2022-10-09
Giustizia schizofrenica sul vaccino: stesso giudice, due sentenze opposte
Situazione paradossale in Veneto. Un magistrato prima ha deciso di reintegrare una sanitaria sospesa per aver detto no alla puntura, e subito dopo ha dato torto a una collega. L’avvocato: «Siamo disarmati».Due dipendenti della stessa Azienda sanitaria vengono sospese dal lavoro perché accusate di un’identica violazione delle norme sugli obblighi vaccinali per i sanitari. Entrambe si rivolgono allo stesso studio legale e presentano due ricorsi paralleli al tribunale, che finiscono sulla scrivania dello stesso giudice. Il quale, però, risponde con due decisioni opposte: in un caso dà ragione alla dipendente e nell’altro dà ragione al datore di lavoro.La paradossale vicenda legale è appena accaduta a Padova, a due dipendenti della medesima unità sanitaria locale. La prima delle due, che chiameremo Caterina, ha 54 anni e fa l’infermiera presso un servizio psichiatrico ospedaliero, mentre l’altra, che chiameremo Stella, ha 57 anni, è un’educatrice professionale e si occupa di riabilitazioni, sempre in campo psichiatrico. La qualifica professionale è però anche l’unico elemento che differenzia (lievemente) le loro vicende, che per il resto sono davvero parallele, anche nella tempistica e quasi perfettamente sovrapponibili. Partiamo da Caterina: quando scoppia la pandemia, avendo deciso di non vaccinarsi, chiede di essere trasferita a una mansione diversa, un lavoro che non la metta a contatto con i pazienti, eventualmente anche in modalità telematiche. L’Usl non le risponde: si limita a sospenderla, il 2 settembre 2021, senza retribuzione. Anche Stella preferisce non vaccinarsi e a sua volta chiede alla Usl di poter essere adibita a mansioni non a stretto contatto con pazienti e colleghi. Il 4 ottobre, esattamente come Caterina, viene sospesa dall’Usl. Per l’una e per l’altra dipendente, anche gli Ordini professionali decidono una sospensione, ma soltanto dopo che l’ha fatto l’azienda. Tra il dicembre 2021 e il gennaio di quest’anno, poi, la situazione si complica perché sia Caterina sia Stella contraggono il Covid, in forma lieve, e dopo poche settimane ne guariscono: per l’esattezza, la prima il 24 gennaio e la seconda il 4 dello stesso mese. Ottengono quindi un regolare green pass, dal quale risulta che tutte e due risultano «coperte» dal virus per sei mesi: Caterina fino al 24 luglio, Stella fino al 4 luglio. A quel punto, correttamente, i due Ordini professionali le riammettono all’albo, revocando la sospensione. L’Usl, invece, in modo del tutto inaspettato invia loro una nuova lettera di sospensione, accusandole d’inadempienza all’obbligo di vaccinarsi entro i 90 giorni dal primo tampone che ha stabilito la loro positività al Covid. La lettera di Stella le arriva il 14 aprile 2022 e le impone 8 mesi di allontanamento dal lavoro, senza retribuzione; quella di Caterina arriva il 28 aprile e anche per lei stabilisce una lunga sospensione, senza stipendio.Le due sanitarie si rivolgono quindi allo studio dell’avvocato Laura Migliorini, che predispone due ricorsi paralleli e ispirati alla stessa logica giuridica. La contestazione principale, più concreta, obietta all’Usl che la sospensione non potesse essere disposta dal datore di lavoro perché le funzioni di verifica e i poteri di sospensione in quel momento erano stati attribuiti esclusivamente agli Ordini dal decreto legge numero 172, firmato il 26 novembre 2021 dal ministro della Salute, Roberto Speranza. In base al decreto 172, insomma, il datore di lavoro non può procedere in via autonoma rispetto alle norme sugli obblighi vaccinali: prima d’intervenire, occorre la sospensione da parte dell’Ordine professionale. Un atto privo di quel presupposto, inoltre, comporta in più una delicata violazione della privacy, in quanto solo gli Ordini professionali, per legge, possono accedere alla piattaforma che contiene i dati sanitari dei loro iscritti.I due ricorsi finiscono, come s’è detto, davanti allo stesso giudice: è Mauro Dallacasa, presidente della sezione lavoro del tribunale di Padova, che il 10 agosto 2022 accoglie il ricorso di Stella, confermando che il decreto 172 attribuisce soltanto agli Ordini professionali la facoltà di sospendere un iscritto e che solo in presenza di quella sospensione un’azienda può agire a sua volta: quindi ordina il reintegro immediato di Stella e condanna al pagamento delle spese l’Usl.Il 27 settembre, invece, il giudice Dallacasa, respinge il ricorso di Caterina. Malgrado tra il 10 agosto e il 27 settembre non sia intervenuta alcuna modifica normativa, il giudice ribalta la sua decisione: stabilisce quindi che un datore di lavoro possa sospendere il dipendente sanitario inadempiente rispetto agli obblighi vaccinali in violazione anche delle prescrizioni in tema di privacy e condanna anche Caterina a pagare le spese processuali. Che fare? L’avvocato Migliorini è sconcertata: «Di fronte a una situazione come questa», dice alla Verità, «un difensore purtroppo si sente disarmato. Temo peraltro che la nostra assistita non abbia neanche i mezzi per fare impugnazione, data la lunga sospensione, senza stipendio, dal lavoro. Comunque decideremo il da farsi». A occhio, la paradossale vicenda delle due sentenze contrapposte potrebbe non finire qui…