2021-08-30
Giulio Tremonti: «L’Italia? Ha un ruolo da centralinista»
Giulio Tremonti (Getty Images)
L'economista: «Siamo marginali. Come mostra la crisi afgana, non abbiamo chance di mediare tra le superpotenze. Servirebbe un leader politico non un governo che non ha il green pass per governare».Professor Giulio Tremonti, la situazione afgana è precipitata. Si aspettava un attentato così distruttivo? «Quello che sta accadendo ha origine in anni passati. Anni fa in America ho avuto l'occasione di parlare con Francis Fukuyama, che teorizzava la “fine della storia", e Samuel Huntington, che scriveva sullo “scontro di civiltà". La partita è stata vinta dal secondo. La storia non è finita, era solo sospesa dalla “illusione" del mercato globale. Ora sta tornando con il carico degli interessi arretrati, accompagnata dalla geografia e dal caos». Finisce l'epoca degli Usa gendarmi del mondo? «Verso la fine degli anni Novanta venni invitato a un dibattito alla Cambridge Union Society: allora si parlava di Jugoslavia, del diritto-dovere di intervenire militarmente in caso di crimini, superando lo schema secolare di Westfalia. Ma poi sono venute su scala crescente le azioni di contrasto al terrorismo, la ricerca dei terroristi nelle loro basi, e poi ancora le rivoluzioni della primavera araba, non tanto spontanee quanto mosse da fuori dai motori di Google. Infine i tragici interventi in Libia e in Siria. Da ministro, ho detto in varie sedi che la democrazia si costruisce in loco, non si può esportare come fosse un McDonald's». La democrazia non si esporta, a meno che non esista già una cultura democratica nel paese ricevente?«Per me l'espressione più autentica della democrazia è quella contenuta nella Carta Atlantica del 1941, l'accordo sottoscritto da Roosevelt e Churchill, dove la democrazia è presentata come un modello, non come un obbligo, e certo non come un prodotto. È in questi termini che l'America è stata e potrà ancora essere grande». L'Afghanistan è l'ultimo atto di un'epoca che si chiude? «Si usa dire che l'Afghanistan è storicamente la tomba degli imperi. Aggiungo che da quelle parti c'è anche la tomba di Alessandro Magno, il primo che si avventurò in quelle contrade con l'idea di costruire la civiltà perfetta». Come giudica la gestione della pratica da parte dell'amministrazione Biden? «Più in generale ciò che impressiona è il distacco dalla realtà dell'intera leadership occidentale. Il communiqué che ha chiuso il G7 il 13 giugno scorso ci si presenta come il diario di un gruppo di turisti in un villaggio vacanze: turisti della storia. Esteso su 70 punti, dall'economia alla pandemia, dal rule of law agli orientamenti sessuali, sintetizza il “terzo mondo" in una mappa mundi: e in questa mappa, al punto 57, c'è anche l'Afghanistan. Vi si esprime la determinazione a mantenere il supporto al governo afghano. Si era in giugno: due mesi dopo, la verità. Il crollo di un governo fantoccio e corrotto e la dissoluzione dell'esercito». Trecentomila uomini armati fino ai denti. «Era uno dei più grandi eserciti del mondo. Ha seguito l'esempio della guardia dello Scià di Persia: soldati coraggiosissimi detti “gli immortali". Quando scoppiò la rivoluzione popolare scomparvero tutti e non morì nessuno. Era questo il loro modo di essere immortali». E adesso?«Oggi passiamo da un global order a un global disorder, su di un arco di crisi attuali o potenziali esteso dal mondo arabo all'Africa, da Taiwan all'artico. Un caos che non sarà limitato alla geopolitica ma si estenderà anche all'economia e alla finanza. È questa la crisi che prevedevo nella lectio degasperiana scritta ai primi di agosto. È la fine del G7 che per decenni è stato il centro del Washington consensus, un corpo politico unificato da un codice politico, la democrazia, un codice economico, il dollaro, un codice linguistico, l'inglese. Il resto dell'umanità ruotava intorno al G7. Ora non è più cosi, ed è improbabile che il G20 lo sostituisca. Russia e Cina hanno già costruito un asse su cui giocare la partita dei loro interessi». Saremo in balìa delle autocrazie?«Userei questo termine con moderazione. Pensate che sia facile governare democraticamente un Paese di un miliardo e mezzo di persone, un Paese che va da Anna Karenina a Gengis Khan?».L'Europa riuscirà a dotarsi di una difesa comune? «Gli eurobond che sono alla base del Recovery Plan li ho proposti nel 2003: prevedevano finanziamenti alle opere pubbliche ma anche all'industria della difesa. Allora vennero respinti dalla Commissione Europea. Oggi gli eurobond funzionano per gestire gli effetti della pandemia: ma non so se c'è reale volontà di usarli per la difesa». E in tutto questo, quale sarà il ruolo dell'Italia? Potremo fare da tramite tra le superpotenze? «Ho l'impressione che il governo italiano non abbia grandi chances per andare oltre il ruolo di centralinista. Servirebbe un leader politico vero, connesso con i sentimenti del proprio popolo. Come nella crisi del 2008, Berlusconi oggi sarebbe stato all'altezza». Questo governo non è in sintonia con i cittadini?«Oggettivamente questo governo è un unicum nella vicenda delle democrazie. Il parlamento, essendo diviso, non ha la forza per esprimersi su temi essenziali, come ad esempio i vaccini. Puoi essere in accordo o no, ma la Costituzione prevede che sui vaccini debba esserci una legge. Il governo non agisce sulle questioni sostanziali perché non ha una vera maggioranza. Oggi il rischio è l'avvio della fine del sistema parlamentare. Mettiamola così: questo esecutivo non ha il green pass per governare». Insomma, un'anomalia italiana?«Nel secolo scorso, in alcuni sistemi politici i parlamenti erano ridotti a semplici chambres de registration, con meri poteri di ratifica. Ma a monte c'erano governi che governavano; oggi in Italia non è propriamente così». Ma non è forse questa la filosofia dell'unità nazionale, come nel '44-'47? «Questo è il falso storico con cui questo governo si è presentato al parlamento. La ricostruzione del Paese dopo la guerra non si fondò sull'unità nazionale, ma sull'opposto. Il piano Marshall ebbe come precondizione l'uscita dei comunisti dal governo. L'opposto dell'unità». E i paragoni con De Gasperi?«De Gasperi, di ritorno dalla sua missione in America, si guardò bene anche solo dal nominare il ministro Togliatti. E tutto questo non perché De Gasperi non fosse abbastanza responsabile e democratico e perciò “unitario", ma per la ragione opposta: perché era responsabile e democratico nel senso proprio di questi termini. Nel senso della sistematica, essenziale, esclusiva centralità del voto del popolo per il Parlamento. E non altri artifici». Allo stesso modo, trova inappropriati i richiami attuali al piano Marshall? «Il piano Marshall si chiamava European Recovery Plan, come oggi il Pnrr. Nome a parte, le differenze strutturali sono enormi. L'impianto del piano Marshall era “liberale", quello del Pnrr è dirigistico. Senza contare che oggi il Recovery Plan funziona non con i soldi americani, ma con i nostri. Ricordiamoci poi che con il piano Marshall arrivarono le navi Liberty, cariche di grano, latte, burro e formaggio. In Guareschi c'è l'episodio del comunista che se la prende col figlio che mangia marmellata americana. Togliatti spinto dal Cominform pensava di vincere le elezioni soprattutto sulla fame, ma vinsero i valori la democrazia». Nel 2012, dieci anni fa, il suo libro Uscita di Sicurezza paventava l'abuso dello «stato di necessità», «con l'invadenza sulla democrazia di istituzioni puramente tecnocratiche, capaci di sublimare il primato dell'economia sulla politica». «Scrivevo davvero così bene?» Questo «stato di necessità» si esprime con gli stessi meccanismi anche durante la pandemia? «Può applicarsi ad ogni emergenza. Se guardiamo la copertina del Leviatano di Hobbes, base dello stato moderno anche assolutistico, noteremo che campeggia la figura del dottore della peste con il naso a becco. C'è sempre stato un legame tra epidemie e rafforzamento dei poteri pubblici. La questione è: fino a che punto?».Previsioni sul futuro inquilino del Quirinale? «Tempo fa ho scritto un articolo nel quale notavo l'assurdo di un parlamento che si è autodelegittimato, ma che comunque avrebbe eletto un nuovo presidente per sette anni, un tempo ancora più lungo del parlamento che verrà, perché sette è più di cinque. In questi termini mi sembra logico che si ripeta il caso Napolitano, con un presidente confermato per un altro settennato». Qualche giorno fa si è celebrato il decennale della famosa lettera di Trichet-Draghi indirizzata al governo Berlusconi. Quella in cui si imponevano le ricette europee, dietro minaccia di non acquistare più i titoli di debito italiano, causando il default del Paese. «Nel sistema europeo la banca centrale è indipendente dai governi, ma i governi sono indipendenti dalla banca centrale. Il luogo istituzionale per risolvere le crisi è l'Eurogruppo ed il parlamento europeo. Quella lettera imponeva l'anticipo del pareggio di bilancio, numerose riforme, inclusa una riforma costituzionale da fare subito. E dunque rappresentava una invadenza nella sovranità di un paese membro. La prova dell'anomalia era nella lettera stessa, raccomandata come strictly confidential. A ben vedere solo la malavita poteva considerare confidenziale una lettera di quel tenore». Quindi come giudica a distanza di dieci anni quell'episodio? «Una lettera che ancora oggi considero politicamente criminale. Il filosofo Jurgen Habermas una volta disse che fu un “dolce colpo di Stato". Analisi corretta: ma non fu affatto dolce. E lei non cercò di resistervi?«Era impossibile resistervi, la minaccia del default era assoluta. Non c'erano alternative».
Papa Leone XIV (Getty Images)
Sergio Mattarella con la mamma di Willy Monteiro Duarte (Ansa)
Duilio Poggiolini (Getty Images)
L'amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)