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2018-10-04
Gli eroi dell’accoglienza «usavano i soldi pubblici per ristrutturare case»
ANSA
C'è un'altra brutta notizia per Domenico Lucano. Non solo è agli arresti domiciliari, ma ieri è stato anche sospeso dalle funzioni di sindaco per decisione della Procura di Reggio Calabria. C'è da dire che il paladino dell'accoglienza potrebbe consolarsi leggendo gli articoli struggenti che quasi tutti i giornali italiani gli hanno dedicato. La gran parte della stampa, infatti, ha preso le sue difese. Su Repubblica, Roberto Saviano ha spiegato che Lucano ha commesso un «peccato d'umanità». Il nostro Paese, dice lo scrittore, «ha fatto sua una prassi suicida: criminalizzare la solidarietà». Il sindaco di Riace, sostiene l'autore di Gomorra, «ha fatto politica nel solo modo possibile di fronte a leggi inique: con la disobbedienza civile, per difendere i diritti di tutti».
Dopo aver invitato nuovamente a «difendere la democrazia», Saviano condensa in poche parole la teoria che in queste ore circola un po' dappertutto. Quella secondo cui Lucano sarebbe un idealista spregiudicato che ha pagato il suo fastidio per la burocrazia. «Mai nell'inchiesta leggerete che Mimmo Lucano ha agito per un interesse personale. Mai». In modi diversi, i numerosi editorialisti ripetono lo stesso concetto. Secondo Massimo Gramellini, per dire, «Mimmo Lucano non è un falso buono. Non è Buzzi o Carminati, e neanche una onlus opaca. Sui migranti non ha guadagnato un centesimo e ad affermarlo è lo stesso giudice che lo ha costretto ai domiciliari».
Maurizio Crippa, sul Foglio, paragona Lucano a Giacomo Matteotti, nientemeno. Oddio, c'è anche chi ha fatto di peggio, avvicinando il primo cittadino calabrese a Gandhi e ad altre personalità ancora più ingombranti, ma lasciamo correre.
Tra i quotidiani pro accoglienza, Avvenire è stato leggermente più cauto, spiegando che «Mimmo Lucano non è un eroe, ma non è neanche un criminale». E sapete perché non è un criminale? «Perché tutto ciò che ha fatto l'ha fatto per amore o, se volete, per solidarietà».
Ecco, questa è la lettura comune: il sindaco di Riace ha esagerato, ma a fin di bene. Del resto, anche il gip ha riconosciuto le sue buone intenzioni. Beh, viene da chiedersi come mai questo sant'uomo sia in arresto invece che a ritirare il Nobel. Il motivo è presto detto. Lo stesso gip, infatti, parla di «tutt'altro che trasparente gestione» dei fondi pubblici destinati all'accoglienza, di «estrema superficialità», di «diffuso malcostume». Non solo: il giudice riconosce anche esista «attuale e concreto pericolo che, se non sottoposti a regime limitativo della loro libertà personale, il Lucano e la Tesfahun (la compagna del sindaco di cui è stato disposto l'allontanamento da Riace, ndr) reiterino reati della stessa specie di quelli loro provvisoriamente addebitati».
Va inoltre ricordato che quello del gip non è mica un giudizio definitivo. Anzi, la Procura di Locri ha deciso di rivolgersi al tribunale del riesame perché è in disaccordo con il giudice.
Secondo gli inquirenti, infatti, Lucano non è proprio quel sant'uomo che i giornali descrivono. Basta leggere le carte dell'inchiesta, infatti, per rendersi conto che a Riace non c'è soltanto una «gestione allegra» dell'accoglienza, che non c'è soltanto «amore» sparso a profusione.
Facciamo un paio di esempi, tanto per capirsi. Secondo la Procura, Domenico Lucano e altri indagati, ovvero i gestori dei vari centri di accoglienza, avrebbero prodotto «indebite rendicontazioni al Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) e alla Prefettura di Reggio Calabria (Cas) delle presenze relative a immigrati non aventi più diritto a permanere nei progetti». In questo modo, le varie associazioni si sarebbero procurate «un ingiusto vantaggio patrimoniale pari ad euro 2.300.615». In particolare, a trarne beneficio sarebbe stata l'associazione Città futura, di cui Lucano sarebbe, nei fatti, il dominus.
Le varie coop e onlus, tra il 2014 e il 2017, hanno incassato dallo Stato qualcosa come 10.227.494,60 euro. Mica briciole. E, secondo gli investigatori, «non risulta alcuna documentazione attestante i costi sostenuti per l'accoglienza degli immigrati». Ai progetti Cas e Sprar sarebbero stati addebitati «costi fittizi» per «carburante, pagamento bonus, borse lavoro, prestazioni occasionali, fatture per operazioni inesistenti». Lucano, assieme ad altri, è stato di avere «costretto - mediante reiterate minacce di non adempiere agli obblighi già assunti dall'associazione di rimborsare i pagamenti in bonus fatti presso il suo esercizio - Ruga Francesco, titolare dell'omonimo esercizio commerciale, a predisporre e consegnare loro fatture per operazioni inesistenti riguardanti la vendita di detersivi e altro, per un valore superiore a 5.000 euro».
Non basta? Allora andiamo avanti. Lucano, la sua compagna Lemlem Tesfahun e altri sono accusati di avere, dal 2014 al 2017, distratto «fondi destinati all'associazione Città futura». Che cosa facevano con quei soldi? Secondo la Procura, hanno speso oltre 360.000 euro per «acquisto, arredo e ristrutturazione di tre case e un frantoio». Insomma, ristrutturavano edifici che non servivano a ospitare profughi, ma venivano utilizzati per altri scopi. In quelle case, per esempio, dormivano gli invitati a concerti ed eventi organizzati a Riace. Anche per i concerti estivi sarebbero stati utilizzati fondi destinati all'accoglienza: oltre 150.000 euro. Per altri 531.752,27 euro prelevati dai conti dell'associazione, poi, non esiste alcuna giustificazione. Infine, 13.000 euro sarebbero stati utilizzati per ristrutturare e arredare un'altra casa.
Sarà il riesame a valutare il peso effettivo di queste accuse. Però parliamo di somme enormi, che nel migliore dei casi sono state gestite con incredibile superficialità. Dunque, prima di sostenere che Mimmo Lucano e i suoi collaboratori non hanno tratto alcun beneficio dal «sistema Riace», bisogna andarci cauti. Di sicuro, il sindaco qualche vantaggio lo ha avuto: senza il denaro statale per i profughi, non sarebbe stato rieletto tre volte, e non sarebbe divenuto una celebrità internazionale.
Certo, sotto inchiesta finisce un individuo, non un intero sistema. Eppure, è molto difficile separare Lucano dal meccanismo che ha creato. Il «modello Riace» non è un'ottima idea gestita male. Se non fosse stato gestito così, probabilmente, sarebbe crollato prima. E, in ogni caso, non ha prodotto né integrazione né altro. Semplicemente, ha concesso a un po' di gente di restare nei centri di accoglienza più a lungo del dovuto, e ha dato lavoro a un bel po' di associazioni e operatori dell'accoglienza. Fatta così, la disobbedienza civile è piuttosto comoda.
Il procuratore: «Commessi illeciti gravi con sottrazione di ingenti somme di denaro»
I tanti difensori d'ufficio di Domenico Lucano, il sindaco di Riace, insistono particolarmente sul fatto che il giudice per le indagini preliminari, prima di convalidarne l'arresto, abbia accettato solo due capi di imputazione (favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta rifiuti). Questo dovrebbe dimostrare che l'inchiesta della Procura di Locri sul paladino dell'accoglienza e i suoi sodali è debole.
In realtà, il quadro della situazione è un pochettino diverso. A spiegarlo è Luigi D'Alessio, il procuratore di Locri, che già martedì ha spiegato: «La nostra richiesta era composta da circa mille pagine. Il gip ne ha estratte, per la sua ordinanza, meno di 150». Insomma, quel che è accaduto a Riace andrebbe molto oltre i matrimoni combinati e la mala gestione dello smaltimento rifiuti.
«Dalle conclusioni che il gip ha presentato», dice il procuratore D'Alessio a La Verità, «risulta evidente che sono sfuggiti degli elementi. Che noi però ripresenteremo di fronte al tribunale del riesame». La Procura, dunque, non è d'accordo con la decisione del giudice. E intende far valere le sue ragioni. Anche perché, stando alle carte dell'inchiesta, il «sistema Riace» contemplava un bel giro di soldi.
«Sì, secondo noi è così», prosegue D'Alessio. «Guardi, non è che noi ci siamo svegliati una mattina con un'idea preconcetta in testa. Noi pensiamo che siano stati commessi illeciti anche gravi, tra cui la sottrazione di ingenti somme di denaro. Il fatto stesso che queste somme non fossero rendicontate significa che non sono state utilizzate per lo scopo per cui sono state erogate».
Molti, in queste ore, insistono sul fatto che Lucano non avesse tratto beneficio dai milioni di euro che gravitavano attorno al suo Paese. Ma, come giustamente nota D'Alessio, «beneficio significa tante cose, il beneficio può prendere tante strade, non solo l'arricchimento economico personale. C'è il prestigio, c'è l'arricchimento di terze persone vicine... In ogni caso, se io richiedo soldi allo Stato per l'accoglienza, poi quei soldi devono essere spesi in modo appropriato, e vanno rendicontati. A Riace, invece, i soldi confluivano in altre attività».
Stiamo parlando di «indebite rendicontazioni al Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) e alla Prefettura di Reggio Calabria (Cas) delle presenze relative a immigrati non aventi più diritto a permanere nei progetti». Le varie cooperative e associazioni di Riace avrebbero tratto da queste indebite rendicontazioni «un ingiusto vantaggio patrimoniale pari ad euro 2.300.615». Non sono esattamente spiccioli. I soldi giunti a Riace, secondo il procuratore, sono stati distribuiti secondo «una gestione domestica, in barba a qualunque normativa».
Di quei 2.300.615 euro, per altro, una bella fetta è finita in tasca alla associazione Città futura, di cui - secondo la Procura - Domenico Lucano era «presidente di fatto». Questa associazione avrebbe ottenuto un «ingiusto vantaggio patrimoniale» di 1.045.835 euro tramite il sistema Sprar e di 34.260 euro tramite il Cas. In entrambi i casi, gli immigrati residenti nei vari centri superavano la soglia di permanenza prevista, e ovviamente l'associazione continuava a ricevere denaro. Ecco perché la Procura si rivolgerà al tribunale del riesame. «Non ho un accanimento nei confronti di Lucano», dice D'Alessio. «Ma sono convinto che abbia commesso dei reati e li devo perseguire».
La vera fiction su Lucano è tutta nelle intercettazioni
I telespettatori italiani non hanno potuto avere il piacere di vedere Tutto il mondo è paese, la fiction con Beppe Fiorello protagonista dedicata a Domenico Lucano, il sindaco di Riace. Le vicende giudiziarie del primo cittadino hanno causato il blocco della messa in onda. In realtà, non c'è alcun bisogno di sceneggiati televisivi: se volete godervi una fiction davvero rappresentativa dell'Italia di oggi, beh, non dovete fare altro che leggere le intercettazioni di Mimmo Lucano. Raccontano il modello Riace meglio di quanto potrebbe fare il più talentuoso degli sceneggiatori.
Qui prenderemo in considerazione la parte riguardante i matrimoni di comodo che il sindaco e i suoi collaboratori mettevano in piedi al fine di consentire ad alcune straniere di ottenere il permesso di soggiorno. Molti hanno scritto, sui giornali, che si trattava di forzature delle legge messe in atto a fin di bene. Dunque leggete, e giudicate voi. Anche se più di una fiction, in realtà, qui abbiamo davanti una puntata del Boss delle cerimonie, con Lucano nei panni del grande organizzatore di sposalizi.
Il 6 luglio del 2017, Lucano parla con Joy. Costei è straniera, probabilmente nigeriana. Non ha il permesso di soggiorno. E il sindaco le suggerisce un escamotage per ottenerlo: deve trovarsi un marito italiano.
Lucano: Tu sai cosa dovresti fare? Come ha fatto Stella. Stella si è sposata.
Joy: Stella si è sposata.
Lucano: Stella si è sposata perché è stata diniegata due volte, si è sposata con Nazareno, così, però, lei adesso ha il permesso di soggiorno per cittadino italiano, per motivi di famiglia, hai capito?
Joy: Sì.
Lucano: Ti cacciano dall'Italia adesso, tu capisci l'italiano?
Joy: Sì.
Lucano: Stella si è sposata, perché diniegata, perché in Nigeria li stanno diniegando tutti. [...] Adesso con il governo nuovo c'è uno che si chiama Minniti, una brutta persona, vi mandano via, vi cacciano, allora Stella si è sposata, hai capito?
Joy: Sì, ho capito.
Lucano: [...] L'ho sposata io, ta-ta-ta veloce... veloce... veloce... con Nazareno. Non è vero che è sposata con Nazareno, capito? Però con i documenti risulta così, sul Comune di Riace, quando lei con il certificato di matrimonio...
Joy ha capito l'antifona. Per non correre il rischio di essere espulsa, le conviene trovarsi un marito italiano, come ha fatto Stella con Nazareno: si sono sposati, ma per finta. Lucano ha già trovato l'uomo giusto per Joy. Si chiama Giosi. È nato nel 1948, dunque ha settant'anni. Inoltre, come spiegano gli investigatori, Giosi ha un «deficit mentale». Lucano lo presenta così a Joy: «C'è uno che si chiama Giosi, quello che vuole a Elisabeth, quello stupido, è sempre con voi, uno...».
Già. Giosi, con il suo deficit mentale, è «uno stupido». Così gli si può proporre il matrimonio di comodo. Quello con Joy, però, non va in porto. Qualche giorno dopo, tuttavia, il nome di Giosi ritorna fuori, sempre per un caso di nozze di comodo. Lucano propone a un'altra nigeriana, Sara, di prenderlo come marito. Il sindaco viene intercettato mentre parla con una donna, tale Daniela, che si è presa a cuore la sorte di Sara. Lucano le spiega che a Sara è stato rifiutato tre volte il permesso di soggiorno, quindi dovrebbe essere espulsa.
Lucano: [...] Io sono responsabile dell'ufficio anagrafe, il matrimonio te lo faccio immediatamente... con un cittadino italiano. Guarda come funziona Daniela, se lei... però dobbiamo trovare un uomo che è libero come stato civile...
Daniela: Neanche divorziato?
Lucano: Divorziato sì... Se lei si sposa a noi deve portare soltanto come richiedente asilo... Almeno io non sto a guardare se i suoi documenti sono a posto, mi fa un atto notorio dove dice che è libera di poter contrarre matrimonio e siccome è una richiedente asilo non vado a esaminare i suoi documenti perché ovviamente uno che è in fuga dalle guerre non ha documenti con lei e mi basta una sua dichiarazione... [...].
A questo punto, Daniela ha un'idea geniale. Dice a Lucano: «Scusate ma ieri al mio paese hanno fatto un matrimonio gay. Io non la posso sposare?». Il sindaco e i suoi collaboratori ci pensano su, ma poi si rendono conto che le nozze arcobaleno non vanno bene per ottenere il permesso di soggiorno. E allora rispunta fuori l'asso nella manica: il solito Giosi. «C'è uno, uno stupido, si chiama Giosi...», dice Lucano.
Così, la macchina delle cerimonie si mobilita. Per il matrimonio tra Sara e Giosi vengono fatte addirittura le pubblicazioni.
Lucano riassume così la situazione: «Questa ragazza nigeriana è stata diniegata tre volte, per cui con il nuovo decreto Minniti deve andare via... Praticamente è stata diniegata, l'unica possibilità per rimanere era quella di sposarsi con un cittadino... Questo qua si chiama Giosi, mi ha chiamato la sorella, non è tanto... Poverino, anzi devo dire la verità ha votato per me... Mi sono barattato l'unica cosa... Mi ha detto così: io ti voglio votare però mi devi trovare una fidanzata... Te la trovo, mi impegno per trovartela!».
Purtroppo, però, il matrimonio tra Sara e Giosi non si può fare. Giosi non è in grado di dare il consenso, non riesce nemmeno a ricordarsi il nome della sposa. Lucano, al telefono, si sfoga così: «Hanno escogitato di trovare uno di Riace che si chiama Giosi, lo chiamiamo noi in dialetto, che ha quasi 70 anni ed è uno che... Un po' si capisce che ha dei problemi no... Non è tanto capace di intendere e di volere... Andava sempre in campagna, sono morti i genitori e vive con il fratello. [...] Quando abbiamo fatto il matrimonio nella fattispecie qua... lui non sapeva neanche come si chiama lei... Mi è sembrato... C'erano tante persone, sono venute quasi a fare come un film, a ridere...».
Il problema non è solo che Giosi non ricorda il nome della finta fidanzata. Il fatto è che, nome o non nome, lui vorrebbe consumarlo davvero, il matrimonio. Lucano ne parla con Sara e alcuni conoscenti.
Lucano: Sara, vedi che è pericolosa quella cosa perché lui vuole che stai con lui hai capito? Poi se tu non vuoi ti ammazza pure, tu non hai preoccupazione, non hai paura?
Sara: Io non ho paura.
Lucano: Non hai paura? Vuoi stare con lui? Allora Sara, se lui si sposa con te ti vuole portare a casa sua, non è come Nazareno con Stella che lo hanno fatto solo per prendere i documenti. Questo vuole stare con te, dormire con te, tu sei d'accordo?
Sara, in effetti, è d'accordo. Dopo tutto, fa la prostituta. Tra la strada e il matrimonio con Giosi, che ha 40 anni più di lei, preferisce le nozze. Lucano, però, non è convinto: «Lui su questo è lucido, anzi tutti e due sono lucidi. Sara ha capito che questo la vuole per fare i comodi suoi e lei lo vuole per i comodi suoi ovvero per il documento».
Sara, infatti, ammette: «Lui capisce solo quando vuole fare l'amore...». E Lucano risponde: «Questo è come un animale...». Poi, poco dopo, aggiunge: «Giosi è lucido, lui dice “questa qua vuole i documenti? Li deve pagare! Non li deve pagare con i soldi, li deve pagare...». Già, come li paga? Ovvio: «In natura!».
Matrimoni combinati, drammi umani, piani astrusi... Gli ingredienti per una grande fiction ci sono tutti, non credete?
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Il sindaco di Riace paragonato a Gandhi e Giacomo Matteotti: dicono violasse la legge per seguire i suoi ideali. Ma pure per il gip c'era un «diffuso malcostume».Parla Luigi D'Alessio, responsabile dell'inchiesta: «Nelle conclusioni del gip mancano elementi, per questo faremo ricorso al tribunale del riesame. Nessun accanimento, i reati ci sono».Le carte dell'inchiesta svelano la triste storia delle finte nozze che il primo cittadino voleva organizzare tra Giosi (affetto da deficit mentale) e alcune ragazze nigeriane.Lo speciale contiene tre articoli. C'è un'altra brutta notizia per Domenico Lucano. Non solo è agli arresti domiciliari, ma ieri è stato anche sospeso dalle funzioni di sindaco per decisione della Procura di Reggio Calabria. C'è da dire che il paladino dell'accoglienza potrebbe consolarsi leggendo gli articoli struggenti che quasi tutti i giornali italiani gli hanno dedicato. La gran parte della stampa, infatti, ha preso le sue difese. Su Repubblica, Roberto Saviano ha spiegato che Lucano ha commesso un «peccato d'umanità». Il nostro Paese, dice lo scrittore, «ha fatto sua una prassi suicida: criminalizzare la solidarietà». Il sindaco di Riace, sostiene l'autore di Gomorra, «ha fatto politica nel solo modo possibile di fronte a leggi inique: con la disobbedienza civile, per difendere i diritti di tutti». Dopo aver invitato nuovamente a «difendere la democrazia», Saviano condensa in poche parole la teoria che in queste ore circola un po' dappertutto. Quella secondo cui Lucano sarebbe un idealista spregiudicato che ha pagato il suo fastidio per la burocrazia. «Mai nell'inchiesta leggerete che Mimmo Lucano ha agito per un interesse personale. Mai». In modi diversi, i numerosi editorialisti ripetono lo stesso concetto. Secondo Massimo Gramellini, per dire, «Mimmo Lucano non è un falso buono. Non è Buzzi o Carminati, e neanche una onlus opaca. Sui migranti non ha guadagnato un centesimo e ad affermarlo è lo stesso giudice che lo ha costretto ai domiciliari». Maurizio Crippa, sul Foglio, paragona Lucano a Giacomo Matteotti, nientemeno. Oddio, c'è anche chi ha fatto di peggio, avvicinando il primo cittadino calabrese a Gandhi e ad altre personalità ancora più ingombranti, ma lasciamo correre. Tra i quotidiani pro accoglienza, Avvenire è stato leggermente più cauto, spiegando che «Mimmo Lucano non è un eroe, ma non è neanche un criminale». E sapete perché non è un criminale? «Perché tutto ciò che ha fatto l'ha fatto per amore o, se volete, per solidarietà». Ecco, questa è la lettura comune: il sindaco di Riace ha esagerato, ma a fin di bene. Del resto, anche il gip ha riconosciuto le sue buone intenzioni. Beh, viene da chiedersi come mai questo sant'uomo sia in arresto invece che a ritirare il Nobel. Il motivo è presto detto. Lo stesso gip, infatti, parla di «tutt'altro che trasparente gestione» dei fondi pubblici destinati all'accoglienza, di «estrema superficialità», di «diffuso malcostume». Non solo: il giudice riconosce anche esista «attuale e concreto pericolo che, se non sottoposti a regime limitativo della loro libertà personale, il Lucano e la Tesfahun (la compagna del sindaco di cui è stato disposto l'allontanamento da Riace, ndr) reiterino reati della stessa specie di quelli loro provvisoriamente addebitati». Va inoltre ricordato che quello del gip non è mica un giudizio definitivo. Anzi, la Procura di Locri ha deciso di rivolgersi al tribunale del riesame perché è in disaccordo con il giudice. Secondo gli inquirenti, infatti, Lucano non è proprio quel sant'uomo che i giornali descrivono. Basta leggere le carte dell'inchiesta, infatti, per rendersi conto che a Riace non c'è soltanto una «gestione allegra» dell'accoglienza, che non c'è soltanto «amore» sparso a profusione. Facciamo un paio di esempi, tanto per capirsi. Secondo la Procura, Domenico Lucano e altri indagati, ovvero i gestori dei vari centri di accoglienza, avrebbero prodotto «indebite rendicontazioni al Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) e alla Prefettura di Reggio Calabria (Cas) delle presenze relative a immigrati non aventi più diritto a permanere nei progetti». In questo modo, le varie associazioni si sarebbero procurate «un ingiusto vantaggio patrimoniale pari ad euro 2.300.615». In particolare, a trarne beneficio sarebbe stata l'associazione Città futura, di cui Lucano sarebbe, nei fatti, il dominus. Le varie coop e onlus, tra il 2014 e il 2017, hanno incassato dallo Stato qualcosa come 10.227.494,60 euro. Mica briciole. E, secondo gli investigatori, «non risulta alcuna documentazione attestante i costi sostenuti per l'accoglienza degli immigrati». Ai progetti Cas e Sprar sarebbero stati addebitati «costi fittizi» per «carburante, pagamento bonus, borse lavoro, prestazioni occasionali, fatture per operazioni inesistenti». Lucano, assieme ad altri, è stato di avere «costretto - mediante reiterate minacce di non adempiere agli obblighi già assunti dall'associazione di rimborsare i pagamenti in bonus fatti presso il suo esercizio - Ruga Francesco, titolare dell'omonimo esercizio commerciale, a predisporre e consegnare loro fatture per operazioni inesistenti riguardanti la vendita di detersivi e altro, per un valore superiore a 5.000 euro». Non basta? Allora andiamo avanti. Lucano, la sua compagna Lemlem Tesfahun e altri sono accusati di avere, dal 2014 al 2017, distratto «fondi destinati all'associazione Città futura». Che cosa facevano con quei soldi? Secondo la Procura, hanno speso oltre 360.000 euro per «acquisto, arredo e ristrutturazione di tre case e un frantoio». Insomma, ristrutturavano edifici che non servivano a ospitare profughi, ma venivano utilizzati per altri scopi. In quelle case, per esempio, dormivano gli invitati a concerti ed eventi organizzati a Riace. Anche per i concerti estivi sarebbero stati utilizzati fondi destinati all'accoglienza: oltre 150.000 euro. Per altri 531.752,27 euro prelevati dai conti dell'associazione, poi, non esiste alcuna giustificazione. Infine, 13.000 euro sarebbero stati utilizzati per ristrutturare e arredare un'altra casa. Sarà il riesame a valutare il peso effettivo di queste accuse. Però parliamo di somme enormi, che nel migliore dei casi sono state gestite con incredibile superficialità. Dunque, prima di sostenere che Mimmo Lucano e i suoi collaboratori non hanno tratto alcun beneficio dal «sistema Riace», bisogna andarci cauti. Di sicuro, il sindaco qualche vantaggio lo ha avuto: senza il denaro statale per i profughi, non sarebbe stato rieletto tre volte, e non sarebbe divenuto una celebrità internazionale. Certo, sotto inchiesta finisce un individuo, non un intero sistema. Eppure, è molto difficile separare Lucano dal meccanismo che ha creato. Il «modello Riace» non è un'ottima idea gestita male. Se non fosse stato gestito così, probabilmente, sarebbe crollato prima. E, in ogni caso, non ha prodotto né integrazione né altro. Semplicemente, ha concesso a un po' di gente di restare nei centri di accoglienza più a lungo del dovuto, e ha dato lavoro a un bel po' di associazioni e operatori dell'accoglienza. Fatta così, la disobbedienza civile è piuttosto comoda.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gli-eroi-dellaccoglienza-usavano-i-soldi-pubblici-per-ristrutturare-case-2609825139.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-procuratore-commessi-illeciti-gravi-con-sottrazione-di-ingenti-somme-di-denaro" data-post-id="2609825139" data-published-at="1767026126" data-use-pagination="False"> Il procuratore: «Commessi illeciti gravi con sottrazione di ingenti somme di denaro» I tanti difensori d'ufficio di Domenico Lucano, il sindaco di Riace, insistono particolarmente sul fatto che il giudice per le indagini preliminari, prima di convalidarne l'arresto, abbia accettato solo due capi di imputazione (favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta rifiuti). Questo dovrebbe dimostrare che l'inchiesta della Procura di Locri sul paladino dell'accoglienza e i suoi sodali è debole. In realtà, il quadro della situazione è un pochettino diverso. A spiegarlo è Luigi D'Alessio, il procuratore di Locri, che già martedì ha spiegato: «La nostra richiesta era composta da circa mille pagine. Il gip ne ha estratte, per la sua ordinanza, meno di 150». Insomma, quel che è accaduto a Riace andrebbe molto oltre i matrimoni combinati e la mala gestione dello smaltimento rifiuti. «Dalle conclusioni che il gip ha presentato», dice il procuratore D'Alessio a La Verità, «risulta evidente che sono sfuggiti degli elementi. Che noi però ripresenteremo di fronte al tribunale del riesame». La Procura, dunque, non è d'accordo con la decisione del giudice. E intende far valere le sue ragioni. Anche perché, stando alle carte dell'inchiesta, il «sistema Riace» contemplava un bel giro di soldi. «Sì, secondo noi è così», prosegue D'Alessio. «Guardi, non è che noi ci siamo svegliati una mattina con un'idea preconcetta in testa. Noi pensiamo che siano stati commessi illeciti anche gravi, tra cui la sottrazione di ingenti somme di denaro. Il fatto stesso che queste somme non fossero rendicontate significa che non sono state utilizzate per lo scopo per cui sono state erogate». Molti, in queste ore, insistono sul fatto che Lucano non avesse tratto beneficio dai milioni di euro che gravitavano attorno al suo Paese. Ma, come giustamente nota D'Alessio, «beneficio significa tante cose, il beneficio può prendere tante strade, non solo l'arricchimento economico personale. C'è il prestigio, c'è l'arricchimento di terze persone vicine... In ogni caso, se io richiedo soldi allo Stato per l'accoglienza, poi quei soldi devono essere spesi in modo appropriato, e vanno rendicontati. A Riace, invece, i soldi confluivano in altre attività». Stiamo parlando di «indebite rendicontazioni al Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) e alla Prefettura di Reggio Calabria (Cas) delle presenze relative a immigrati non aventi più diritto a permanere nei progetti». Le varie cooperative e associazioni di Riace avrebbero tratto da queste indebite rendicontazioni «un ingiusto vantaggio patrimoniale pari ad euro 2.300.615». Non sono esattamente spiccioli. I soldi giunti a Riace, secondo il procuratore, sono stati distribuiti secondo «una gestione domestica, in barba a qualunque normativa». Di quei 2.300.615 euro, per altro, una bella fetta è finita in tasca alla associazione Città futura, di cui - secondo la Procura - Domenico Lucano era «presidente di fatto». Questa associazione avrebbe ottenuto un «ingiusto vantaggio patrimoniale» di 1.045.835 euro tramite il sistema Sprar e di 34.260 euro tramite il Cas. In entrambi i casi, gli immigrati residenti nei vari centri superavano la soglia di permanenza prevista, e ovviamente l'associazione continuava a ricevere denaro. Ecco perché la Procura si rivolgerà al tribunale del riesame. «Non ho un accanimento nei confronti di Lucano», dice D'Alessio. «Ma sono convinto che abbia commesso dei reati e li devo perseguire». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gli-eroi-dellaccoglienza-usavano-i-soldi-pubblici-per-ristrutturare-case-2609825139.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="la-vera-fiction-su-lucano-e-tutta-nelle-intercettazioni" data-post-id="2609825139" data-published-at="1767026126" data-use-pagination="False"> La vera fiction su Lucano è tutta nelle intercettazioni I telespettatori italiani non hanno potuto avere il piacere di vedere Tutto il mondo è paese, la fiction con Beppe Fiorello protagonista dedicata a Domenico Lucano, il sindaco di Riace. Le vicende giudiziarie del primo cittadino hanno causato il blocco della messa in onda. In realtà, non c'è alcun bisogno di sceneggiati televisivi: se volete godervi una fiction davvero rappresentativa dell'Italia di oggi, beh, non dovete fare altro che leggere le intercettazioni di Mimmo Lucano. Raccontano il modello Riace meglio di quanto potrebbe fare il più talentuoso degli sceneggiatori. Qui prenderemo in considerazione la parte riguardante i matrimoni di comodo che il sindaco e i suoi collaboratori mettevano in piedi al fine di consentire ad alcune straniere di ottenere il permesso di soggiorno. Molti hanno scritto, sui giornali, che si trattava di forzature delle legge messe in atto a fin di bene. Dunque leggete, e giudicate voi. Anche se più di una fiction, in realtà, qui abbiamo davanti una puntata del Boss delle cerimonie, con Lucano nei panni del grande organizzatore di sposalizi. Il 6 luglio del 2017, Lucano parla con Joy. Costei è straniera, probabilmente nigeriana. Non ha il permesso di soggiorno. E il sindaco le suggerisce un escamotage per ottenerlo: deve trovarsi un marito italiano. Lucano: Tu sai cosa dovresti fare? Come ha fatto Stella. Stella si è sposata. Joy: Stella si è sposata. Lucano: Stella si è sposata perché è stata diniegata due volte, si è sposata con Nazareno, così, però, lei adesso ha il permesso di soggiorno per cittadino italiano, per motivi di famiglia, hai capito? Joy: Sì. Lucano: Ti cacciano dall'Italia adesso, tu capisci l'italiano? Joy: Sì. Lucano: Stella si è sposata, perché diniegata, perché in Nigeria li stanno diniegando tutti. [...] Adesso con il governo nuovo c'è uno che si chiama Minniti, una brutta persona, vi mandano via, vi cacciano, allora Stella si è sposata, hai capito? Joy: Sì, ho capito. Lucano: [...] L'ho sposata io, ta-ta-ta veloce... veloce... veloce... con Nazareno. Non è vero che è sposata con Nazareno, capito? Però con i documenti risulta così, sul Comune di Riace, quando lei con il certificato di matrimonio... Joy ha capito l'antifona. Per non correre il rischio di essere espulsa, le conviene trovarsi un marito italiano, come ha fatto Stella con Nazareno: si sono sposati, ma per finta. Lucano ha già trovato l'uomo giusto per Joy. Si chiama Giosi. È nato nel 1948, dunque ha settant'anni. Inoltre, come spiegano gli investigatori, Giosi ha un «deficit mentale». Lucano lo presenta così a Joy: «C'è uno che si chiama Giosi, quello che vuole a Elisabeth, quello stupido, è sempre con voi, uno...». Già. Giosi, con il suo deficit mentale, è «uno stupido». Così gli si può proporre il matrimonio di comodo. Quello con Joy, però, non va in porto. Qualche giorno dopo, tuttavia, il nome di Giosi ritorna fuori, sempre per un caso di nozze di comodo. Lucano propone a un'altra nigeriana, Sara, di prenderlo come marito. Il sindaco viene intercettato mentre parla con una donna, tale Daniela, che si è presa a cuore la sorte di Sara. Lucano le spiega che a Sara è stato rifiutato tre volte il permesso di soggiorno, quindi dovrebbe essere espulsa. Lucano: [...] Io sono responsabile dell'ufficio anagrafe, il matrimonio te lo faccio immediatamente... con un cittadino italiano. Guarda come funziona Daniela, se lei... però dobbiamo trovare un uomo che è libero come stato civile... Daniela: Neanche divorziato? Lucano: Divorziato sì... Se lei si sposa a noi deve portare soltanto come richiedente asilo... Almeno io non sto a guardare se i suoi documenti sono a posto, mi fa un atto notorio dove dice che è libera di poter contrarre matrimonio e siccome è una richiedente asilo non vado a esaminare i suoi documenti perché ovviamente uno che è in fuga dalle guerre non ha documenti con lei e mi basta una sua dichiarazione... [...]. A questo punto, Daniela ha un'idea geniale. Dice a Lucano: «Scusate ma ieri al mio paese hanno fatto un matrimonio gay. Io non la posso sposare?». Il sindaco e i suoi collaboratori ci pensano su, ma poi si rendono conto che le nozze arcobaleno non vanno bene per ottenere il permesso di soggiorno. E allora rispunta fuori l'asso nella manica: il solito Giosi. «C'è uno, uno stupido, si chiama Giosi...», dice Lucano. Così, la macchina delle cerimonie si mobilita. Per il matrimonio tra Sara e Giosi vengono fatte addirittura le pubblicazioni. Lucano riassume così la situazione: «Questa ragazza nigeriana è stata diniegata tre volte, per cui con il nuovo decreto Minniti deve andare via... Praticamente è stata diniegata, l'unica possibilità per rimanere era quella di sposarsi con un cittadino... Questo qua si chiama Giosi, mi ha chiamato la sorella, non è tanto... Poverino, anzi devo dire la verità ha votato per me... Mi sono barattato l'unica cosa... Mi ha detto così: io ti voglio votare però mi devi trovare una fidanzata... Te la trovo, mi impegno per trovartela!». Purtroppo, però, il matrimonio tra Sara e Giosi non si può fare. Giosi non è in grado di dare il consenso, non riesce nemmeno a ricordarsi il nome della sposa. Lucano, al telefono, si sfoga così: «Hanno escogitato di trovare uno di Riace che si chiama Giosi, lo chiamiamo noi in dialetto, che ha quasi 70 anni ed è uno che... Un po' si capisce che ha dei problemi no... Non è tanto capace di intendere e di volere... Andava sempre in campagna, sono morti i genitori e vive con il fratello. [...] Quando abbiamo fatto il matrimonio nella fattispecie qua... lui non sapeva neanche come si chiama lei... Mi è sembrato... C'erano tante persone, sono venute quasi a fare come un film, a ridere...». Il problema non è solo che Giosi non ricorda il nome della finta fidanzata. Il fatto è che, nome o non nome, lui vorrebbe consumarlo davvero, il matrimonio. Lucano ne parla con Sara e alcuni conoscenti. Lucano: Sara, vedi che è pericolosa quella cosa perché lui vuole che stai con lui hai capito? Poi se tu non vuoi ti ammazza pure, tu non hai preoccupazione, non hai paura? Sara: Io non ho paura. Lucano: Non hai paura? Vuoi stare con lui? Allora Sara, se lui si sposa con te ti vuole portare a casa sua, non è come Nazareno con Stella che lo hanno fatto solo per prendere i documenti. Questo vuole stare con te, dormire con te, tu sei d'accordo? Sara, in effetti, è d'accordo. Dopo tutto, fa la prostituta. Tra la strada e il matrimonio con Giosi, che ha 40 anni più di lei, preferisce le nozze. Lucano, però, non è convinto: «Lui su questo è lucido, anzi tutti e due sono lucidi. Sara ha capito che questo la vuole per fare i comodi suoi e lei lo vuole per i comodi suoi ovvero per il documento». Sara, infatti, ammette: «Lui capisce solo quando vuole fare l'amore...». E Lucano risponde: «Questo è come un animale...». Poi, poco dopo, aggiunge: «Giosi è lucido, lui dice “questa qua vuole i documenti? Li deve pagare! Non li deve pagare con i soldi, li deve pagare...». Già, come li paga? Ovvio: «In natura!». Matrimoni combinati, drammi umani, piani astrusi... Gli ingredienti per una grande fiction ci sono tutti, non credete?
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Per Mezzanotte tutto deve esser compiuto. Si viaggia verso il cenone di San Silvestro (con replica per Capodanno) con in testa alcune ricette che non devono mancare mai. Così l’anguilla, e poi il salmone e ancora per chi intende strafare il caviale, come se nella tradizione gastronomica italica non ci fossero preparazioni ottime e anche economiche. Ecco allora qui dieci idee di piatti che si possono fare senza spendere un’ira d’iddio ma allestendo una tavola molto saporita e a tratti sorprendente.
Gli antipasti

CORONA DI RUSSA E TROTA SALMONATA
Ingredienti – 4 carote grosse, 4 patate egualmente grosse, 400 gr di pisellini surgelati, 400 gr di trota salmonata se optate per l’affumicato ne basta la metà) mezzo bicchierino di aceto bianco di vino, 300 gr di maionese, un abbondante ciuffo di finocchietto selvatico, una melagrana o del ribes (facoltativi) sale e ghiaccio qb.
Procedimento – Mondate e sbucciate carote e patate e riducetele a cubetti di non più di 4 millimetri di lato. Mette a bollire una capace pentola piena d’acqua salata e che acidulate con l’aceto. Cuocete le verdure mettendo quando l’acqua bolle prima le carote, dopo cinque minuti le patate e dopo un quarto d’ora i piselli. Intanto piastrate o passate in padella in questo caso aiutandovi con un po’ di brodo delle verdure per la cottura prima dalla parte senza pelle poi dall’altra la trota che salerete ben bene all’ultimo. Scolate le verdure, tenendo da parte l’acqua di cottura: è un’ ottima base per un brodo vegetale, in una ciotola colma di ghiaccio e fatele freddare bene bene. Nel frattempo tritate finemente il finocchietto selvatico. Fate a cubetti o sfilacciate il pesce. Scolate le verdure e aggiungete la trota, aggiustate di sale e ora aggiungete la maionese mescolando ben bene. Prendete uno stampo a corona e sistemate nel mezzo un bicchiere in modo che si formi appunto l’anello. Versate e comprimete bene nello stampo l’insalata russa alla trota salmonata. Togliete la cerniera e il bicchiere e ora cospargete la corona in superfice con il finocchietto selvatico decorando se piace con la melagrana o con il ribes.
CROCCANTE DELL’ORTO
Ingredienti – 300 gr di verza, due carote, una cipolla bianca o rossa ma di buone dimensioni, 4 cucchiai di Parmigiano Reggiano, Grana Padano o altro formaggio da grattugia, 8 dischi di carta di riso, un cucchiaio di erba cipollina essiccata, olio extravergine di oliva, sale, pepe e salsa di soia qb.
Procedimento – Mondate le verdure poi fatele alla julienne o passatele al tritatutto senza però sbriciolarle. In una terrina mescolate tutte le verdure, il formaggio, l’erba cipollina, aggiustate di sale e di pepe. Ora prendete una padella antiaderente scaldatela bene, ungetela con l’olio extravergine. Inumidite i fogli di carta riso e mettetene quattro in padella ricopriteli con il mix di verdure e formaggio, poi sistemate sopra gli altri quattro dischetti sempre inumiditi e sigillate a mo’ di tortellone. Fate andare a fiamma delicata per 4 minuti, poi rigirate. Quando i croccantini hanno preso colore da entrambi i lati sistemateli in un piatto di portata e servire con salsa di soia.
CROCCHETTE DI BACCALÀ
Ingredienti – 500 gr di baccalà già ammollato, 500 gr di patate a pasta gialla, un mazzetto di prezzemolo, 4 uova, 200 gr di farina 00, 200 gr di pangrattato, mezza scamorza bianca, un litro di olio per friggere, tre cucchiai di olio extravergine, due spicchi d’aglio, sale e pepe qb.
Procedimento – Lavate le patate fatele lessare in abbondante acqua non salata. Nel frattempo mondate dalle lische e dalla pelle i filetti di baccalà e riduceteli a dadolata piuttosto fine. In una padella scaldate l’olio extravergine con i due spicchi d’aglio che eliminerete quando saranno dorati. Saltate per 5 o 6 minuti in padella il baccalà aggiustando di pepe. Fate a dadini piccoli la scamorza e tritate finemente il prezzemolo. Scolate le patate e ancora caldissime con lo schiaccia patate fatele cadere in una ciotola capiente. Unite il baccalà che avrete cura di sfibrare con una forchetta. Amalgamate il tutto, lasciate intiepidire, aggiungete il prezzemolo e l’uovo. Mescolate in modo da ottenere un impasto ben fermo. Ora con le mani fate delle crocchette prendendo un po’ d’impasto alla volta e mettendo al centro di ogni crocchetta alcuni cubetti di scamorza. Passate ogni crocchetta nella farina, poi nelle altre uova che avrete nel frattempo sbattuto aggiungendo un pizzico di sale, nel pangrattato, di nuovo nell’uovo e in ultimo ancora nel pangrattato. Ripetete l’operazione per ogni singola crocchetta. Ora scaldate l’olio per friggere in un’ampia padella - meglio se di ferro - e friggete le crocchette poche per volta. Devono avere un bel colore leggermente ambrato. Aggiustate di sale se necessario e servite. Potete anche cuocerle in forno: vi servirà una mezz’ora circa a 180 gradi. Ma fritte sono un’altra cosa!
I primi piatti

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I FUSILLI DEL PESCATORE
Ingredienti – 360 gr di fusilli o pasta corta da grano italiano (noi abbiamo usato quella di grano saragolla), 16 mazzancolle, 400 gr di cozze freschissime, due spicchi d’aglio, mezzo peperoncino fresco (oppure uno secco) 4 cucchiai di olio extravergine di oliva, un cucchiaio di concentrato di pomodoro, un generoso ciuffo di prezzemolo, sale qb.
Procedimento – Per prima cosa mondate le cozze, raschiatele e fatele aprire in una pentola coperta, con pochissima acqua e a fuoco moderato. Togliete alle mazzancolle i baffi e le zampette anteriori. Mettete a bollire una pentola con abbondante acqua salata per cuocere la pasta. In una padella molto capiente fate scaldare tre cucchiai di olio extravergine di oliva con i due spicchi d’aglio e il peperoncino. Quando l’aglio è dorato eliminatelo insieme al peperoncino. Fate cuocere la pasta. Mettete in padella le mazzancolle e il concentrato di pomodoro che avrete cura di sciogliere usando uno o due cucchiai di acqua di cottura delle cozze. Appena le mazzancolle prendono colore aggiungete le cozze (se volete potete sgusciarne alcune). Scolate la pasta ben al dente e tiratela in padella a cottura con il sugo di cozze e mazzancolle aggiustando se serve di sale. Tritate finemente il prezzemolo, lucidate la pasta con il restante extravergine a crudo e guarnite con il trito di prezzemolo ogni porzione.
PACCHERI CECI E POLPO
Ingredienti – 360 gr di paccheri da grano duro italiano 350 gr di polpo, 350 gr di ceci prelessati, due spicchi d’aglio, due foglie di alloro, un peperoncino, un ciuffo abbondante di prezzemolo, olio extravergine di oliva meglio se da miscela classica toscana frantoio leccino, moraiolo almeno 6 cucchiai, sale qb.
Procedimento – Nettate bene il polpo poi tagliatelo a pezzetti e passatelo al mixer sì da ottenere una sorta di battuto fine di polpo. In una padella ampia scaldate l’extravergine con l’aglio, l’alloro e il peperoncino. Quando l’aglio è dorato aggiungete il polpo, incoperchiate e andate avanti a fiamma dolce. Vedrete che il polpo rilascerà molta acqua fatela assorbire piano piano. Ora mettete a bollire in una pentola l’acqua per cuocere i paccheri. Mette poco sale perché il polpo è saporito di suo. Quando il polpo comincia a ritirare la sua acqua aggiungete in padella due terzi dei ceci. L’altro terzo frullatelo con il mixer a immersione aiutandovi con un po’ di acqua di cottura del polpo e un cucchiaio di olio extravergine e frullate a crema. Mettete a lessare i paccheri. Quando sono cotti al dente scolateli, ritirate dalla padella aglio, peperoncino e alloro e aggiungete la pasta e la crema di ceci. Tritate finemente il prezzemolo. Saltate mantecando magari aggiungendo ancora un po’ di extravergine e aggiustando di sale, guarnite col prezzemolo e servite.
RISOTTO DI CAPODANNO
Ingredienti – 360 gr di riso italiano Carnaroli, o Arborio o Vialone Nano, una cipolla, una carota, una costa di sedano, un pomodorino, due belle melegrane, due porri per circa 200 gr, 180 gr di Parmigiano Reggiano o Grana Padana grattugiato, 180 gr di burro salato, un bicchiere di vino rosato (noi abbiamo usato lo spumante), 2 cucchiai di olio extravergine di oliva, sale e pepe qb.
Procedimento – Per prima cosa preparate un brodo vegetale con carota, pomodorino, mezza cipolla, sedano e le parti verdi dei porri ben lavate che metterete a freddo in una pentola colma d’acqua. Ora sgranate le melegrane e tenete da parte i chicchi. In un padellino stufate i porri tagliati a rondelle fini in 50 gr di burro, olio extravergine e portateli a cottura aiutandovi con un po’ di brodo vegetale. Cotti che siano i porri frullateli aggiustando di sale e pepe con un paio di cucchiai di formaggio grattugiato e tenete la cremina di porro a parte Ora in una pentola fate soffriggere in 3 quarti del burro rimasto la cipolla fino a farla diventare trasparente, tostate in questa pentola il riso e poi bagnate con il vino rosato facendo sfumare tutto l’alcol. Aggiungete la cremina di porro e continuate la cottura del riso aggiungendo a poco a poco il brodo vegetale. Frullate tre quarti dei chicchi di melagrana (tenetene da parte un po’ per guarnizione) poi passateli al colino cinese in modo da estrarre il succo che aggiungerete mano a mano al riso. Assaggiate per evitare di aggiungere troppo suco e che il riso sia troppo aspro. Quando il riso è quasi cotto aggiustate di sale e pepe, togliete dal fuoco e mantecate per un minuto almeno col burro rimasto e tutto il formaggio residuo. Servite guarnendo con i chicchi di melagrana.
I secondi

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PESCATRICE AL TARTUFO
Ingredienti – Una rana pescatrice (o coda di rospo) di 1 kg, un tartufo nero pregiato da 40 gr, 4 o 5 foglioline di salvia, 6 cucchiai di farina tipo 1, 100 gr di burro di primo affioramento (noi abbiamo usato del burro al tartufo, ma è un per di più) sale e pepe qb.
Procedimento – Pulite, eviscerate la rana pescatrice e staccate dalla testa (tenetela da parte è ottima per fare il fumetto di pesce per un risotto!) il corpo che farete a tranci di circa 6/8 millimetri di spessore. Nel frattempo mondate bene il tartufo con l’aiuto di uno spazzolino duro e poi di un panno inumidito. Scaldate in una padella il burro con le foglie di salvia sì da aromatizzarlo. Quando il burro è fuso – ma non deve diventare nocciola – infarinate bene i tranci di pesce e fateli cuocere da tutti i lati in padella. Aggiustate di sale e generoso pepe. A un minuto dalla cottura slamellate senza risparmio il tartufo sul pesce. Fate prendere appena un po’ di calore, impiattate aggiungendo altro tartufo e servite.
FILETTI DI NASELLO
Ingredienti – 1 kg di Naselli freschissimi che sarebbe meglio farsi sfilettare dal pescivendolo, 400 gr di pomodori ciliegini, 100 gr di olive taggiasche, un mazzetto di erba cipollina e un mazzetto di maggiorana, due spicchi di aglio (facoltativi) un peperoncino fresco o del pepe, sale, mezzo bicchiere di vino bianco secco, 4 cucchiai di olio extravergine di oliva. Se volete alcune fette di pane raffermo da bruschettare.
Preparazione – Eviscerate, squamate e togliete le spine ai pesci e ricavatene dei filetti (tutte operazioni che potete far fare in pescheria) che avrete cura di mondare ben bene dalle lische e di sciacquare sotto acqua corrente. Ora tritate finemente le erbe aromatiche. Tagliate in due i pomodorini. In una capace padella scaldate l’olio extravergine con le erbe aromatiche e se volete anche con due spicchi d’aglio. Andate a fuoco dolce per non friggere le erbe. Eliminate l’aglio quando è dorato e aggiungete i pomodori aggiustando di sale e pepe o peperoncino. Fate stufare i pomodorini per 6 o 7 minuti, aggiungete i filetti di pesce dalla parte della pelle, innaffiate col vino e fate sfumare a fuco vivace. Coprite e fate cuocere 5 minuti. Girate i pesci aggiungete le olive taggiasche e fate cuocere per altri 5 minuti. In ultimo se serve aggiustate ancora di sale e pepe e servite. Se volete potete fare delle bruschette con le fette di pane leggermente agliate depositarle sul fondo del piatto e servire il pesce con i pomodori e il sughetto adagiato sul pane.
IL PESCE NELL’ORTO
Ingredienti – 1,2 kg di pesce bianco (spigola, orata, san pietro, coda di rospo, merluzzo, passera a vostro piacimento) 4 patate, 3 carote, due cipolle, 200 gr di olive verdi e nere, un mazzetto di prezzemolo, 150 gr di olio extravergine di oliva, sale e pepe qb.
Procedimento – Mondate il pesce lavatelo e lasciatelo da parte. Mondate le verdure, lavatele e con l’aiuto della mandolina fatele a fette sottilissime. Tritate finemente il prezzemolo. Pre-riscaldate a 180° il forno. In una capace ciotola condite le verdure con ¾ dell’extravergine, sale e pepe. Mescolate bene. Ora prendete una placca da forno e ricopritela con carta forno. Sistemate sulla placca uno strato di verdure, su queste adagiate il pesce. Salatelo e pepatelo leggermente e lascate cadere una “pioggia” di prezzemolo. Ricoprite il pesce irrorando di extravergine con le verdure rimaste. Infornate e cuocete per circa mezz’ora.
Per la tradizione

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COTECHINO IN CROSTA
Ingredienti – Un cotechino (prendete i precotti altrimenti mettete in conto due ore di bollitura), 250 gr di cavolo cappuccio, una cipolla bianca, 3 cucchiai di olio extravergine di oliva, una confezione di pasta sfoglia, un uovo, un cucchiaio di semi di papavero o sesamo, un mezzo bicchiere di vino bianco (facoltativo) sale e pepe qb.
Preparazione – Mettete a cuocere il cotechino in abbondante acqua. Fate a striscioline sottili il cavolo cappuccio, tritate finemente la cipolla che farete imbiondire in padella in olio extravergine di oliva. Appena la cipolla ha preso colore saltate in padella il cavolo cappuccio e fate stufare. Sfumate col vino bianco oppure aggiungete un po’ d’acqua e fate ammorbidire bene il cavolo cappuccio. A cottura aggiustate di pepe e di sale. Fate freddare. Scolate il cotechino (se è precotto cuocerà nei medesimi 20 minuti che servono a stufare il cavolo) e fate freddare. Stendete su una placca da forno ricoperta di carta forno la pasta sfoglia. Sbattete il rosso dell’uovo. Ora sistemate su metà della carta forno il cavolo e adagiatevi sopra il cotechino. Ricoprite a portafoglio con la pasta sfoglia, sigillate bene e pennellate con il rosso d’uovo guarnendo con i semi o di papavero o di sesamo. Andate in forno per una ventina di minuti a 180 gradi.
LENTICCHIE IN TEGAME
Ingredienti – 220 gr di lenticchie secche, 1 cipolla rossa, una carota, una costa di sedano, 2 foglie di alloro e uno spicchio d’aglio, 250 gr di passata di pomodoro, 4 cucchiai di olio extravergine di oliva un peperoncino (se piace) oppure pepe nero, sale qb
Procedimento – Mettete in ammollo le lenticchie in acqua fredda per un paio d’ore, scolatele e lessatele in acqua salata con le foglie di alloro. In un tegame scaldate con l’aglio e il peperoncino l’olio extravergine di oliva, quando l’aglio ha preso colore eliminatelo e aggiungete il trito fine di verdure. Fate prendere colore, ora aggiungete le lenticchie scolate, fate insaporire, aggiustate di sale e (se non avete messo il peperoncino) di pepe e aggiungete la salsa di pomodoro. Cuocete per circa 10 minuti.
Dopo la mezzanotte

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LINGUINE FREDDE ALLA PUTTANESCA
Ingredienti – Due pomodori San Marzano, 4 pomodori ciliegini, 4 datterini e 4 pendolini, 8 filettini di acciughe, due pugni di capperi sotto sale, 12 olive nere al forno o 24 taggiasche denocciolate, 8 foglie di basilico e 4 rametti di timo, almeno 100 ml di olio extravergine di oliva, 360 gr di linguine di grano italiano, sale e pepe qb.
Procedimento – Mentre aspettate che l’acqua, salata senza eccedere, dove cuocere le linguine prenda il bollore pulite i diversi pomodori e fateli a dadolata grossolana. Mettete a dissalare i capperi sotto acqua corrente. Lessate la pasta e nel frattempo denocciolate le olive e tritatele grossolanamente insieme ai filetti di acciughe. In una zuppiera capace di contenere tutta la pasta condite i pomodori con generoso olio extravergine di oliva aggiungendo le olive, i capperi, le acciughe, aggiustate di sale e pepe. Scolate la pasta e mantecatela in questa insalata di pomodori aggiungendo le foglie di basilico sminuzzate e il timo. Servite con un giro di olio extravergine a crudo.
TORTINI DI PATATE E CALAMARI
Ingredienti – 400 gr di patate, 800 gr di calamari, tre uova, 60 gr di pangrattato, un abbondante ciuffo di prezzemolo, uno spicchio d’aglio, 8 cucchiai di olio extravergine di oliva, sale e pepe qb.
Procedimento – Lessate le patate (potete farlo anche sbucciandole) e nel frattempo frullate nel mixer i calamari con il prezzemolo e l’aglio (facoltativo). In una bastardella unite calamari e patate schiacciate, salate e pepate e impastate in modo da ottenere una massa omogenea. Sbattete le uova. Con le mani formate delle polpette, non troppo generose di dimensioni per favorirne una completa cottura, con l’impasto di calamari e patate e passatele prima nell’uovo poi nel pangrattato ancora nell’uovo e ancora una volta nel pangrattato. Ora scaldate l’olio extravergine in una capace padella e cuocete a fuoco moderato le polpette in modo che si formi una consistente crosticina dorata girandole spesso da ogni lato. Aggiustate di sale e servite.
PLUMCAKE DI MELE
Ingredienti – 6 mele sode (noi abbiamo scelto quelle di montagna di Camerino), 100 gr di farina 00, 80 gr di zucchero semolato, 40 ml di olio di semi di girasole alto oleico, 120 ml di latte, 2 uova, un limone non trattato, una bustina di lievito per dolci, tre cucchiai di zucchero a velo, mezzo bicchierino di liquore alla mela (facoltativo), 4 o 5 noci sgusciate (facoltative)
Procedimento – Sbucciate e private del torsolo le mele, affettatele finemente con una mandolina. Sbattete le uova e aggiungete l’olio e il latte mescolando bene. Ora in una grande ciotola riunite tutte le polveri, zucchero a velo escluso. Mescolate bene poi incorporate i liquidi e infine le fettine di mela che avrete aromatizzato con il liquore alla mela (così evitate anche che si si ossidino). Se volete tritate finemente le noci e aggiungetele all’impasto. Sistemate l’impasto in uno stampo da plumcake, fate un’abbondante grattugiata di scorza di limone e infornate a forno statico a 190 gradi (180 se ventilato) per circa 20 minuti. Sfornate, lasciate intiepidire, spolverate con lo zucchero a velo e servite con panna montata o gelato alla vaniglia.
Un fiocco rosa alla cantina

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Sam Silvestro è il momento delle promesse d’amore, degli intenti di rinascita. E dunque appendiamo un fiocco rosa alla cantina e lanciamoci alla degustazione di un patrimonio di vini davvero unico che l’Italia vanta. I soliti francesi cercano di farci sentire in minorità colturale esaltando, i pur ottini, rosati di Provenza che vengono estratti con la tecnica a lacrima; si tratta di prendere le uve rosse, pressarle molto poco facendo percolare il mosto in modo che il contatto con le bucce sia limitato. Noi lavoriamo più spesso per macerazione rapidissima. Il fatto è che loro contano su Pinot Noir, Gamay, Grenache e poco d’atro per avere i rosati. Noi abbiamo una infinitò di declinazioni di vitigni autoctoni che ci consentono infinite variazioni sul tema. Il menù della fine dell’anno dovrebbe prevedere piatti di pesce e di carne e il rosato è un ottimo compromesso per accompagnare entrambi (a meno che non serviate cacciagione o carne in griglia) infine in rosa si trova dallo spumante al dessert tutto quello che ci serve. Le proposte qui citate sono solo suggerimenti potete spaziare dove e come volete, ma ho provato una selezione che spero sia soddisfacente. Tutto in rosa anche per il brindisi finale che deve essere lontano dai dolci e deve incarnare con la scelta di bottiglie di alto lignaggio il smel in anno.
Per cominciare – Partiamo con dei vini che spumano. Allora ecco un ottimo Valdobbiadene DOCG rosato che ci arriva da Canevel, sempre tra gli charmat con un’intonazione secca viene dalla Calle d’Aosta il Magie, rosato spumante di Caves de Donnas. Volendo andare su un metodo classico dall’Oltrepò il massimo è senza dubbio il rosato di Monsupello e sempre dalla Lombardia, ma stiamo sul Garda, ecco il Vezzola rosè di Costaripa, scendo in Puglia il Rosè di d’Araprì è veramente ottino e in Sicilia c’è il Brut Rosè di Donnafugata. Aurea Gran Rosè e Remole Rosè di Frescobaldi rendono onore alla Toscana mentre nelle Marche il Rose di Angiolina Velenosi è perfetto. Se volete strafare l’Extrabrut Rosè di Maso Martis oppure buonissimo è il Rosè Brut di Mosnel. Ottima la declinazione in jeans della Franciacorta del rosato di Contadi Castaldi.
Per seguitare – Qui si va verso i vini fermi. Cominciamo con il Rose di Masi che tiene altissimo il vessillo del Veneto. Il Traccia di Rosa di Matilde Poggi è il massimo tra i Bardolino Chiaretto (tutti ottimi). Dai colli orientali del Friuli il Rosé di Livio Felluga è commovente, il Lagrein Rosa di Hofstatter ottima espressione altoateisna. Sfumature di Rosa di Gajaudo parla ligure, eccelso è l’Occhio di Gallo di Villa Forano, un atelier del vino marchigiano con racconto di Lacrima, Sangiovese e Montepulciano. Sempre nelle Marche il Didì de Il Pollenza è superlativo, anche spumante e Garofoli a due passi dal Conero offre infatti il Rosè Brut spumante ma soprattutto il Komoraso da Montepulciano in rosa.
Per la struttura – Cominciamo con i due rosati abruzzesi di maggiore espressività: quello di Pepe e quello di Valentini. Sono bottiglie di altissimo pregio. Sulla dorsale adriatica arriviamo in Puglia e qui il rosato ha patria di elezione. Immancabile è il Five Roses di Leone de Castris, un monumento ai vini in rosa. Ottimo il Flarò di Vespa Vignaioli, impeccabile nonostante la cospicua tiratura il Kreos di Castello Monaci, incantevole l’EstRosa di Pietraventosa. In Sicilia applausi a scena aperta per il Rosato in accoppiata Donnafugata per Dolce&Gabbana, Ottimo il Ramusa Tenuta Ficuzza 2022 di Cusumano. Notevole l’Erse Rosato di Tenuta di Fessina. Il Rosè Rogito delle Cantine del Notaio (Basilicata, c’è anche spumante) è meraviglioso, così come in gran conto va tenuto Il Pescanera d’Ippolito in Calabria. Il Costa d’Amalfi di Marisa Cuomo nella versione in rosa è affascinante. Impeccabile il Rosato Soré (Lazio Famiglia Cotarella) mentre in Umbria debutta felicemente anche tra i rosati Marco Caprai con il Puntabella, gamay del Trasimeno. Arriviamo alla Toscana che è diventata, soprattutto in Maremma, la terra promessa dei rosati. Si parte col Fioreviola di Fiorella Lenzi, poi ecco Belvento di Petra e sempre dalla famiglia Moretti l’Acquagiusta della tenuta La Badiola. Si risale a Bolgheri con lo Scalabrone di Antinori e sempre in zona Bolgheri ecco il Sof Rosè di Lodovico Wine e il Rissoa di Campo di Sasso. Dall zona etrisca l’A di Antinori a base di aleatico vi sorpenderà. In Chianti Classico ecco il Rosato di Castello di Cacchiano. Dalla Sardegna una chicca assoluta: il Tre Torri di Cantina di Santadi da uve Carignano. L’Alghero Rosato di Sella & Mosca è un fiore di mare. Un discorso a parte meritano i Lambrusco. Quando arriva lo zampone o il cotechino la scena è tutta loro. Si parte col Radice di Paltrinieri (Sorbara) si aggiunge il Cadelvento di Venturini Baldini, si arriva a il Bruno e le Rose di Ceci, e si chiude col Rosè del Cristo di Cavicchioli.
Il dessert – Il primo che viene in mente è il Brachetto d’Acqui di Braida-Giacomo Bologna. Poi il Moscato Rosa di Franz Hass e quello di Marco Donati. Il Fiori di Rosa di Villa Oppi è un ottimo rosato da dessert. La Malvasia Rosè spumante di Cantine Povero può essere un sfizio dolce, come Elena di Cabanon che è uno spumante dolce da Moscato Rosa.
Fuochi d’artificio – Per il brindisi finale adottiamo un grande spumante italiano. Sono tantissimi tutti ottimi. Mi limito ai cinque tenori. Partiamo con Enrico Serafino Oudeis Rosè millesimato 2020, di classe superiore la Cuvé Anna Maria Clementi in Rosa di Cà del Bosco e restando in Franciacorta il Millesimato Rosè di Bellavista, inarrivabile il Giulio Ferrari Riserva Rosè (famiglia Lunelli) esaltante il Monsieur Martis rosè millesimato di Maso Martis.
E volendo Champagne – Almeno per la notte di San Silvestro cerchiamo di non essere del tutto sciovinisti. Ci sono alcuni Champagne (fra parentesi gli importatori) che vale la pena di approfondire. Partiamo con Pol Roger Rosé Vintage, seguitiamo con Blason Rosé di Perrier-Jouet (Antinori), col Grand Rosè di Gosset (Gaja), degustiamo il Grand Cru Rosé Brut di Paul Dethne (Cà di Rajo) per finire con Rosé de Saignèe di Geoffroy (Compagnia del Vino)
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