True
2020-02-28
Gli immigrati della Sea Watch nella caserma delle fughe. E gli attivisti fanno le vittime
Sea Watch (Ansa)
Nonostante il «niet» del governatore siciliano Nello Musumeci la Sea Watch 3 attracca al porto di Messina con i suoi 194 migranti, tra cui 19 donne e 31 minori, tirati a bordo nei giorni scorsi dai volontari della Ong tedesca al largo della Libia. Musumeci aveva comunicato al premier Giuseppe Conte che la caserma individuata per ospitare i migranti in quarantena, la Gasparro di rione Bisconte, non era adeguata. La caserma, trasformata in centro d'accoglienza, presenta diverse vie di fuga e, infatti, in passato gli immigrati si sono volatilizzati a decine. E a dicembre 2018 ci fu addirittura una incontenibile fuga di massa.
«In un contesto di allarme come quello attuale», aveva affermato Musumeci riferendosi all'allerta coronavirus «suona come una sfida al popolo siciliano pensare di fare sbarcare altri 194 migranti in Sicilia». E lo schiaffo è arrivato.
Per precauzione contro il coronavirus, Musumeci aveva sottolineato le «criticità igienico sanitarie» legate all'accoglienza dei migranti. Il governatore siciliano chiedeva quindi di effettuare la quarantena a bordo della nave o, in alternativa, cercare un altro porto. Nisba. Alle 14.30 di ieri gli immigrati sono sbarcati a Messina. Ai primi controlli nessuno di loro presentava evidenti patologie o febbre. Ma il coronavirus ha un periodo di incubazione e al momento non è certo che tra gli immigrati scaricati dalla Sea Watch 3 non ci siano contagiati. È stata disposta quindi la quarantena nella caserma delle fughe per gli immigrati e a bordo della nave per i membri dell'equipaggio. Gli attivisti dell'Ong tedesca hanno subito inscenato una protesta. E, con una nota, hanno polemizzato: «Le autorità hanno annunciato un periodo di quarantena: a terra per le persone soccorse, a bordo per l'equipaggio. Nel rispetto delle precauzioni sanitarie adottate, riteniamo discriminatoria l'applicazione esclusiva della misura a navi di organizzazioni non governative». Come se per le Ong ci fosse un salvacondotto anche per il coronavirus.
Il leader del Carroccio Matteo Salvini è stato molto duro con la maggioranza giallorossa, ricordando lo stop, che era stato deciso proprio dal governo il 24 febbraio, al corridoio umanitario col Niger. E ha evidenziato tutte le contraddizioni: «Lo stesso governo che dall'inizio dell'anno ha spalancato i porti per 2.359 immigrati (contro i 262 dello stesso periodo di un anno fa), ha bloccato un corridoio umanitario che prevedeva l'arrivo di 66 profughi dal Niger». Per le Ong, invece, niente stop: «In Italia, con questo governo», ha affermato Salvini, «le Organizzazioni non governative sono sempre al di sopra della legge. Decidono dove e quando sbarcare, possono speronare i finanzieri senza conseguenze, vengono addirittura invitate al Viminale, pretendono la cancellazione dei Decreti sicurezza e portano centinaia di immigrati senza alcuna restrizione. Il governo è succube delle Ong, è complicità o incapacità?». E addirittura il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che in passato ha concesso la cittadinanza onoraria all'equipaggio della Sea Watch, chiedeva misure maggiori: «Vi è una necessità di isolamento precauzionale di tutte le persone a bordo per la tutela loro o di chi è a terra? Se vi è (e lo dicano gli esperti in materia e all'Usmaf, l'Ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera), si valuti se tale isolamento può essere fatto a bordo della nave o no in condizioni di assoluta sicurezza». Ma le autorità sanitarie, come anticipato da Musumeci, hanno dichiarato inadeguata la caserma Gasparro allo scopo. «È una decisione grave», ha commentato Musumeci, «che non rispetta la dignità dei migranti e le preoccupazioni dei siciliani. Sarebbe stato più umano indirizzare la nave in un porto attrezzato e in un territorio lontano dalla emergenza sanitaria. Ne prendiamo atto».
Dopo la Ocean Viking, approdata domenica mattina a Pozzallo con 274 migranti subito messi in quarantena nell'hotspot siciliano, e con la stessa misura disposta a bordo per i 32 membri dell'equipaggio della nave gestita da Medici senza frontiere e Sos Mediterranée, la Sicilia è costretta a farsi carico del secondo sbarco. E, così, al molo Norimberga del porto di Messina, i medici, con tute e mascherine, hanno effettuato il primo screening per la misurazione della temperatura. Gli operatori delle forze dell'ordine erano equipaggiati con indumenti protettivi.
Le Ong, però, sono sul piede di guerra: Mediterranea, per esempio, sottolinea che a Palermo da una nave da crociera sono scese migliaia di persone di varie nazionalità, senza che sia stata adottata alcuna misura precauzionale. Alle Organizzazioni non governative, insomma, la quarantena sta stretta, perché tiene ferme le due navi umanitarie, la Ocean Viking e la Sea Watch 3, in un momento in cui continuano ad arrivare richieste di soccorso da gommoni e barconi. L'ultimo Sos che richiedeva un taxi del mare, infatti, è arrivato giovedì sera da parte di 44 persone a bordo di un gommone bianco fermo in acque internazionali.
Le isole greche non ne possono più di accogliere nuovi migranti
Oltre 60 feriti, scontri continui tra polizia e manifestanti, tensione alle stelle. È un fine febbraio rovente quello che si sta consumando in Grecia, in particolare nelle isole di Lesbo e Chio, dove da lunedì notte non c'è pace; gli stessi appelli alla calma del premier Kyriakos Mitsotakis, finora, sembrano serviti a poco, con la popolazione letteralmente inferocita alla notizia dell'apertura di nuovi centri di detenzione per migranti. E dire che si tratta di una decisione già annunciata, lo scorso novembre, proprio da Mitsotakis.
Tutto ha avuto inizio nei giorni scorsi, quando il governo sostenuto da Nea Dimokratia ha espropriato con procedimenti d'urgenza dei terreni per realizzare gli annunciati centri di detenzione in cui raccogliere i migranti provenienti dalla Turchia. Non solo. Contestualmente sono stati inviati pure i macchinari per l'inizio dei lavori nella speranza la cosa potesse passare un po' sotto silenzio. Piano non riuscito, evidentemente. Da lunedì notte, infatti, a Lesbo e Chio, è esplosa la tensione, già sfociata in scontri diretti tra popolazione e forze dell'ordine. La situazione è degenerata, con 53 feriti solo nella giornata di mercoledì - 43 poliziotti e 10 manifestanti -, soprattutto nell'isola di Lesbo, con il nuovo centro di accoglienza che dovrebbe sorgere vicino al villaggio di Mantamados, famoso per un monastero dedicato all'Arcangelo Michele e la forte presenza del Kke, il partito comunista greco. Non è un caso che là gli scontri abbiano visto e vedano per protagonisti, in aggiunta alla popolazione, esponenti della sinistra antagonista, convinti che un nuovo centro per migranti sarebbe in realtà una piattaforma di tortura più che di accoglienza, coi nuovi arrivati ammassati in condizioni disumane.
A Chio, dove invece le mobilitazioni registrano una più forte componente di una sigla politica di segno opposto, Alba Dorata, gli scontri hanno visto finora 8 poliziotti feriti. È tuttavia doveroso precisare che in entrambe le isole, sia pure per motivazioni diverse, l'obbiettivo delle proteste è il medesimo: impedire la costruzione di nuovi centri di accoglienza. Un passaggio sul quale invece il governo greco crede molto, come prova pure un dispiegamento di forze (con l'invio di due navi cariche di 600 agenti, idranti ed escavatori) che da quelle parti non si ricordava dai tempi dei colonnelli. Ad esasperare gli animi della gente è soprattutto il fatto che a Lesbo, Samo, Chio e Cos, le principali isole nei pressi delle coste turche, i migranti non è che oggi scarseggino, anzi: ne sono ospitati già 42.500. Un numero che può apparire relativo se preso in assoluto, ma che diventa enorme se si pensa che le citate isole, tutte assieme, contano poco più di 200.000 residenti complessivi. La quantità dei migranti alloggiati in queste isole è elevata anche se si considerano i posti effettivi messi a disposizione nei centri attualmente operativi, che non arrivano a 8.900. Motivo per il governo greco, tempo addietro, aveva promesso che avrebbe ridotto i richiedenti asilo a 20.000.
Una promessa in totale contraddizione con la disposta costruzione dei nuovi centri, alla notizia della quale sono detonate le proteste che dicevamo. Nelle scorse ore, verosimilmente anche per allentare la tensione, si è optato per ritiro delle squadre antisommossa che erano state inviate sulle isole. Una decisione che in televisione il portavoce del governo, Stelios Petsas, ha dichiarato essere maturata alla luce della conclusione della prima fase del lavoro preparatorio per la costruzione dei nuovi centri. La sensazione è però che tale tregua nasconda altro, e cioè la prima vera crisi dell'esecutivo greco.
Da parte sua lo stesso Mitsotakis ha deciso di incontrare il governatore della regione in cui si trovano Lesbo e Chio, Kostas Moutzouris, insieme a cinque sindaci delle isole. La versione ufficiale è che ciò serva ad appianare le tensioni e a propiziare un clima più collaborativo; l'impressione di molti è però, appunto, che il governo – nato anche perché quei territori hanno votato conservatore proprio in vista della chiusura delle frontiere e dell'allontanamento dei migranti – si trovi ora in un vicolo cieco. Come se non bastasse, sulla Grecia si sta abbattendo un altro guaio, il coronavirus, con i primi tre casi di contagio, due dei quali riguardano due donne, una di Atene l'altra di Salonicco, entrambe da poco rientrate da Milano. Una notizia che, probabilmente, sta portando il governo a rivalutare la scala delle priorità.
Continua a leggere
Riduci
Schiaffo del governo alla Sicilia: la nave sbarca 194 persone a Messina dove saranno ospitate in una struttura poco sicura. L'equipaggio della Ong frigna per la quarantena.Scontri a Lesbo e Chio dove il governo vuole costruire altri centri di detenzione.Lo speciale contiene due articoliNonostante il «niet» del governatore siciliano Nello Musumeci la Sea Watch 3 attracca al porto di Messina con i suoi 194 migranti, tra cui 19 donne e 31 minori, tirati a bordo nei giorni scorsi dai volontari della Ong tedesca al largo della Libia. Musumeci aveva comunicato al premier Giuseppe Conte che la caserma individuata per ospitare i migranti in quarantena, la Gasparro di rione Bisconte, non era adeguata. La caserma, trasformata in centro d'accoglienza, presenta diverse vie di fuga e, infatti, in passato gli immigrati si sono volatilizzati a decine. E a dicembre 2018 ci fu addirittura una incontenibile fuga di massa. «In un contesto di allarme come quello attuale», aveva affermato Musumeci riferendosi all'allerta coronavirus «suona come una sfida al popolo siciliano pensare di fare sbarcare altri 194 migranti in Sicilia». E lo schiaffo è arrivato. Per precauzione contro il coronavirus, Musumeci aveva sottolineato le «criticità igienico sanitarie» legate all'accoglienza dei migranti. Il governatore siciliano chiedeva quindi di effettuare la quarantena a bordo della nave o, in alternativa, cercare un altro porto. Nisba. Alle 14.30 di ieri gli immigrati sono sbarcati a Messina. Ai primi controlli nessuno di loro presentava evidenti patologie o febbre. Ma il coronavirus ha un periodo di incubazione e al momento non è certo che tra gli immigrati scaricati dalla Sea Watch 3 non ci siano contagiati. È stata disposta quindi la quarantena nella caserma delle fughe per gli immigrati e a bordo della nave per i membri dell'equipaggio. Gli attivisti dell'Ong tedesca hanno subito inscenato una protesta. E, con una nota, hanno polemizzato: «Le autorità hanno annunciato un periodo di quarantena: a terra per le persone soccorse, a bordo per l'equipaggio. Nel rispetto delle precauzioni sanitarie adottate, riteniamo discriminatoria l'applicazione esclusiva della misura a navi di organizzazioni non governative». Come se per le Ong ci fosse un salvacondotto anche per il coronavirus. Il leader del Carroccio Matteo Salvini è stato molto duro con la maggioranza giallorossa, ricordando lo stop, che era stato deciso proprio dal governo il 24 febbraio, al corridoio umanitario col Niger. E ha evidenziato tutte le contraddizioni: «Lo stesso governo che dall'inizio dell'anno ha spalancato i porti per 2.359 immigrati (contro i 262 dello stesso periodo di un anno fa), ha bloccato un corridoio umanitario che prevedeva l'arrivo di 66 profughi dal Niger». Per le Ong, invece, niente stop: «In Italia, con questo governo», ha affermato Salvini, «le Organizzazioni non governative sono sempre al di sopra della legge. Decidono dove e quando sbarcare, possono speronare i finanzieri senza conseguenze, vengono addirittura invitate al Viminale, pretendono la cancellazione dei Decreti sicurezza e portano centinaia di immigrati senza alcuna restrizione. Il governo è succube delle Ong, è complicità o incapacità?». E addirittura il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che in passato ha concesso la cittadinanza onoraria all'equipaggio della Sea Watch, chiedeva misure maggiori: «Vi è una necessità di isolamento precauzionale di tutte le persone a bordo per la tutela loro o di chi è a terra? Se vi è (e lo dicano gli esperti in materia e all'Usmaf, l'Ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera), si valuti se tale isolamento può essere fatto a bordo della nave o no in condizioni di assoluta sicurezza». Ma le autorità sanitarie, come anticipato da Musumeci, hanno dichiarato inadeguata la caserma Gasparro allo scopo. «È una decisione grave», ha commentato Musumeci, «che non rispetta la dignità dei migranti e le preoccupazioni dei siciliani. Sarebbe stato più umano indirizzare la nave in un porto attrezzato e in un territorio lontano dalla emergenza sanitaria. Ne prendiamo atto». Dopo la Ocean Viking, approdata domenica mattina a Pozzallo con 274 migranti subito messi in quarantena nell'hotspot siciliano, e con la stessa misura disposta a bordo per i 32 membri dell'equipaggio della nave gestita da Medici senza frontiere e Sos Mediterranée, la Sicilia è costretta a farsi carico del secondo sbarco. E, così, al molo Norimberga del porto di Messina, i medici, con tute e mascherine, hanno effettuato il primo screening per la misurazione della temperatura. Gli operatori delle forze dell'ordine erano equipaggiati con indumenti protettivi.Le Ong, però, sono sul piede di guerra: Mediterranea, per esempio, sottolinea che a Palermo da una nave da crociera sono scese migliaia di persone di varie nazionalità, senza che sia stata adottata alcuna misura precauzionale. Alle Organizzazioni non governative, insomma, la quarantena sta stretta, perché tiene ferme le due navi umanitarie, la Ocean Viking e la Sea Watch 3, in un momento in cui continuano ad arrivare richieste di soccorso da gommoni e barconi. L'ultimo Sos che richiedeva un taxi del mare, infatti, è arrivato giovedì sera da parte di 44 persone a bordo di un gommone bianco fermo in acque internazionali. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gli-immigrati-della-sea-watch-nella-caserma-delle-fughe-e-gli-attivisti-fanno-le-vittime-2645320140.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-isole-greche-non-ne-possono-piu-di-accogliere-nuovi-migranti" data-post-id="2645320140" data-published-at="1765613424" data-use-pagination="False"> Le isole greche non ne possono più di accogliere nuovi migranti Oltre 60 feriti, scontri continui tra polizia e manifestanti, tensione alle stelle. È un fine febbraio rovente quello che si sta consumando in Grecia, in particolare nelle isole di Lesbo e Chio, dove da lunedì notte non c'è pace; gli stessi appelli alla calma del premier Kyriakos Mitsotakis, finora, sembrano serviti a poco, con la popolazione letteralmente inferocita alla notizia dell'apertura di nuovi centri di detenzione per migranti. E dire che si tratta di una decisione già annunciata, lo scorso novembre, proprio da Mitsotakis. Tutto ha avuto inizio nei giorni scorsi, quando il governo sostenuto da Nea Dimokratia ha espropriato con procedimenti d'urgenza dei terreni per realizzare gli annunciati centri di detenzione in cui raccogliere i migranti provenienti dalla Turchia. Non solo. Contestualmente sono stati inviati pure i macchinari per l'inizio dei lavori nella speranza la cosa potesse passare un po' sotto silenzio. Piano non riuscito, evidentemente. Da lunedì notte, infatti, a Lesbo e Chio, è esplosa la tensione, già sfociata in scontri diretti tra popolazione e forze dell'ordine. La situazione è degenerata, con 53 feriti solo nella giornata di mercoledì - 43 poliziotti e 10 manifestanti -, soprattutto nell'isola di Lesbo, con il nuovo centro di accoglienza che dovrebbe sorgere vicino al villaggio di Mantamados, famoso per un monastero dedicato all'Arcangelo Michele e la forte presenza del Kke, il partito comunista greco. Non è un caso che là gli scontri abbiano visto e vedano per protagonisti, in aggiunta alla popolazione, esponenti della sinistra antagonista, convinti che un nuovo centro per migranti sarebbe in realtà una piattaforma di tortura più che di accoglienza, coi nuovi arrivati ammassati in condizioni disumane. A Chio, dove invece le mobilitazioni registrano una più forte componente di una sigla politica di segno opposto, Alba Dorata, gli scontri hanno visto finora 8 poliziotti feriti. È tuttavia doveroso precisare che in entrambe le isole, sia pure per motivazioni diverse, l'obbiettivo delle proteste è il medesimo: impedire la costruzione di nuovi centri di accoglienza. Un passaggio sul quale invece il governo greco crede molto, come prova pure un dispiegamento di forze (con l'invio di due navi cariche di 600 agenti, idranti ed escavatori) che da quelle parti non si ricordava dai tempi dei colonnelli. Ad esasperare gli animi della gente è soprattutto il fatto che a Lesbo, Samo, Chio e Cos, le principali isole nei pressi delle coste turche, i migranti non è che oggi scarseggino, anzi: ne sono ospitati già 42.500. Un numero che può apparire relativo se preso in assoluto, ma che diventa enorme se si pensa che le citate isole, tutte assieme, contano poco più di 200.000 residenti complessivi. La quantità dei migranti alloggiati in queste isole è elevata anche se si considerano i posti effettivi messi a disposizione nei centri attualmente operativi, che non arrivano a 8.900. Motivo per il governo greco, tempo addietro, aveva promesso che avrebbe ridotto i richiedenti asilo a 20.000. Una promessa in totale contraddizione con la disposta costruzione dei nuovi centri, alla notizia della quale sono detonate le proteste che dicevamo. Nelle scorse ore, verosimilmente anche per allentare la tensione, si è optato per ritiro delle squadre antisommossa che erano state inviate sulle isole. Una decisione che in televisione il portavoce del governo, Stelios Petsas, ha dichiarato essere maturata alla luce della conclusione della prima fase del lavoro preparatorio per la costruzione dei nuovi centri. La sensazione è però che tale tregua nasconda altro, e cioè la prima vera crisi dell'esecutivo greco. Da parte sua lo stesso Mitsotakis ha deciso di incontrare il governatore della regione in cui si trovano Lesbo e Chio, Kostas Moutzouris, insieme a cinque sindaci delle isole. La versione ufficiale è che ciò serva ad appianare le tensioni e a propiziare un clima più collaborativo; l'impressione di molti è però, appunto, che il governo – nato anche perché quei territori hanno votato conservatore proprio in vista della chiusura delle frontiere e dell'allontanamento dei migranti – si trovi ora in un vicolo cieco. Come se non bastasse, sulla Grecia si sta abbattendo un altro guaio, il coronavirus, con i primi tre casi di contagio, due dei quali riguardano due donne, una di Atene l'altra di Salonicco, entrambe da poco rientrate da Milano. Una notizia che, probabilmente, sta portando il governo a rivalutare la scala delle priorità.
Il grande direttore d'orchestra rilancia l'appello alla politica affinché trovi una via diplomatica per convincere la Francia a far tornare nella sua città natale il compositore fiorentino, che ora riposa al cimitero di Père-Lachaise. Il sogno? Dirigere il Requiem del genio toscano nella Basilica di Santa Croce, dove è già pronto il suo cenotafio.
Maurizio Landini (Ansa)
Nessun sindacalista lo ammetterà mai, ma c’è un dato che più di ogni altro fa da spartiacque tra uno sciopero riuscito e un flop. Una percentuale minima al di sotto della quale è davvero difficile cantare vittoria: l’adesione almeno degli iscritti. Insomma, se sostieni, come fa ripetutamente Maurizio Landini di essere il portavoce di un sedicente malcontento montante che sarebbe addirittura maggioranza nel Paese e ti intesti una battaglia in solitaria lasciando alle spalle Cisl e Uil e poi non ti seguono neanche i tuoi, c’è un problema.
E il problema, numeri alla mano, esiste. Ed è pure grosso. Basta vedere le percentuali dei lavoratori che hanno deciso di spalleggiare l’ennesima rivolta politica e tutta improntata ad attaccare il governo Meloni del leader della Cgil. Innanzitutto nel pubblico impiego. Tra gli statali (scuola, sanità, dipendenti di ministeri, enti locali ecc.) ci sono circa 2,7 milioni di dipendenti contrattualizzati. E tra questi il 12% ha in tasca la tessera della Cgil. Bene, a fine giornata i dati ufficiali parlavano di circa il 4,4% complessivo di adesione all’ennesimo logoro show di Landini. Messa in soldoni: ormai anche la Cgil si è stancata del suo segretario che combatte una battaglia personale e quasi sempre sulle spalle dei lavoratori.
Che in corso d’Italia monti il malcontento, La Verità lo evidenzia da un po’ di tempo, ma il dato degli impiegati dello Stato è particolarmente significativo. Perché è intorno agli statali che l’ex leader della Fiom ha combattuto e poi perso la sua battaglia più significativa. Per mesi e mesi, infatti, spalleggiato dalla Uil e dall’ex alleato Pierpaolo Bombardieri, Landini ha bloccato il rinnovo dei contratti della Pa.
Circa 20 miliardi, già stanziati dal governo, fermi. E aumenti tra i 150 e i 170 euro lordi al mese, con istituti di favore come la settimana cortissima e il ticket anche in smart working, preclusi ai lavoratori per l’opposizione a prescindere del compagno Maurizio. Certo, lui l’ha spiegata come una lotta di giustizia sociale che aveva l’obiettivo di recuperare tutta l’inflazione del periodo (2022-2024). Ma si trattava di un bluff. Perché la Cgil con governi di un colore diverso ha rinnovato contratti decisamente meno convenienti e che comunque non coprivano il carovita.
Insomma, quella sugli accordi della pubblica amministrazione è diventata l’ultima frontiera dell’opposizione a prescindere. E su quella battaglia Landini si è schiantato. Prima nel merito, perché alla fine la Uil l’ha mollato e i contratti sono stati firmati. E poi sul campo: perché se almeno la metà degli iscritti diserta sciopero (e siamo benevoli), vuol dire che i tuoi stanno bocciando una linea che porta nelle piazza, sulle barricate e sui giornali, ma lascia i lavoratori con le tasche sempre più vuote.
«Il dato», spiega alla Verità il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, «certifica l’ennesimo flop degli scioperi generali, un fallimento che finisce tutto sulle spalle della Cgil che nel pubblico impiego può contare su circa 300.000 iscritti. Pur ammettendo che tutti gli aderenti siano tesserati di Landini e che le proiezioni del pomeriggio vengano confermate, la bocciatura interna per la linea del segretario sarebbe evidente. E, del resto, questo disagio era palese anche sul tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto. È arrivato il momento che anche all’interno del sindacato si apra una riflessione sincera».
E se tra gli statali la sconfitta è stata cocente, non meglio è andata nel privato. Dove, però, i dati sono più frammentati. Secondo le rilevazioni degli altri sindacati, ci sono alcune situazioni clamorose e altri meno, ma sempre di batoste si tratta.
Appartengono al primo caso le adesioni ferme a quota 1% nei cantieri delle grandi opere: dal Brennero fino al Terzo valico e alla Tav. Si risale al 5% negli stabilimenti di produzione e lavorazione di cemento, legno e laterizi, ma in generale la partecipazione nell’edilizia è stata bassissima.
Come nell’agroalimentare, dove, se si fa eccezioni per la rossa Emilia-Romagna (ai reparti produttivi della Granarolo si è arrivati a sfiorare il 50%), i risultati nelle piccole e medie imprese sono quasi tutti sotto il 5%. La media tra le aziende elettriche è del 5%, nelle Poste siamo fermi al 2,5% e nelle banche si sfiora l’1%. Leggermente meglio nel terziario e nel commercio (dove viene toccato il 10%), così come si contano sulle punte delle dita i siti delle realtà industriali in doppia cifra (Ex Ilva a Novi, Marcegaglia di Dusino San Michele in Piemonte e alcuni siti di Leonardo).
Insomma, al balletto delle cifre nelle manifestazioni siamo abituati e che ci siano delle enormi differenze numeriche tra promotori dello sciopero e controparte sta nelle regole del gioco, eppure si fa davvero fatica a capire da dove il sindacato rosso abbia tirato fuori il dato del 68% delle adesioni. Se 7 lavoratori su 10 si fermano, l’Italia si blocca. Non solo i trasporti, ma tutto il sistema finisce in una sorta di pericoloso stand by collettivo. Nulla a che vedere con quello che è successo sul territorio che ieri ha subito qualche prevedibile disagio da effetto-annuncio, ma poco più. Ma, del resto, nel Paese immaginario che sta raccontando Landini può succedere questo e altro.
Landini straparla di regime e agita lo sciopero infinito
«Fanno bene ad avere qualche timore, avere qualche paura, perché non ci fermano. Non so come dirlo, non ci fermano e, siccome siamo convinti di rappresentare la maggioranza del Paese, andremo avanti fino a quando questa battaglia l’abbiamo vinta». È stato questo il grido di battaglia, ieri, del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, a Firenze dove ha partecipato al corteo nel giorno dello sciopero generale contro la legge di bilancio, salari bassi, precarietà e caro-vita.
Una protesta «per cambiare la manovra 2026, considerata del tutto inadeguata a risolvere i problemi del Paese, malgrado le modifiche appena approvate, per sostenere investimenti in sanità, istruzione, servizi pubblici e politiche industriali, per fermare l’innalzamento dell’età pensionabile, per contrastare la precarietà». Insomma, i temi sul tavolo di ogni governo degli ultimi 30 anni, basti pensare alla sanità da sempre gestita dalla sinistra da Rosy Bondi in poi, ma che, per Landini e sinistra, sembrano esplosi con l’arrivo del governo Meloni. E, ignorando totalmente i dati dell’occupazione che cresce in maniera costante, arriva a sostenere che «La precarietà non è un problema dei giovani: se vogliamo combattere e contrastare la precarietà, sono quelli che non sono precari che, innanzitutto, si devono battere e scioperare per cancellare la precarietà. Questa è la solidarietà, questo è il sindacato».
«Quando ho lavorato», ha ricordato Landini, «io la precarietà non l’ho conosciuta. E vorrei che fosse chiaro, non è merito mio, eh, io non avevo fatto niente, ero andato semplicemente a lavorare. Ma mi sono trovato dei diritti, perché quelli prima di me, che quei diritti lì non ce ne avevano, si erano battuti per ottenerli. Non per loro, ma per tutti. Tre mesi dopo che ero assunto come apprendista, ho potuto operare e partecipare a una manifestazione senza essere licenziato. Non m’hanno fatto prove del carrello», ha detto riferendosi ai tre lavoratori della catena Pam allontanati dopo un controllo a sorpresa che ha simulato un furto. «Dobbiamo far parlare il Paese reale, perché dobbiamo raccontare quel che succede: qui siamo, ormai, a un regime, ci raccontano un Paese che non c’è, ci raccontano una quantità di balle, che tutto va bene, tutto sta funzionando. Non è così».
Il leader della Cgil ha, poi, sottolineato che oggi c’è «un obiettivo esplicito della politica e del governo: mettere in discussione l’esistenza stessa del sindacato confederale come soggetto che ha diritto di negoziare alla pari col governo». Al segretario che un anno fa voleva «rivoltare il Paese come un guanto», lo sciopero politico di ieri gli è comunque costato la mancata unità sindacale con Cisl, Uil e Ugl ormai fuori sintonia. Landini ha chiarito che «il diritto di sciopero è un diritto costituzionale e non accetteremo alcun tentativo di metterlo in discussione o di limitarlo. Oggi siamo in piazza non contro altri lavoratori o altri sindacati, ma per estendere questi diritti a tutti. Quando un governo prova a delegittimare chi protesta o a ridurre gli spazi di partecipazione democratica, significa che non vuole ascoltare il disagio reale che attraversa il Paese. Lo sciopero è per cambiare politiche sbagliate. E la grande partecipazione che vediamo oggi dimostra che c’è un Paese che chiede un cambio di rotta».
«Il Paese non è più disponibile a un’altra legge di bilancio di austerità e di tagli», ha affermato il leader di Avs, Nicola Fratoianni, presente alla manifestazione con Angelo Bonelli. Sul palco in piazza del Carmine ha trovato posto anche la protesta dei giornalisti de La Stampa e Repubblica, in sciopero dopo l’annuncio di Exor della cessione del gruppo editoriale Gedi al magnate greco Theodore Kyriakou. Mai così in prima fila nella solidarietà ad altre crisi di giornali meno «amici», Landini ha spiegato il perché: «Pensiamo che quello che sta succedendo sia un tentativo esplicito di mettere in discussione la libertà di stampa e la possibilità concreta di proseguire e di fare serie politiche industriali. Mi sembra evidente quello che sta succedendo: abbiamo imprese e imprenditori che, dopo aver fatto i profitti, chiudono le imprese, se ne vogliono andare dal nostro Paese per usare i soldi e quella ricchezza che è stata prodotta da chi lavora, da altre parti. Ecco, quelli che fanno i patrioti dove sono? Stanno difendendo chi? Difendono quelli che pagano le tasse che tengono in piedi questo Paese o difendono quelli che chiudono le aziende che investono da un’altra parte?». C’è voluta la vendita di Repubblica perché Landini attaccasse Elkann visto che dalla nascita di Stellantis, nel gennaio 2021, l’azienda ha licenziato solo in Italia attraverso esodi incentivati 7.500 lavoratori. Del restom lo ha detto chiaramente Carlo Calenda di Azione: «Da quando la Repubblica è stata comprata da Elkann, Fiom e Cgil hanno smesso di dare battaglia che prima facevano con Sergio Marchionne quando la produzione aumentava, adesso che è crollata non li senti più dire nulla».
Intanto ieri Landini non ha nascosto la sua soddisfazione per la risposta allo sciopero, «le piazze si sono riempite e le fabbriche svuotate», rinfocolando la polemica a distanza con il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, che aveva definito «irresponsabile» bloccare il Paese. «Noi stiamo facendo il nostro mestiere, quello che non fa Salvini», la replica del segretario della Cgil. Il vicepremier leghista ieri ha visitato la centrale operativa delle Ferrovie dello Stato per verificare le ricadute dello sciopero, ed ha definito «incoraggianti» i dati sull’adesione, «con disagi limitati» dovuti soprattutto all’effetto «annuncio».
Continua a leggere
Riduci