2025-06-11
Il Colle chiede imparzialità ai giudici. Loro vanno in campo pro referendum
Silvia Albano (Imagoeconomica)
Sergio Mattarella, solo due settimane fa, si è appellato alla terzietà dei magistrati, in ogni contesto. Eppure, quelli di Md hanno fatto campagna contro il Jobs act e pro immigrati. Come può un cittadino fidarsi del loro giudizio?«Giudici e pubblici ministeri hanno il dovere di essere e di apparire - apparire ed essere - irreprensibili e imparziali, in ogni contesto (anche nell’uso dei social media)». Parola di Sergio Mattarella che aggiunge: «La condizione di legittimazione dell’Ordine giudiziario risiede anzitutto nella fiducia che i cittadini nutrono nei confronti della giustizia. Questa fiducia non va confusa con consenso popolare sulle sue decisioni». Il presidente della Repubblica, che è anche, giova ricordarlo, presidente del Csm, ha rivolto queste raccomandazioni a 600 giovani neomagistrati tirocinanti un paio di settimane fa. Sarebbe interessante conoscere il suo pensiero, a referendum consumati e bocciati, di fronte alle prese di posizione di Magistratura Democratica che è stata magna pars del comitato promotore dei referendum. E che a urne chiuse e a conclamata sfiducia del popolo italiano - in nome del quale i giudici anche di Md emettono sentenze - tace. Il presidente dell’Anm, Cesare Parodi, ci ha tenuto a far sapere che lui votava. Si pone però una questione: il presidente di Magistratura Democratica Silvia Albano, giudice del Tribunale di Roma che ha invalidato tutti i trasferimenti dei migranti nei centri in Albania, ha ancora le qualità invocate da Sergio Mattarella, e cioè il dovere di essere e apparire imparziale in ogni contesto? La domanda è lecita perché Md che è magna pars dell’Anm è stata tra i promotori dei cinque referendum trincerandosi dietro il «dovere costituzionale» di difendere alcuni principi. Cioè quei giudici e pubblici ministeri che hanno, a parere del presidente del Csm, l’obbligo di apparire ed essere imparziali non solo prendono parte, ma si fanno parte. Scrivono nel loro manifesto di promozione dei plebisciti: «I referendum di giugno hanno il merito di chiamare elettori ed elettrici a ripudiare un modello regolativo affermatosi nel nostro ordinamento ormai da decenni e di cui i decreti attuativi della riforma nota come Jobs act (oggetto dei quesiti sui licenziamenti) costituiscono l’esempio ultimo e perfetto. Un modello in cui il lavoro è un fattore della produzione come gli altri, è una merce, che può essere sempre usata quando serve e sempre dismessa quando non serve più». Aggiungono: «In questi anni tanta parte del dibattito pubblico si è costruito sulla contrapposizione, su noi contro loro e generalmente «loro» erano le persone straniere, mentre «noi» erano spesso le lavoratrici e i lavoratori italiani, specie i più poveri. Oggi con il voto ai referendum i cittadini e le cittadine italiane possono affermare che i diritti si tutelano per tutti e tutte o non sono diritti per nessuno». Ora viene da chiedersi se un giudice del lavoro aderente a Md possa ritenersi imparziale e la stessa domanda si può fare al presidente di Magistratura democratica che ha giudicato sui respingimenti di migranti e sull’invio di questi nei Cpr in Albania. Viene da chiedere a Silvia Albano: giudice, quando lei emette un’ordinanza si attiene al codice e dunque al corpo delle leggi che un potere democratico, il Parlamento investito dalla rappresentanza popolare, ha disposto o vuole «ripudiare un modello regolativo»? Del pari sarebbe interessante sapere se quando un magistrato di Md in sede giudicante emette una sentenza in «nome del popolo italiano» lo fa avendo a riferimento le leggi della Repubblica o i desiderata di Md? Che si è fatta - essendo promotrice dei referendum - parte in causa e non più terza. Quando Silvia Albano ha pronunciato e poi redatto la sentenza contro i Cpr di Albania - sentenza peraltro ampiamente anticipata dai post della giudice sui suoi social - lo ha fatto applicando la legge vigente o anticipando l’esito referendario da lei auspicato? Da oggi sappiamo che le sentenze emesse da un giudice aderente a Magistratura Democratica in materia di lavoro e di immigrazione e cittadinanza non sono pronunciate «in nome del popolo italiano» ma di una parte largamente minoritaria tanto sul lavoro (12 milioni 300.000 sul jobs act pari a un po’ meno di un quarto dell’elettorato) quanto sulla cittadinanza rapida (circa 9 milioni di voti che il quesito referendario sulla cittadinanza ha raccolto: il 17% del corpo elettorale). Viene da domandare ai togati iscritti a Md se non si sentono sfiduciati dal «popolo italiano» che ha bocciato i referendum da loro proposti e con quale serenità d’animo oggi svolgano nei confronti della stragrande maggioranza dei cittadini le loro funzioni giudicanti e inquirenti. Perché 3 italiani su 4 sono oggi «avversano» le proposte dei magistrati di Md. Viene del pari da chiedere al presidente della Repubblica e presidente del Csm quale garanzia di terzietà, di imparzialità ha un cittadino che appartiene a quel 75% che ha rifiutato i quesiti referendari se si trova di fronte in materia di lavoro o d’immigrazione un togato di Md? Una sentenza da questi emessa è in nome del popolo italiano o della minoranza uscita dalle urne? Scrive Md nel suo manifesto: «Oggi con il voto ai referendum i cittadini e le cittadine italiane possono affermare che i diritti si tutelano per tutti e tutte o non sono diritti per nessuno e che a rendere fragili e precarie le vite dei lavoratori non sono i lavoratori più poveri, ma sistemi regolativi che consentono, a volte incoraggiano, lo sfruttamento degli uni e degli altri». Presidente Sergio Mattarella, se lei fosse un imprenditore chiamato a processo di fronte a un giudice del lavoro esponente di Md, oppure si trovasse inquisito da un pm aderente alla medesima «corrente» dell’Anm, potrebbe con serenità affermare che quei magistrati sono «imparziali, in ogni contesto»? O da presidente del Csm intende porsi verso gli elettori italiani contrari al referendum come il Conte Zio, magistralmente ritratto da Alessandro Manzoni, di fronte al padre provinciale dei francescani? Ci sentiamo come Fra Cristoforo, stanchi di chi amministrando la legge si sente sopra la legge. Piuttosto che «sopire, troncare, padre molto reverendo, troncare, sopire» come è successo col caso di Luca Palamara, è tempo di restituire fiducia nell’ordine giudiziario. O il prossimo referendum chiederà di togliere dai tribunali la scritta «in nome del popolo italiano».
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