, perché invece di fare altro non cominciano a fare ciò per cui sono stati eletti e per cui sono lautamente pagati? Anche a noi le parlamentarie e i referendum improvvisati in rete non piacciono, ma c'è un solo modo per evitarli ed è che gli onorevoli rispettino chi li ha eletti, cominciando dall'attuare ciò che hanno promesso. Altrimenti diventeranno complici di chi il Parlamento lo vuole mandare in pensione. Del resto se gli onorevoli sono come quel deputato velista-assenteista dei 5 stelle, è meglio non averli.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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