2023-04-09
Giudice sospende la pillola abortiva e Biden si scaglia contro la sentenza
La corte texana smonta l’ok della Fda a uno steroide: «Le pressioni politiche hanno prevalso sulla sicurezza». Un magistrato nominato da Barack Obama afferma l’opposto. E il presidente attacca: «Assalto politico all’Agenzia».È di nuovo scontro sull’interruzione di gravidanza negli Stati Uniti. Venerdì, un giudice distrettuale del Texas, Matthew Kacsmaryk, ha emesso un’ordinanza che sospende l’approvazione, concessa nel 2000 dalla Food and drug administration (Fda), del mifepristone: uno steroide sintetico usato per la realizzazione della pillola abortiva. Il togato ha comunque concesso al governo federale sette giorni per fare ricorso. Qualora entrasse in vigore, l’ordinanza interromperebbe la prescrizione e la distribuzione di questo steroide in tutti gli Stati Uniti, mentre resterebbe disponibile il misoprostolo (anch’esso usato per le interruzioni di gravidanza, sebbene, secondo il Guardian, risulti meno efficace). «La corte non giudica alla leggera il processo decisionale della Fda. Ma qui, la Fda ha ceduto rispetto alle sue legittime preoccupazioni sulla sicurezza - in violazione del suo dovere statutario - sulla base di ragionamenti chiaramente infondati e studi che non hanno supportato le sue conclusioni», si legge nella sentenza. «Ci sono anche prove che indicano come la Fda abbia affrontato significativa pressione politica per rinunciare alle misure di sicurezza proposte onde far avanzare meglio l’obiettivo politico di un maggiore “accesso” all’aborto farmacologico», si legge ancora. «Che la Fda abbia abbandonato o meno le restrizioni proposte a causa di pressioni politiche, una cosa è chiara: la mancanza di restrizioni ha portato a molti decessi e a molte reazioni avverse gravi e pericolose per la vita», prosegue il testo. Tuttavia il quadro si è presto ingarbugliato. Meno di un’ora dopo l’ordinanza di Kacsmaryk, un giudice distrettuale dello Stato di Washington, Thomas O. Rice, ha emesso a sua volta un pronunciamento in contraddizione con quello texano, sostenendo che la Food and drug administration non deve revocare la sua approvazione del mifepristone: una sentenza, quest’ultima, che vale in 17 Stati e a Washington Dc. Insomma, si prospetta una situazione di stallo, che potrebbe portare presto a un contenzioso davanti alla Corte suprema. Lo scontro, oltre che giudiziario, è ovviamente anche politico. Innanzitutto vale la pena sottolineare che Kacsmaryk è stato nominato da Donald Trump e Rice da Barack Obama: una situazione, questa, che non potrà non avere delle ripercussioni nella dialettica tra democratici e repubblicani. In secondo luogo, è apparsa un po’ paradossale la reazione dell’amministrazione Biden. Il procuratore generale degli Stati Uniti, Merrick Garland, ha annunciato un ricorso contro la sospensione arrivata dall’ordinanza del Texas. E questo è obiettivamente un diritto del governo, visto che la stessa ordinanza - lo abbiamo visto - lascia sette giorni per fare appello. Il punto è semmai un altro. E risiede nella nota diffusa l’altro ieri dallo stesso Joe Biden. «La corte in questo caso si è sostituita al giudizio dell’Fda, l’agenzia esperta che approva i farmaci. Se questa sentenza dovesse essere confermata, allora non ci sarebbe virtualmente alcuna prescrizione, approvata dalla Fda, che sarebbe al sicuro da questo tipo di attacchi politici e ideologici», si legge nel comunicato presidenziale. Parole che lasciano perplessi. Sia chiaro: Biden ha tutto il diritto di non condividere l’ordinanza del giudice del Texas e di fare ricorso contro di essa. Quello che lui ha però fatto con questo comunicato è essenzialmente delegittimare la sentenza, definendola de facto un attacco ideologico. E pensare che, appena mercoledì scorso, la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, aveva redarguito Trump per le sue critiche al giudice che supervisionerà il suo processo a New York, dicendo: «Condanniamo qualsiasi tipo di attacco contro qualsiasi giudice». Ricapitolando: Trump non può criticare un giudice che ha donato soldi alla campagna di Biden e la cui figlia ha lavorato nel comitato elettorale di Kamala Harris. Però l’attuale presidente può accusare un togato, che emette una sentenza con cui è in disaccordo, di attacco politico. Strana logica. Come che sia, questo ennesimo scontro sull’interruzione di gravidanza rischia di riaccendere le tensioni tra Biden, che è il secondo presidente cattolico nella storia americana, e la Conferenza episcopale statunitense, che a gennaio aveva criticato la Fda per aver reso maggiormente accessibili le pillole abortive. Era sempre gennaio, quando l’inquilino della Casa Bianca sostenne che il Pontefice e alcuni vescovi non erano contrari al fatto che l’aborto potesse essere finanziato dal denaro dei contribuenti. Parole che suscitarono lo sdegno del vescovo di Tyler, Joseph Strickland. «Il signor Biden non può permettersi di distorcere in questo modo le parole di papa Francesco», twittò. «Chiedo alla Sala stampa vaticana di chiarire con enfasi che papa Francesco definisce giustamente l’aborto un omicidio. È ora di denunciare il finto cattolicesimo di Biden», aggiunse. La tensione, insomma, resta alta.
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