2019-11-09
Gli archivi di Stato più che documenti collezionano sprechi
Milioni di euro spesi per conservare (male) un tesoro di carte e atti. Che in molti casi restano pure inaccessibili al pubblico.In Italia gli archivi di Stato costano quasi 20 milioni di euro all'anno in affitti che vanno in tasca a privati. Soprattutto per un motivo, anch'esso molto italiano: le sedi storiche di proprietà pubblica sono inadeguate e in ristrutturazione, talvolta con cantieri che si protraggono da decenni. Come nel caso dell'archivio di Genova, il cui quartier generale di via Tommaso Reggio è chiuso da 15 anni a causa dei lavori di rifacimento bloccati per mancanza di fondi e pasticci burocratici. Il risultato è che circa 20 chilometri lineari di fascicoli sono «temporaneamente» ospitati in un capannone industriale della Valpolcevera. Costo del canone: 113.000 euro l'anno, pagati a privati. Che ovviamente bisogna moltiplicare per 15: fanno 1,7 milioni.Illuminante anche il caso di Pontremoli: qui l'archivio si trova nel complesso di Santissima Annunziata, ma manca la sicurezza antincendio e così il pubblico non può accedere. I quattro dipendenti sono stati spediti a lavorare a Massa. Poi c'è Cuneo: nel capoluogo della Granda i locali dell'archivio sono inagibili perché fuori norma, con alcune stanze prive di elettricità e riscaldamento. Questo accade nell'era della rivoluzione digitale. Per la ristrutturazione sono stati stanziati 400.000 euro, ma intanto la documentazione è stata trasferita a Torino, insieme ai funzionari. Scorrendo la mappa della Penisola, in Lombardia l'affitto più elevato è quello pagato per il polo archivistico di Morimondo, proprietà di una finanziaria: circa 800.000 euro versati dal 2011. Ma non sono solo le sedi secondarie a creare sprechi e problemi. La vera sorpresa si trova a Roma, dove anche la Direzione centrale in via Gaeta è dislocata in un edificio in affitto per una somma che sfiora i 500.000 euro l'anno. E pure l'Archivio centrale dello Stato paga per occupare il palazzo a ferro di cavallo nel quartiere Eur: 4,5 milioni l'anno all'ente Eur spa, che però non è privato ma per il 90% è del ministero dell'Economia e per il 10% di Roma Capitale. Oltretutto questo complesso architettonico razionalista neppure è adatto a preservare il patrimonio documentale a causa dell'umidità, delle infiltrazioni d'acqua e delle finestre panoramiche che lasciano passare freddo d'inverno e caldo d'estate. Ed ecco quindi il capolavoro: bisogna sborsare altri 150.000 euro annui a privati per il canone di un magazzino d'emergenza a Pomezia.Ne consegue una domanda: possibile che lo Stato non abbia palazzi dove custodire in sicurezza i documenti? Così pare, o se li possiede sono comunque ridotti ad abituri: su 238 sedi che ospitano gli archivi italiani, 137 sono prese in affitto, con un aggravio per le casse pubbliche evitabile. Stiamo parlando di un esborso di circa 20 milioni di euro all'anno, senza considerare le spese di ristrutturazione degli edifici che attendono da lustri il ritorno dei loro documenti.Porte chiuse a Caserta«La situazione più complicata e dispendiosa riguarda l'archivio di Roma», spiega Federico Trastulli, coordinatore nazionale Uilpa Mibac, «l'immobile monumentale è di grande pregio e la mole di documenti da conservare cospicua. Quindi l'affitto pagato è davvero stratosferico». Ma questo lo avevamo già capito.Oltre al danno erariale, c'è poi la beffa. Perché in queste sedi provvisorie e temporanee spesso non sono consultabili molte carte preziose. È il caso di Caserta, per esempio: qui l'archivio è inaccessibile sia al pubblico che agli studiosi da oltre due anni. Mentre i lavori di rifacimento nell'immobile di piazzale Douhet, di fronte al Palazzo Reale, vanno avanti a passo di lumaca, il patrimonio archivistico è stato smistato fra vecchia e nuova sede. E quindi non può essere consultato. Alla mercé dei ladriIn mezzo a tanta confusione c'è chi ne approfitta. Come è successo a Como, dove 592 documenti storici e 30 manifesti pubblici sono stati trafugati e poi venduti su Internet. Non per bruscolini: il valore commerciale supera i 60.000 euro, quello storico non si può stimare. Per fortuna il «tesoro» è stato recuperato la scorsa estate dai carabinieri del nucleo tutela patrimonio culturale, restano però perplessità su un archivio storico per il quale si spendono 200.000 euro all'anno e dove è possibile far razzia. A deteriorare ulteriormente un quadro già complicato c'è inoltre il problema della mancanza di personale. «Attualmente gli archivi di Stato rappresentano il vero tallone d'Achille del ministero», incalza Trastulli, «perché conservano la memoria storica della collettività ma il personale è davvero sottodimensionato rispetto alle esigenze. Basti pensare alla digitalizzazione del patrimonio archivistico, che potrebbe coinvolgere centinaia di persone garantendo fruibilità, ma al tempo stesso conservazione del materiale evitando il deperimento dei pezzi». Nel mondo digitale dovrebbe essere tutto più semplice e senza costose sedi sparse in tutta Italia. Per quale motivo allora non si procede speditamente verso la digitalizzazione? Secondo i sindacati lo scoglio sta nei numeri: l'organico di diritto, per tutto il Mibac, è fissato in 19.052 unità, quello di fatto è invece di 15.000 persone. «Ma per far funzionare bene la macchina del ministero dovremmo ritornare alle 25.000 o 27.000 unità», rivendica ancora Trastulli. Macché DigitalizzazioneSe però si considerano solo gli addetti agli archivi si scopre che la forza lavoro è composta da 24 dirigenti e 615 funzionari, di questi il 66,3% ha più di sessant'anni e il 28,3% ha superato i cinquanta: quindi entro otto anni molti di loro andranno in pensione. Ovvio che gli archivisti sono pochi se sparsi in 238 sedi e sezioni varie. Proprio questo è un altro punto debole: l'estrema frammentazione. Se le sedi centrali sono cento, quelle territoriali sono numerosissime. Qualche esempio? Esistono archivi di Stato a Pontremoli, Anagni, Faenza, Sulmona. Ma anche a Castrovillari, Locri, Assisi, Foligno, Gubbio, Pescia e Varallo. «Proprio per questo chiediamo da tempo assunzioni mirate: di esecutivi, funzionari e dirigenti», prosegue il coordinatore Uilpa Mibac, «vorremmo azioni concrete che mettano in sicurezza i luoghi di lavoro e investimenti sulla digitalizzazione del patrimonio». Un'operazione necessaria, ma per la quale i tempi sono ancora lunghi: «La digitalizzazione è un mantra attuale, ma sinceramente non si vedono gli esiti di processi innovativi». Nel frattempo la situazione economica in alcune sedi è in un rosso così profondo da aver costretto i dirigenti a non pagare le bollette, come successo anche a Milano. «Queste situazioni estreme dipendono dagli stanziamenti per la gestione ordinaria, così come dai tempi di accredito dei fondi da parte del Mef», attacca ancora Trastulli, «naturalmente il dito è puntato anche contro la capacità di spesa, non sempre eccellente, e da debiti accumulati nel tempo e mai smaltiti per incapacità gestionale». La figuraccia di FirenzeA questo punto la palla non può che passare al ministro Dario Franceschini, che già tre anni fa aveva promesso più ossigeno. «Nei giorni scorsi il ministro ha ribadito di voler rivitalizzare tutti i settori mediante assunzioni, cosa che apprezziamo ma che giudicheremo all'esito dei concorsi», commenta con prudenza il sindacalista. «Dobbiamo rimpolpare il personale delle sedi, puntare sulla sicurezza dei luoghi di lavoro e su investimenti legati alla digitalizzazione effettiva del patrimonio, in fondo noi eroghiamo servizi alla collettività e il mercato del lavoro viaggia in direzione della telematica e delle infrastrutture digitali. Serve un piano, un'idea complessiva e stanziamenti importanti». In attesa che il miracolo si compia, si continua a spendere e si bruciano 20 milioni all'anno in affitti. Rimediando brutte figure con il resto del mondo. Come la «figuraccia internazionale» denunciata da 70 professori e ricercatori universitari di Firenze che hanno inviato un accorato appello al ministero dei Beni culturali: nel capoluogo toscano l'archivio, fondato nel 1852 dal granduca Leopoldo II di Toscana e consultato da titolati studiosi stranieri, ha subito una drastica riduzione degli orari di apertura, e inoltre si verificano rallentamenti e disservizi: «Un libro chiesto dopo le 11.30 del lunedì», si legge nella lettera di protesta degli accademici, «se va bene lo si può consultare solo dopo le 10.30 del mercoledì». Dovrebbe invece bastare un semplice clic sul computer.
(Ansa)
Il ministro Guido Crosetto in occasione dell'82°anniversario della difesa di Roma: «A me interessa che gli aiuti a Gaza possano arrivare, le medicine possano arrivare, la vita normale possa riprendere». Nonostante tutto, Crosetto ha ben chiaro come le due guerre più grandi - quella Ucraina e quella a Gaza - possano cessare rapidamente. «Io penso che la decisione di terminare i due conflitti sia nelle mani di due uomini: Putin e Netanyahu».