2023-12-11
Giustizia impazzita
Se spari ai ladri prendi 17 anni. Se uccidi la fidanzata te ne danno 18, ma con i permessi premio vai fuori molto prima (e le femministe tacciono). In questo caos, non stupisce che il terrorista Cesare Battisti dopo 5 anni punti già a uscire.La condanna a 17 anni del gioielliere che ha ucciso i due rapinatori e ferito il terzo e il risarcimento record dei parenti delle vittime con quasi mezzo milione di euro; il terrorista Cesare Battisti, condannato all’ergastolo per quattro omicidi, che in prospettiva potrebbe godere di misure alternative alla cella attraverso un percorso di «redenzione»; uno dei due ragazzi indagati per gli abusi sessuali ai danni delle due cuginette a Caivano che passa dal carcere ai domiciliari; il bengalese che maltratta la moglie ed è assolto dal giudice perché le percosse rientrano nella sua cultura; Dimitri Fricano, l’uomo che uccise la fidanzata di 25 anni con 57 coltellate al culmine di una lite banale, condannato a soli 30 anni di reclusione e scarcerato perché obeso e depresso; il caso di Davide Fontana che nel gennaio 2022 massacrò la fidanzata e nascose i pezzi del corpo in un freezer. Ora, neanche un anno dopo il delitto, è stato ammesso al «programma di giustizia riparativa» previsto dalla riforma Cartabia. Sempre più spesso leggiamo di sentenze giudiziarie che paiono non in linea con la richiesta della popolazione di maggior sicurezza e di pene severe per chi delinque. C’è chi, passando ai domiciliari perché il giudice pensa che possa svolgere un lavoro e riabilitarsi, riprende a delinquere e a trasgredire la legge dimostrando di non essersi affatto pentito. Come Lucio Marzo che nel 2017 uccise la fidanzata e non solo viene condannato a 18 anni (la ragazza è stata trovata morta sotto un cumulo di pietre dove era stata lasciata agonizzante dopo le percosse) ma avendo ottenuto il permesso di uscire per lavorare, si fa beccare al volante in stato di ebbrezza. Storie come questa sono tante. Ci sono poi i casi di persone condannate che poi si sono rivelate innocenti e hanno dovuto scontare pene detentive molto dure. Beniamino Zuncheddu è tornato libero, a fine novembre, dopo 32 anni di carcere. Era stato ingiustamente condannato in via definitiva all’ergastolo, accusato di un triplice omicidio che si è consumato nel 1991 nelle campagne di Sinnai.È uno scenario inquietante che induce a non fidarsi più della giustizia, quasi incapace di reprimere i delitti e di tutelare la comunità. Stupisce inoltre che mentre si è scatenata una sorta di crociata contro un presunto patriarcato, considerato il mandante dei femminicidi, chi punta il dito contro una cultura «maschilista» non ha lo stesso furore nel reclamare pene severe e certe, per chi delinque. La severità della pena laddove il reato è conclamato, è diventato un argomento di destra, come accusa la sinistra, con una politicizzazione della giustizia che sta producendo un clima di pericoloso giustificazionismo. Sui femminicidi, in particolare, l’attenzione della sinistra si è soffermata più sulle presunte «cause culturali», ovvero una cultura «patriarcale» che sulla punizione del reato. Le femministe hanno reclamato una sorta di «educazione» dell’uomo più che il carcere sicuro, e adeguato per severità al delitto commesso, come forma di deterrenza. La pena spesso può essere ridotta per rito abbreviato, buona condotta, malattia dell’imputato e, dal 2019, anche grazie a corsi dedicati agli uomini che maltrattano, la cui frequentazione (non l’esito) riduce gli anni di detenzione. Quello che è stato definito il «killer delle fidanzate» per aver ucciso il 10 agosto 2007 a Sanremo la sua ex fidanzata Antonella Multari e accusato del delitto di un’altra donna dal quale però fu assolto, dopo una detenzione di soli 17 anni e mezzo, a luglio ha lasciato il carcere per la Rems di Genova Pra’ di Villa Caterina, poiché per i giudici è ancora socialmente pericoloso e lì deve intraprendere un percorso terapeutico. Le Rems sono le residenza per le misure di sorveglianza che hanno sostituito gli Opg (ospedali psichiatrici giudiziari). Sono strutture in cui le misure di sicurezza non sono come quelle di un carcere, non ci sono le sbarre. È la strada per tornare presto in libertà.Ci sono poi quelli scarcerati per buona condotta. Stefano Fattorelli, 50enne di Caprino Veronese, nell’ottobre 2022 ha accoltellato alla schiena la convivente. Nel 1999 aveva ucciso la moglie, Wilma Marchi, con le stesse modalità. Condannato a 12 anni, era stato scarcerato per buona condotta. Il 26 marzo 2023 è stato liberato, dopo 13 anni (ne avrebbe dovuto scontare 18) Abdelaziz El Houate, cittadino marocchino, che nel 2010 a Villanova di Camposampiero, uccise con più di cento coltellate la moglie, allora ventiduenne, Zineb Atif, mentre il figlioletto di appena due anni era in cucina a giocare. Durante i processi emergono anche tesi surreali. Come nel caso di Pietro Morreale, già condannato all’ergastolo, accusato di aver ucciso la 17enne Roberta Siragusa e di averne incendiato il corpo che fu trovato in un burrone nel gennaio del 2021 nei pressi di Caccamo (Palermo). Secondo il difensore dell’imputato la ragazza si sarebbe data fuoco da sola, poi Morreale la buttò nel dirupo per esaudire un desiderio della ragazza che intendeva morire lì, dove la coppia era solita appartarsi.Ci sono poi le lunghe sequenze giudiziarie; processi che sembrano conclusi e vengono riaperti con la prospettiva di una riduzione della pena per la decadenza dei reati. Come per l’omicidio di Desirée Mariottini, la 16enne morta nell’ottobre del 2018 in uno stabile abbandonato nel quartiere di San Lorenzo a Roma. La Cassazione ha fatto cadere l’accusa di omicidio per uno dei quattro imputati, immigrati africani, e di conseguenza la condanna all’ergastolo. Per gli altri due è caduta l’aggravante della violenza sessuale contestata insieme al reato di omicidio. Le loro pene subiranno quindi, probabilmente, un ridimensionamento.
Jose Mourinho (Getty Images)