2021-01-19
Giuseppi l’equilibrista accarezza il Dragone
Nel discorso alla Camera, il presidente del Consiglio spalanca le porte al regime rosso di Pechino col rischio di far irritare gli Usa. Dagli accordi sul 5G alla Via della seta, il premier e il M5s stanno (pericolosamente) spostando il nostro Paese nell'orbita cinese. Sentirlo in diretta a Montecitorio, durante l'intervento di ieri mattina di Giuseppe Conte, ha fatto impressione a molti. Rileggere il passaggio a posteriori, nero su bianco, ne fa ancora di più, perché, clausole di stile a parte, dà veramente la sensazione anomala di un premier italiano equidistante, anzi «equivicino» tra Occidente e Cina, tra Washington e Pechino, come se si trattasse di opzioni geopolitiche (e morali) equivalenti e tra loro perfino intercambiabili.Ecco la frase esatta pronunciata da Conte: «Quale autorevole membro dell'Ue - funzione pienamente recuperata in questo tratto di legislatura - abbiamo la possibilità di offrire anche un importante contributo a un'utile azione di raccordo fra i principali attori internazionali, a partire naturalmente dagli Stati Uniti - nostro principale alleato e fondamentale partner strategico - e dalla Cina, il cui innegabile rilievo sul piano globale ed economico va associato a rapporti coerenti con un chiaro ancoraggio al nostro sistema di valori e principi».Certo, gli esegeti più ortodossi del contismo si sono affrettati a sottolineare che l'apertura alla Cina appare bilanciata dalla premessa del riconoscimento del nostro principale vincolo atlantico, e lo stesso Conte, replicando ieri pomeriggio, ha fatto riferimento a quella che ha definito una «lunga e calorosa telefonata con Joe Biden». Sarà. Ma a Pechino saranno indubbiamente rimasti soddisfatti per avere causato (a costo zero per loro) altro fastidio nel campo occidentale.In questi giorni, la Cina sta letteralmente testando la debolezza occidentale nel dopo Trump, o comunque in questa delicata fase di passaggio: stretta repressiva a Hong Kong, minacce a Taiwan, e pesantissime ironie sugli Usa. Come ha acutamente notato Nick Timothy ieri sul Telegraph di Londra, i propagandisti cinesi si sono divertiti a fare un parallelo tra i manifestanti di Washington e gli attivisti democratici a Hong Kong, così come hanno usato il ban sui social network contro Donald Trump per giustificare la sistematica repressione che Pechino fa del free speech. Di più: in modo canzonatorio, la propaganda del regime di Pechino ha parlato dei disordini di Capitol Hill come della «primavera di Washington», e ha ironizzato sulle imponenti misure di sicurezza per il prossimo giuramento di Joe Biden chiedendosi se l'America abbia paura della sua gente. Provocazioni belle e buone, per mettere alla prova la lentezza di reazione di Biden.Ecco, su un piano minore ma non irrilevante, ieri il regime cinese ha incassato un regalo pure dal premier italiano. C'è da chiedersi come mai Conte sia stato così esplicito su una posizione tanto discutibile. La prima spiegazione possibile è che il premier italiano e gli ambienti grillini abbiano negli scorsi anni promesso troppo e realizzato poco a favore di Pechino (dal 5G al seguito degli accordi sulla Via della seta), e che dunque Conte abbia sentito l'urgenza di rassicurare la Cina e quasi di scusarsi. La seconda spiegazione, perfettamente sovrapponibile con la prima, e che anzi la aggrava, ha a che fare con la vera o presunta rete pro Conte che sta emergendo anche durante questa crisi, variamente caratterizzata da un atteggiamento assolutamente sinofilo: diplomazia vaticana, ambienti dalemiani, per non dire di tutti quelli che si agitarono molto per favorire e accompagnare l'adesione italiana al memorandum sulla Via della Seta, nel 2019, con tanto di arrivo al Quirinale di Xi Jinping con scorta d'onore di corazzieri a cavallo.Nemmeno la pandemia cinese sembra aver ridimensionato questa fascinazione. Si ricorderà lo sforzo politico e mediatico di troppi, qui in Italia, per magnificare come il regime abbia «sconfitto» il contagio a Wuhan; o il modo imbarazzante in cui l'Italia, mesi fa, fu trasformata nel palcoscenico di una gigantesca operazione di propaganda cinese, con tv e giornali (e ministri) impegnati a descrivere il governo cinese più o meno come il nostro salvatore, che ci inviava medici e mascherine, mentre filmati delle tv cinesi descrivevano gli italiani (così la raccontavano: anzi, così ci raccontavano) felici di cantare sui balconi per ringraziare Pechino. Incredibile ma vero: ci siamo fatti trattare in questo modo. Prima infettati, e poi usati come teatro per le esibizioni mediatiche di un regime. Senza menzionare le altre cose che tutti abbiamo ben impresse nella memoria: per tutta la prima fase del contagio, la campagna politica e mediatica italiana contro il presunto razzismo anti cinese, con tanto di spot del ministero della Salute, visite istituzionali a scuole con bimbi cinesi, concerti al Quirinale alla presenza dell'ambasciatore di Pechino a Roma, e l'immancabile hashtag #abbracciauncinese.Folklore? Eccessi di zelo «in modalità pechinese», fino alla sortita improvvida di Conte ieri in Aula? No, forse queste sono spiegazioni insufficienti. Convince di più la preoccupazione di chi teme uno «scarrellamento» verso oriente della bussola geopolitica italiana, con vasti settori politici e istituzionali (e un solido asse Vaticano-Roma) purtroppo più orientati verso Pechino che verso Washington. Sarà dura raccontarla agli americani. Pur tra tante differenze tra trumpiani e antitrumpiani, infatti, l'impressione è che tutto l'establishment Usa consideri Pechino un rivale strategico, democratici compresi, e incluse testate televisive e giornalistiche (dalla Cnn al Washington Post, passando per il New York Times) che sono state feroci avversarie di Trump. Nessuno sarà contento di sapere che a Roma, invece, si oscilla e si tentenna.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
Ecco #DimmiLaVerità del 17 settembre 2025. Il nostro Giorgio Gandola commenta le trattative nel centrodestra per la candidatura a presidente in Veneto, Campania e Puglia.