2023-12-10
«Tornando indietro sparerei ancora. La legge sulla difesa va cambiata»
Nel riquadro Mario Roggero (Ansa)
Parla Mario Roggero, il gioielliere condannato a 17 anni: «A sentire la pena mi sono cadute le braccia. Il risarcimento? Una follia. Ho sbagliato a donare ai parenti delle vittime già 300.000 euro. Per fortuna sto ricevendo tanta solidarietà».Mario Roggero, gioielliere di Grinzane Cavour (Cuneo), sintetizza così il suo pensiero politico: «Ordine, ordine, ordine. Per tutti». Il suo obiettivo è sempre stato quello di lavorare duro e stare tranquillo, ma la vita gli ha riservato altre sorprese. Nel 2021 sono entrati nel suo negozio in tre, e lo hanno picchiato e derubato. A un certo punto è riuscito a prendere la pistola e uccidere due rapinatori. Ora ha una condanna a 17 anni in primo grado e 480.000 di risarcimento da pagare. Ci ha raccontato nei dettagli la sua versione della storia, in una lunga intervista che sarà visibile da lunedì su Tv Verità nella nostra piattaforma digitale, e di cui anticipiamo qui alcuni passaggi.Roggero, partiamo dalla dinamica dei fatti. Verso le 18.30 di sera i malviventi entrano nella sua gioielleria, minacciano sua figlia e sua moglie e ovviamente lei, partono le botte, poi i rapinatori escono dal negozio ed è lì che lei decide di uscire e sparare. Come è successo?«Avevano riempito il borsone, e sono usciti. Io in quel momento non vedevo più mia moglie, mi chiedevo dove fosse, pensavo l’avessero presa. Ho aperto la porta del negozio, ho guardato a destra e a sinistra, ho visto che erano a sinistra parcheggiati dopo tre o quattro auto. Il mio primo desiderio era quello di fermare l’auto per vedere dentro. Ho sparato un colpo nel deflettore sinistro. Ho preso lo specchietto retrovisore che è caduto per terra ed è esploso il vetro. C’era già alla guida uno dei rapinatori. Avessi voluto puntare direttamente a quello avrei potuto farlo, ma non potevo sparare in una auto in cui pensavo ci fosse mia moglie».Poi?«La mia pistola a tamburo tiene cinque colpi, io ne avevo quattro. Il primo l’avevo sparato anni fa a La Morra, alla quarta volta che mi sono entrati in casa dopo la rapina del 2015. Dal nervoso, un giorno sono andato su e ho sparato un colpo per aria. Poi, riflettendo, ho pensato: visto che la pistola la tengo nel cassetto, è meglio che lasci vuoto questo colpo per sicurezza, in modo che se accidentalmente premessi il grilletto, il primo colpo sarebbe nullo. Allora, per forza di cose, ho premuto il grilletto due volte per poter sparare. Quindi non mi ricordo se il colpo a vuoto l’ho sparato all’interno del negozio oppure no, ma ha semplicemente fatto un clic». Quindi il secondo colpo. Vero. «Col secondo colpo ho preso il vetro. Giro attorno alla macchina. Vedo l’autista seduto, e un altro che sta salendo, anzi è praticamente già salito. Si sta tenendo con la mano destra al poggiatesta anteriore del sedile di guida e ha ancora la pistola. Io vedo in una frazione di secondo che non c’è mia moglie, e che lui ha l’arma puntata verso di me, e mi dico: “Se lui spara, sono morto”. Quindi immediatamente sparo tre colpi». Andati a segno. «Il primo rapinatore l’ho colpito sopra l’anca. Il colpo ha fatto una traiettoria di circa 50-60 centimetri ed è andato a sfiorare il cuore, cioè a bucare un ventricolo del cuore. Ho sparato alla gamba, non volevo colpire il cuore, ma lui era quasi in orizzontale. Il destino ha voluto così».E gli altri due?«Uno aspettava di entrare nell’auto ma sentendo i colpi si è chinato, io gli ho sparato mirando alla coscia, ma il proiettile è entrato nella parte bassa della schiena e ha fatto un percorso tortuoso, finendo al cuore. L’autista l’ho colpito al ginocchio. Se avessi voluto sparargli in faccia o in testa, come sostiene l’accusa, avrei semplicemente alzato di qualche grado la pistola. Ma ho sparato in basso». Poi che è accaduto?«Come sparo il quarto colpo, me li vedo scappare tutti. Vedo quello davanti a me che scappa a sinistra, un altro scende dalla macchina. Allora io giro attorno all’auto, e vedo che uno corre dietro la macchina e si siede per terra. Quando li ho visti correre ho pensato di non aver colpito nessuno, o meglio di aver colpito solo quello che si era seduto. Non è vero che ho sparato come se avessi una mitragliatrice, correndo ho sparato un solo colpo, poi non ne avevo più». Le immagini la mostrano mentre prende a calci un uomo sdraiato per terra.«Sì. Era inciampato e caduto a terra. Gli ho chiesto dove fosse mia moglie, mi ha detto che non lo sapeva. E gli ho dato due o tre calci, sì, per le botte che mi sono preso dentro il negozio, questo è vero e me ne rammarico. Ma poi lui si è alzato con una forza inaudita e mi ha sbattuto per terra cercando di prendermi la pistola».Alla fine la pistola è rimasta a lei. Ha detto al rapinatore di andare e quello è riuscito a fare qualche passo prima di accasciarsi a terra. «Praticamente si era dissanguato il cuore. So che l’accusa ha posto domande specifiche ai medici che hanno fatto l’autopsia. Hanno chiesto come fosse possibile che una persona colpita al cuore avesse una reazione simile. I medici hanno spiegato che un uomo colpito in quel punto avrebbe potuto avere ancora un minuto o un minuto e mezzo di forza estrema, come infatti è stato». Lei da quanto tempo aveva la pistola? Da quando l’hanno rapinata la prima volta nel 2015? «No, l’ho comprata poco dopo aver cominciato questo lavoro, alla fine degli anni Settanta. Per due anni sono stato a Torino, in quel periodo la situazione era molto calda, c’erano rapine settimanali in cui morivano orefici, gioiellieri e gli stessi rapinatori, e mio padre mi ha suggerito di comprare una pistola. Io non ci avevo pensato, non sono amante delle armi, però su sollecitazione di mio padre ho deciso di prenderla. Ho comprato una Beretta bifilare perché, avendo fatto il militare nei carabinieri, ne conoscevo perfettamente il funzionamento. Anni dopo, quando mi sono trasferito qui, ho comprato una 38 special». Nel 2015 ha subito un’altra rapina. In quella occasione non ha usato l’arma? Perché?«Questa 38 special l’ho provata una volta sola al poligono per vederne il funzionamento, perché non avevo mai maneggiato una pistola a tamburo. L’ho provata, ho visto come funzionava, ma poi non l’ho mai più utilizzata. L’ho presa e l’ho messa in cassaforte. Nella rapina del 2015 c’è stata una colluttazione bestiale: hanno rovesciato il banco, mi hanno spaccato il naso, preso a calci e spaccato le costole. Io sono rimasto inerme nel negozio, poi sono stato legato con le fascette, con il naso che sanguinava, mentre lasciavo per terra una pozza di sangue. In tutto questo, non mi è mai venuta in mente la pistola che era nascosta». Lei oggi sparerebbe ancora? «Questa è una domanda difficile, perché di fronte a un’altra arma io devo difendermi. Se mi trovo un’altra arma puntata, non c’è mezzo secondo per riflettere. Se uno mi punta una pistola, se io mi devo difendere». Dunque sta dicendo che se si trovasse di fronte ancora in una situazione del genere, sparerebbe.«Prima di essere ammazzato sì, certamente, non voglio mica fare il martire. Adesso comunque la pistola me l’hanno tolta».Lei è stato condannato in primo grado a 17 anni. In più deve versare 480.000 euro alle famiglie dei rapinatori uccisi e al sopravvissuto. «La reputo una follia. Subito dopo i fatti c’è stato un primo avvocato che mi ha seguito. Io non avevo mai avuto grane in processi, mai stato in tribunale. Ho sempre lavorato a testa bassa per 50 anni. Così ho delegato all’avvocato la scelta di una strategia processuale. All’epoca mi disse che avremmo dovuto dare 300.000 euro alle vittime. Io gli risposi che non li avevo. Vivo in un paesino di 2.000 abitanti, conduco una vita normale. Ho allevato quattro figli, vivo in modo decoroso, ma non ho casa in montagna, non ho casa al mare, non ho titoli. Non sono ricco, ecco. Ho comprato a 47 anni la prima casa con tre mutui ipotecari, di cui il primo l’ho estinto ad aprile di quest’anno e ne ho ancora due abbastanza pesanti». Quindi ha pagato subito 300.000 euro.«I 300.000 euro sono stati un errore. Io non li volevo pagare, però mi avevano detto che era meglio così. Non sapevo come raccoglierli. Mia mamma, buon’anima, era mancata a 96 anni nel 2020, l’anno prima, e aveva una casa in centro a La Morra di sei alloggi, che avevamo ristrutturato. Morendo me ne ha lasciati due. Allora in fretta furia ho dovuto vendere questi due alloggi».Dunque lei ha venduto le case e ha pagato una prima parte di risarcimento da 300.000 euro. «Più che una prima parte, formalmente si è trattato di una donazione volontaria, per quanto poi nella realtà obbligata. Non c’era nessuna sentenza che mi avesse imposto di farlo, e infatti me ne rammarico molto. Io ero d’accordo nel pagare una cifra, magari alla moglie di uno rimasta a Torino con due figli piccoli. Non fino al quattordicesimo parente, al patrigno, alla figliastra, eccetera». E alla cifra notevole di 480.000 come si arriva? Sono quei 300.000 più altri 180.000? «Non è ben chiaro. Da quello che capisco e temo sono 480.000 oltre ai 300.000. In ogni caso io non mi sarei mai aspettato questa sentenza, quando poi ho sentito che da 14 anni richiesti l’avevano portata a 17 anni mi sono cadute le braccia». Hanno scritto che lei non poteva tenere quella pistola. «Non è vero. Io ho regolare porto d’armi. Ho lasciato perdere mi pare nel 2005 il porto di pistola perché non era più necessario. Nei 18 anni in cui ho avuto il porto di pistola l’avrò portata in giro tre volte. Mi rendo conto che è pericolosa». Quindi lei deteneva regolarmente l’arma ma non poteva portarla in giro.«Infatti mai portata. Ma nell’enfasi di quello che è avvenuto non mi sono stato a domandare se potessi varcare la soglia o no. Per altro tutto è avvenuto in pertinenza privata. Hanno detto che avrei potuto ammazzare dei bambini: non è vero. Ribadisco: tutti i quattro colpi sono stati sparati nell’auto dei rapinatori. Il primo esterno e tre interni. Non sono andato in giro a sparare, non ho ammazzato il rapinatore per terra, non è vero. È tutto documentato». Ora sta raccogliendo i fondi per pagare il risarcimento. «Ho ricevuto tanta e inaspettata solidarietà. Anche persone che non hanno certo soldi da buttare, anzi, hanno contribuito». La legge sulla legittima difesa va cambiata, secondo lei?«Deve cambiare. A parte la mia storia ho sentito vicende di persone che sono agghiaccianti. Uno deve potersi difendere. Non si può restare a fare i martiri».Ha collaborato Matteo Lorenzi
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.