2023-09-18
Il giudice salva il migrante stupratore
Un centro di primissima accoglienza (Ansa)
Tunisino richiedente asilo accusato da un’altra immigrata: «Mi ha violentato nel centro di accoglienza». La prefettura gli revoca i benefici, ma le toghe non sono d’accordo: il reato marchio d’infamia per i maschi bianchi non giustifica l’espulsione per gli africani.L’accusa che gli hanno rivolto è pesante. Di quelle che - forse anche giustamente - quando sfiorano un maschio lo spediscono immediatamente sul patibolo e lo consegnano al linciaggio mediatico. Ma nel caso che stiamo per raccontare non è andata così, perché l’accusato è un richiedente asilo, e questo cambia tutto. Il protagonista è un uomo, un tunisino, che ha fatto richiesta di accoglienza in Italia e - nell’ attesa che la sua pratica fosse evasa - è stato collocato nella caserma Serena, hub per migranti nella città veneta che ospita circa 500 persone. È proprio nell’ex edificio militare che sarebbe avvenuta l’aggressione ai danni di una donna, anche lei migrante e richiedente protezione. Scrive Andrea Priante sul Corriere del Veneto che «la violenza si sarebbe consumata lo scorso febbraio. Stando al versione della vittima, il nordafricano l’avrebbe bloccata nei corridoi dell’hub per costringerla a un rapporto sessuale. In seguito alla denuncia, e all’iscrizione nel registro degli indagati, la prefettura ha provveduto a revocargli le misure di accoglienza e da allora il presunto stupratore ha perso ogni diritto a vitto e alloggio». Uno svolgimento dei fatti cristallino, almeno secondo la logica e il buonsenso. Chi sbarca in Italia chiedendo di essere ospitato dovrebbe se non altro mantenere un comportamento dignitoso. Di fronte a una pesante accusa di violenza sessuale viene da pensare che la soluzione più immediata sia proprio la revoca dell’accoglienza e il cortese invito a fare rientro nella nazione di origine. E invece no. Le cose sono andate in maniera molto diversa. Il tunisino accusato di stupro ha fatto ricorso al Tar del Veneto, sostenendo di essere stato ingiustamente privato dei benefici della accoglienza. E il tribunale gli ha dato ragione. L’avvocatura dello Stato, riporta sempre il Corriere del Veneto, ha provato a sostenere che la «violazione grave o ripetuta delle regole delle strutture in cui è accolto... ovvero comportamenti gravemente violenti» dovrebbero condurre all’immediato rifiuto della protezione. Ma secondo il Tar il tunisino deve al più presto essere riammesso in una struttura che gli garantisca vitto e alloggio a spese dei contribuenti. Così, dicono i giudici veneti, prevedono le norme europee. Secondo queste ultime, «uno Stato membro non può prevedere, tra le sanzioni che possono essere inflitte a un richiedente protezione internazionale in caso di gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza o di comportamenti gravemente violenti, una sanzione consistente nel revocare, neppure temporaneamente, le condizioni materiali di accoglienza». Motivo per cui, anche di fronte ad atti gravi, la sanzione «non può spingersi fino a tal punto e deve esercitarsi con strumenti che salvaguardino l’accesso del richiedente protezione all’assistenza sanitaria e a un tenore di vita dignitoso». Traduciamo: se un richiedente asilo tenta di violentare un’altra donna che si trova nelle sue stesse condizioni, la più grave sanzione in cui può incorrere è «la sua collocazione in una parte separata del centro di accoglienza, unitamente a un divieto di contatto con taluni residenti del centro, o il suo trasferimento in un altro alloggio». Capito? Secondo le regole comunitarie il presunto aggressore potrebbe restare a vivere nel centro di accoglienza in cui si trova la vittima, basta che lo tengano un po’ lontano da lei. «Abbiamo riscontrato un grave comportamento improntato ad atti violenti e abbiamo agito come si è sempre agito fino a qualche tempo fa in questi casi: applicando la massima sanzione che è la revoca dell’accoglienza», ci dicono dalla prefettura di Treviso. «La decisione del Tar non ci è stata ancora notificata, quando la riceveremo la leggeremo e poi ottempereremo». Il commento è neutro, ma non è difficile immaginare un sottofondo di stupore per la sentenza del Tar. Dopo tutto non risultano precedenti analoghi. Isabella Arena, legale del nordafricano e già candidata del Pd a Treviso, appare invece molto soddisfatta. «La sentenza» dice al Corriere, «conferma la giurisprudenza della Corte di Giustizia. Nel frattempo, a marzo, è stata adeguata la normativa italiana, che palesemente era in contrasto con quella europea perché non tutela i diritti primari di persone che, all’improvviso, si ritrovavano a vivere per strada, spesso, come in questo caso, prima ancora di una sentenza di condanna». Ora, comprendiamo le ragioni del garantismo, come no. Non ci risulta tuttavia che le accuse di violenza sulle donne suscitino solitamente grande impeto garantista, anzi. Eppure, guarda un po’, in questa circostanza non udiamo grida e lamenti. Ma soprattutto a sconcertare è l’idea che il dovere di accoglienza venga prima di tutto: persino prima della tutela delle donne, prima della tutela della popolazione italiana che avrebbe anche diritto a non mantenere un violento. Sembra allibito anche Mario Conte, sindaco leghista di Treviso, che a proposito di questa vicenda parla di «uno scollegamento tra burocrazia e realtà preoccupante che rischia di generare pericolese tensioni e un clima contrario a ogni forma di integrazione. Non possiamo continuare a pensare esclusivamente ai diritti senza tener conto dei doveri civili e aggiungo morali», dice alla Verità. «C’è bisogno di concretezza, di responsabilità e rispetto. Rispetto nei confronti della vittima e rispetto dei confronti della comunità che accoglie. Chi assume comportamenti illegali, violenti e irrispettosi deve immediatamente essere cacciato ed escluso da ogni forma di aiuto». Già: così dovrebbe funzionare in teoria. Così dovrebbe funzionare secondo il buon senso e la logica. Ma a quanto pare ogni ragionamento sensato deve essere sospeso affinché l’accoglienza trionfi sempre e comunque.