2019-01-21
Giù le mani dal mio disordine. Perché la giappo-spazzina è solo un inganno pericoloso
Per Marie Kondo, la soluzione a case stracolme è gettare «ciò che non ci dà gioia». Ma è un palliativo: il problema è l'acquisto compulsivo come unico sfogo al desiderio.Fate molta attenzione. Se sentite suonare alla porta e dallo spioncino o dal videocitofono vedete che fuori c'è una piccoletta asiatica con i capelli lunghi e un sorriso a paresi, non aprite. Non si sa mai: potrebbe trattarsi di Marie Kondo, la giapponese nata nel 1984 che ha inventato il metodo Konmari. Non aprite, perché questa vi entra in casa, e con il sorriso inchiodato in faccia comincia a riordinarvela. Anzi, si mette a riempire sacchi di roba e ve la butta via con una ferocia inaudita, non si ferma nemmeno se vi mettete a frignare. Vi chiede: «Questo oggetto ti dà gioia?» e se ci mettete più di un secondo a rispondere di sì, zac, l'oggetto in questione è già in viaggio verso la discarica. Se non ci credete, guardate la serie tv da poco disponibile su Netflix, Facciamo ordine con Marie Kondo, diventata ovviamente un successo mondiale. La nostra giapponesina s'infila nelle case di alcuni rubizzi americani e propone di risolvere le loro vite buttando la roba affastellata nelle loro abitazioni. Va detto che un sacco di gente si presta volentieri a tale operazione. Non a caso la Kondo - nel 2015 - ha scritto un libro intitolato Il magico potere del riordino (edito in Italia da Vallardi) che si è trasformato in un bestseller spaventoso. Nel 2015 Time l'ha inserita nella classifica delle 100 persone più influenti del mondo. Se date un'occhiata alle classifiche di vendita di questa settimana, quel libriccino lo trovate fisso lì, fra i primi dieci più diffusi nel nostro Paese. In effetti il manuale si presenta in modo invitante: «Il caos degli oggetti inutili soffoca non solo le nostre case, ma anche le nostre anime», leggiamo sulla quarta di copertina. «Marie Kondo ci invita a liberarci di tutto ciò che non ci ispira emozione, perché solo circondandoci di cose che ci danno gioia potremo essere felici. La vita vera comincia dopo avere riordinato». Arriviamo al punto. L'idea di mettere un freno al caos, di liberarsi del superfluo e di riportare l'ordine nella propria esistenza è semplicemente splendida. Ma Marie Kondo non è la medicina per il caos. Al massimo è un placebo. Funziona molto a livello commerciale perché contribuisce alla nippomania di questi tempi. Tutto ciò che viene dal Giappone piace. Il sushi che consumiamo regolarmente (e che non è vero sushi, ma una sua versione globalizzata) ci ha convinto che possiamo essere tutti un po' nipponici. Ci figuriamo un Paese in cui i fiori di loto riempiono gli occhi e i giardini zen curano l'anima. Un luogo magico in cui tutti sono saggi, fanno inchini velocissimi in sequenza e hanno mille metodi per trovare la felicità. È una nuova forma di orientalismo, senza dubbio. La Kondo ci fornisce una versione semplificata e di facile consumo del Giappone. Un'idea riduttiva, che trasforma una filosofia millenaria in uno stratagemma per piegare le camicie e riporle negli armadi. Per combattere il caos non basta buttare scatole di oggetti (che siano libri o maglioni o carabattole di plastica per Marie non fa differenza, e questo la dice lunga). Bisogna, piuttosto, ripristinare una gerarchia. E questa gerarchia non può essere basata sull'idea di conservare «ciò che dà gioia». Vero è che i giapponesi - si può dire semplificando - trovano tracce di anima anche negli oggetti. Ma per noi non funziona così. Non basta il singolo oggetto a infondere gioia, anzi concentrarsi sull'oggetto talvolta non permette di vedere le reali fonti di felicità. Riordinare non serve, se a mancare è il senso della vita, ovvero una gerarchia di priorità fondata non su sorrisi prestampati, ma sull'anima vera. Cioè la nostra, non quella che si cerca in un vaso di porcellana. Per fermare l'accumulo non è sufficiente gettare quel che non serve più (creando così una massa enorme di spazzatura). La vera battaglia è contro il consumismo di massa, contro la cultura dell'usa e getta e della obsolescenza programmata. Buttare «la roba in eccesso» va bene, ma il lavoro difficile è a monte: nella scelta di non comprare compulsivamente. Il metodo della Kondo, in questa prospettiva, è soltanto un palliativo. Peraltro, porta acqua alla retorica della frugalità, oggi presentata come un valore perché qualcuno ci vuole vendere l'idea che essere poveri, in fondo, sia un bene. Talvolta le famiglie che si rivolgono alla Kondo non hanno bisogno di buttare cose. Avrebbero bisogno di una casa più grande, e migliore. Ma non possono permettersela. Avrebbero bisogno di dinamiche famigliari diverse, meno sfibranti, ma non riescono a trovarle e allora si rifugiano nell'acquisto compulsivo. Poi fanno piazza pulita, piegano le camicie meglio e credono di avere tutto sotto controllo. In realtà si sono solo liberati di un po' di cianfrusaglie, ma il sistema che li ha esasperati è ancora perfettamente funzionante. E la cara Marie vi contribuisce, aumentando la vendita di scatole e scatoline per riporre vestiti e altro. In effetti, anche io dovrei liberarmi di un bel po' di libri inutili. E credo di sapere quale butterò per primo.
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