2023-12-29
Meloni a letto per colpa degli otoliti. Ma una manovra l’ha rimessa in piedi
Giorgia Meloni (Imagoeconomica)
Smentite le voci di fuga dai giornalisti: il premier ha rinviato la conferenza stampa al 4 gennaio perché affetta da «vertigine parossistica». Giramenti di testa e nausea già in miglioramento dopo il trattamento dell’otorino.Giorgia Meloni sta male, soffre di vertigine posizionale parossistica, per questo ha fatto slittare al prossimo 4 gennaio la tradizionale conferenza di fine anno. Non vuole schivare le domande dei giornalisti, non si nasconde dietro a sintomi generici di influenza per giustificare il secondo rinvio in pochi giorni sul quale si sono sprecate illazioni. Gli otoliti, i sassolini che tutti abbiamo all’interno dell’orecchio, per qualche motivo si sono staccati dall’apparato vestibolare, loro sede naturale, provocando al presidente del Consiglio forti vertigini e nausea, tanto da dover stare a letto e al buio. Perché il distacco arreca un disturbo invalidante, come ci ha spiegato l’esperto che abbiamo interpellato. Non si risolve con farmaci, ma con manovre di riposizionamento delle piccolissime formazioni di ossalato di calcio. Mistero, chiarito, dunque. Giorgia Meloni non fugge dal confronto con la stampa, come si è insinuato da più parti. Perfino il quotidiano dei vescovi alimentava congetture. «Più volte ci sono state tensioni tra la premier e i giornalisti, anche durante le visite all’estero», si è appassionato a ricordare Avvenire. «I motivi di salute non cancellano del tutto il giallo del doppio rinvio», malignava, «l’ultimo vero discorso della premier è quello, di 70 minuti, tenuto il 17 dicembre dal palco di Atreju. Un discorso da leader di partito, non da capo del governo. Da allora uno stato influenzale che si è alternato comunque con alcune comparsate pubbliche o in videocollegamento». La patologia di cui soffre la Meloni è seria: «Si sta talmente male cambiando di posizione con il corpo, che molti vanno al pronto soccorso per lo spostamento degli otoliti», spiega Giorgio Raponi, medico otorinolaringoiatra di Milano, esperto in otoneurologia, disciplina che studia in quale modo i disturbi dell’udito sono collegati al sistema nervoso centrale, e come le patologie dell’orecchio interno possono provocare problemi di equilibrio. «C’è chi ha nausea, vomito, non riesce a muoversi dal letto perché il minimo movimento è insopportabile, soprattutto quando ci si sdraia o ci si gira sul fianco». Gli otoliti si muovono dentro l’ampolla causando un violento impulso ai sensori, che a loro volta inviano al cervello un improvviso segnale». Finché restiamo in posizione verticale, non causano alcun disturbo. «Ma diventa impossibile leggere poche righe di un giornale, di un libro, guardare la televisione». Aggiunge: «Se poi è associata ad emicrania, se un paziente ne soffre, aumenta la possibilità che gli otoliti si stacchino. L’instabilità e il disturbo diventano, così, ancora più dolorosi».Questi sassolini che abbiamo a migliaia, sulle cellule ciliate che rivestono l’orecchio interno e che vengono stimolate ad ogni movimento della testa, si possono staccare per innumerevoli motivi, dal trauma cranico al colpo di frusta, così pure per posture sbagliate durante il sonno. Anche l’ipertensione, il diabete sono tra le cause scatenanti. Quando queste formazioni si muovono liberamente nei canali semicircolari dell’orecchio, le cellule ciliate vengono erroneamente stimolate e mandano al cervello una informazione alterata di movimento, provocando le vertigini, come informa l’Istituto superiore della sanità.«L’influenza che ha passato il premier forse c’entrava, in questo disturbo che la sta facendo soffrire. I virus possono staccare gli otoliti», precisa l’esperto. Ma come si interviene per risolvere la crisi invalidante? «Sono necessarie manovre diagnostiche, come la posizione di Dix-Hallpike per riprodurre la vertigine, mirate individuare dove si sono staccati gli otoliti», fa sapere il dottor Raponi. «A volte è il paziente stesso a dare l’indicazione, spiegando se le vertigini le prova girandosi sul lato sinistro o su quello destro. Poi si effettuano manovre fisioterapiche terapeutiche, correttive controlaterali per rimettere al loro posto gli otoliti all’interno del labirinto dell’orecchio». Le manovre liberatorie consistono nel fare compiere al paziente determinati movimenti con la testa, per rimuovere i sassolini dal canale semicircolare coinvolto. «A seconda dell’ampolla interessata, si effettuano la manovra di Semont, la manovra di Epley o la manovra di McClure», chiarisce l’otorino. Si tratta di rotazioni della testa, per intervalli diversi di tempo. Può essere sufficiente una manovra sola, ma se il paziente non migliora subito serve una seconda seduta. La vertigine liberatoria finale coincide con la fuoriuscita degli otoliti dall’ampolla. «La vertigine parossistica posizionale benigna solitamente va incontro ad una recessione spontanea dopo alcune settimane, o alcuni mesi. Può comunque accadere che il soggetto ne soffra per diversi mesi» indica la rete di poliambulatori specialistici Santagostino.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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