2022-06-07
«Io pagato da Putin? Macché, ho la colpa di contestare Draghi»
Parla Giorgio Bianchi, il cronista messo nella lista nera: «Non faccio propaganda e non ho compiuto reati, ho solo criticato la nostra politica estera».Giorgio Bianchi è un fotografo, regista e giornalista che nelle ultime settimane - forse suo malgrado - ha ottenuto enorme visibilità. Ha girato documentari importanti (tra cui Divided), ha pubblicato bellissimi libri fotografici (come Teatri di guerra contemporanei, Mimesis) e un corposo testo politico (Governare con il terrore, Meltemi). Ma di lui si sta parlando soprattutto perché è stato inserito nella lista dei «putiniani» stilata dal Corriere della Sera. Bianchi, lei è al servizio di Vladimir Putin e della Russia? «No, non sono al servizio di Putin. Sono otto anni che mi occupo di questo conflitto, a partire da Maidan. Ho sempre fatto il mio lavoro concentrandomi sui civili e limitando al minimo le questioni politiche. Ho addirittura contribuito a realizzare un documentario - che si intitola Divided ed è stato selezionato quest’anno al Trieste film festival - che mostrava il conflitto dai due lati del fronte. Dal lato autonomista c’ero io, dall’altra parte una troupe ucraina. Il direttore della fotografia era lo stesso e ha lavorato su entrambi i fronti. Il mio intento è sempre stato quello di cercare, ove possibile, di raccontare il conflitto nel modo più oggettivo».La accusano del contrario.«Guardi, fino al 24 febbraio mi conoscevano solo gli addetti ai lavori, ora mi conosce molta più gente, purtroppo non per il mio lavoro ma per le polemiche legate alla mia persona. Se mi avesse pagato Putin in questi otto anni, avrebbe buttato via i soldi. Perché, ripeto, per lungo tempo in Italia non mi si è filato nessuno». Come mai secondo lei si è ritrovato nella lista di putiniani pubblicata dal Corriere della Sera? «Mi sono ritrovato in questa lista perché il governo è in grandissima difficoltà, deve far digerire alla popolazione una politica suicida rivolta contro gli interessi nazionali, dunque teme le voci dissonanti. Specie quelle che hanno tanta visibilità sui social network. Nonostante quattro mesi di propaganda incessante, il governo non è riuscito a spostare di una virgola l’opinione degli italiani sul conflitto, e quindi teme che questa posizione, con l’arrivo dell’inverno e l’aggravarsi della crisi socio-economica, possa mettere in difficoltà ulteriore il già traballante equilibrio politico». In quella lista sono citate varie persone: Alessandro Orsini, Manlio Dinucci, Maurizio Vezzosi e altri. Che cosa avete in comune? Vi conoscete? «Di alcune di queste persone ancora adesso non ricordo i nomi. Vito Petrocelli o il dentista che si è candidato con la Lega (Claudio Giordanengo, ndr) non so chi siano. Conosco Alessandro Orsini, che però non ho capito esattamente che cosa c’entri, visto che hanno pubblicato la sua foto ma nell’articolo di lui non si dice nulla, si vede che è buono per tutte le stagioni. Conosco bene Manlio Dinucci, persona che stimo tantissimo, decano del giornalismo che conosce molto bene la realtà ucraina. E conosco Laura Ruggeri, l’ho conosciuta per i post su Facebook, ci siamo visti e sentiti qualche volta. Alberto Fazolo l’ho incontrato forse una volta dal vivo».Viene indicato come attivista che ha combattuto nel Donbass. «Mi ha fatto sorridere una cosa nella parte di articolo che si occupa di lui. Nel tentativo di smascherare una fake news che Fazolo avrebbe diffuso, le autrici del pezzo dicono che i giornalisti anti governativi uccisi in Ucraina non sono 80, ma 40. Capito? Per correggere il tiro hanno confermato la strage di giornalisti». Il Corriere della Sera ha parlato chiaramente di una rete di influencer. «Non so in che modo si possa parlare di rete, o macchina come è stata definita. Perché è assolutamente ridicolo. Mi chiedo: ammesso che vi sia un reato, quale sarebbe? In pratica la nostra colpa è quella di avere posizioni critiche sulla politica estera italiana. Quindi domani si potrebbe aggiungere a quella lista chiunque si dichiari in disaccordo con la linea governativa: quella lista è un work in progress…». A proposito di fake news. Lei sostiene che ne abbiano diffuse alcune anche sul suo conto. «Secondo ciò che dice il Corriere, sarei andato in Ucraina per fare attività propagandistica. Quindi uno che fa il suo lavoro, e che per otto anni non si fila nessuno, sta facendo propaganda? E dove sarebbe i vantaggi? Non posso fare il mio lavoro seguendo le mie idee e la mia linea altrimenti sono un propagandista? Grottesco. Hanno scritto che amministro il canale Telegram Giubbe Rosse, ma è completamente falso: l’amministratore è un’altra persona che tra l’altro conosco. Il canale, poi, ha 60.000 follower e non 100.000 come hanno scritto. Il mio canale Telegram è Giorgio Bianchi Photojournalist, ed è seguito da 111.000 e passa persone». Anche su Dinucci sono state scritte cose inesatte, a suo dire. «Con Manlio ci siamo sentiti per telefono subito dopo l’uscita dell’articolo e ci siamo fatti due risate amare. Nel pezzo si dice che il suo libro è stato citato da Putin nel discorso del 9 maggio. Manlio mi ha detto: “Per la prossima edizione farò mettere una fascetta promozionale con scritto che il libro è stato citato da Putin…”». Ieri, commentando questa storia in tv, mi sono sentito dire che gli inviati che raccontavano la guerra sul fronte ucraino erano più liberi di chi la raccontava dall’altra parte. È così? «Dall’altro lato non so cosa succeda perché dal 2015 non mi hanno fatto più entrare… Nel 2015 fui convocato dalla Farnesina. Mi fecero leggere una informativa dei servizi in cui c’era scritto che ero finito su una lista nera non ufficiale del Sbu, l’intelligence ucraina. Dunque mi sconsigliavano di tornare sul posto. Nel 2018 ho provato a rientrare in Ucraina, sono stato arrestato all’aeroporto. Volevano farmi firmare un foglio di cui non riuscivo a capire il contenuto ma poi per fortuna si sono fermati, mi hanno caricato su un aereo e rispedito in Italia. Successivamente sono stato schedato su Myrotvorets, quella sorta di lista di proscrizione di nemici dell’Ucraina gestita dalla Sbu. Da allora non ho più provato a rientrare».E sul versante russo ha mai avuto problemi?«No. Sono stato fermato tre volte e arrestato, ma per colpa mia: mi ero addentrato senza permesso in zone militari. Ma mi hanno sempre rilanciato e trattato bene. Nessuno mi ha mai obbligato a scrivere o diffondere chissà che. Ho girato un documentario con un regista italiano, e sono stato due settimane in trincea di prima linee con i soldati. Ho avuto totale libertà di girare e nessuno mi ha mai controllato un fotogramma. Le dico di più». Prego.«Prima citavo il documentario Divided, girato sui due fronti. Ebbene, la parte russa non ha mai chiesto di vederlo, la parte ucraina sì. E dopo averlo visto voleva che fosse ritirato, e ha imposto alla troupe ucraina di ritirare la firma pena non entrare più nel Paese. La troupe aveva girato immagini in una sede di Pravij Sektor, in cui alcuni avevano parlato di pulizia etnica, e altri spiegavano che il saluto nazista in realtà era un antico saluto al sole. Forse il governo ucraino non ha gradito queste immagini. Sempre riguardo ciò che accade sul fronte ucraino, ricordo che il giornalista Lorenzo Giroffi ha denunciato di essere stato fermato e malmenato appena dopo essere entrato in Ucraina dalla Polonia. Io sono andato due giorni a Mariupol, per mia scelta - per evitare i check point - mi sono fatto accompagnare da militari. Mi hanno portato, e quando li ho avvisati che avevo finito mi sono venuti a riprendere. Non hanno controllato nulla, ho girato liberamente intervistando gente a caso per strada». È stato contattato dalla nostra intelligence o dal Copasir?«Per ora no. Ho trovato una letterina della Questura di Roma, mi sono presentato, e mi hanno detto di presentarmi tra tre giorni alla polizia postale. Non so se c’entri questa storia, ma mi sembra una singolare coincidenza. In ogni caso la cosa più allucinante è che nessuno mi abbia contattato dal Corriere della Sera per chiedermi chiarimenti, per sentire la mia versione. E mi risulta sia accaduto lo stesso agli altri sbattuti in prima pagina. Del resto nemmeno uno dei giornali cosiddetti mainstream mi ha chiamato. A parte voi».
Jose Mourinho (Getty Images)