2022-08-02
Gli elogi di Lerner all’assassino Sofri
La dedica del giornalista al mandante dell’omicidio Calabresi per i suoi 80 anni, vissuti dalla «parte giusta». È la conferma che a sinistra resiste il culto di quegli anni di odio. «Buoni 80 anni caro Adriano, vissuti dalla parte giusta». Poiché non è uno scherzo social di Paolo Bertolucci a Panatta (ne ha compiuti da poco otto di meno) il tweet può essere solo un gesto politico di solidarietà. Quella che Gad Lerner ancora una volta regala al suo amico Sofri, non limitandosi agli auguri ma ribadendo con ostinazione la superiorità culturale di chi pretende di aver camminato nella vita dalla parte illuminata del marciapiede. Niente di speciale, una semplice conferma del settarismo onanistico che accompagna la sinistra nella sua espressione più infantile, quella dell’autogratificazione ad aeternum. Sul patetico tema aveva già detto tutto con umorismo involontario Mario Capanna in Formidabili quegli anni. Ciò che merita una sottolineatura - perché il vizio della memoria non valga solo quando riguarda gli altri - è quel «vissuti dalla parte giusta». Era ovviamente anche quella di Lerner, allora giovane apprendista dentro Lotta Continua. Ed era soprattutto quella di Sofri, capo storico del movimento di estrema sinistra, condannato in via definitiva come mandante dell’assassinio del commissario Luigi Calabresi, l’episodio che il 17 maggio 1972 fece da spartiacque fra la contestazione violenta delle piazze pseudo-rivoluzionarie e la stagione del terrorismo delle Brigate rosse e di Prima Linea. Fu così giusta quella parte che l’Adriano fu condannato a 22 anni e ne ha fatti 15 nel carcere a Pisa, presentandosi con gli effetti personali davanti al portone mentre il suo luogotenente Giorgio Pietrostefani scappava per la seconda volta a Parigi e continua a sfuggire (con un senso del tutto personale della dignità) alla giustizia italiana. La parte giusta di Sofri si limitò a prendere atto che gli errori si pagano, i delitti presuppongono una pena e i parenti delle vittime un risarcimento morale. Si chiama Giustizia. Alla fine ci arrivò, a differenza di Lerner che ancora oggi - in nome di una exception culturelle coltivata in vitro - ritiene nobile e formativa quella stagione di odio che diede il via alla notte della Repubblica. Per la verità anche Sofri fece fatica ad arrendersi. E spalleggiato dalla «nota lobby» (parole e musica dell’ex capo dello Stato Francesco Cossiga) trasformò un caso giudiziario in una guerra tribunalizia che non ha eguali: 15 processi in 12 anni, un record. Marce indietro e revisioni, le sentenze usate come chewing gum, un supporto mediatico imbarazzante e il «distratto disprezzo» degli eletti con l’eskimo sull’anima per chi la pensava diversamente. Proprio non ci volevano stare, i migliori.Allora la «parte giusta» fece le prove generali, sostenuta dal battaglione Azov del mondo dell’editoria, degli intellettuali organici, della militanza di redazione, dei partigiani del giorno dopo, dei reduci entrati in politica e automaticamente ripuliti da ogni squallido fiancheggiamento. Quelli che allora furono cattivi maestri per avere condizionato la scelta di ragazzi psicolabili passati dal pugno chiuso alle P38, oggi sono tutti kantiani: «Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me». Troppo facile. Emmanuel Kant non prevedeva tralicci a Segrate da far saltare in aria (e ai quali rimanere appesi per ignavia operativa), agguati alla schiena, sprangate letali e vite devastate di madri, mogli, figli di vittime innocenti metabolizzate davanti a bivacchi amarcord di gente «dalla parte giusta». Ancora oggi, a 50 anni di distanza da quell’omicidio a sangue freddo che Sofri ordinò, Pietrostefani organizzò, Ovidio Bompressi e Leonardo Marino eseguirono, mancano dettagli decisivi come i nomi di chi pedinò Calabresi, di chi fece da palo, dei manovali della logistica, delle coperture milanesi. Buon compleanno a tutti, quando arriverà. Qualcuno può festeggiare due volte sapendo di averla fatta franca.