2024-09-14
Quei giganti silenziosi che raccontano storie
Sotto ogni venatura del tronco ogni albero cela una storia unica (iStock)
Siano ficus, araucarie, pini, palme o ginepri, ogni albero racchiude una piccola porzione di vita del nostro pianeta. Lo si percepisce vagando per le spiagge di Villasimius, dove gli «abitanti verdi» sembrano voler parlare. Ma solo a chi ha la sensibilità per ascoltarli.Quante storie avrò sentito in questi 20 anni di alberi e persone? Quante volte stando accanto a un grande albero, ad esempio, qualcuno si è avvicinato, per poi iniziare a chiedere, come mai lei è qui? Che sta facendo? Chi è? Ma meno, in genere le persone sembrano più interessate alle ragioni che non all’identità altrui, e forse a pensarci bene, è così anche per me; forse anch’io cerco di conoscere o di avvicinare altre persone per quel che forse fanno o per la posizione che occupano, e non tanto poiché sono quella persona o un’altra. Ad ogni modo dalle bocche di queste persone iniziano a spuntare storie di famiglia, o di singole anime che a un certo punto incontrano alberi e foreste, e dietro ovviamente hanno le storie di tanti di noi, dove sono nati, quando sono nati, chi li ha messi al mondo, che lavoro hanno fatto per vivere, o meglio, quel di cui hanno semplicemente vissuto poiché non bisogna arretrare di tante generazioni per smettere di pensare alla professione come facciamo oggi, così abituati a dividere e a costruire. Un tempo nascevi in una terra di pastori o di contadini? Facevi il pastore e/o il contadino, non c’era nemmeno da decidere, era così. Nessuno in famiglia ne avrebbe discusso, tantomeno tu che eri proprio l’ultimo arrivato. Il mondo ha girato così per secoli e secoli, come le ruote dei mulini.Nei giorni scorsi ho attraversato per l’ennesima volta la lontana o vicina, a seconda, isola della Sardegna. Abbiamo documentato per la Rai alcuni alberodonti, in parte già incontrati in precedenza e altri invece nuovi o nuovissimi, per i miei occhi almeno. Ed è sempre interessante notare quanta differenza vi sia tra alcuni alberi che avevi già visto in fotografia, e quel che ti ritrovi a ammirare, dal vivo. Ad esempio siamo stati sulle dune di una spiaggia lancinante, nel comune di Villasimius, nel Sud dell’isola, costantemente battuta dal vento. Spiagge e calette quasi deserte, pochi turisti, spesso in coppia. E noi, con le telecamere a spalla a cercare tra diversi esemplari aggrovigliati e secolari di ginepro quello giusto, il capitano di questa mareggiata di scorze dure. Ed eccolo, circondato dalla palizzata in legno issata nel 2011, pare che i turisti del tempo ci stendessero sopra le magliette ad asciugare, i teloni umidi, dormendoci anche addosso. Istantanee sbiadite di un’Italia di ieri che qualcuno di noi ha avuto ancora il tempo di vedere o di abitare.È un albero che viene stimato in 400 o 500 anni, un ginepro con un intreccio di tronchi che ad un certo punto ha ceduto, si è spezzato e allungato sulla sabbia, per poi continuare ad adattarsi a questa nuova direzione. Se fosse tutto dritto e in piedi probabilmente supererebbe i 7 o 8 metri di altezza, anche più. Invece si è concreato un groviglio, senza capo né coda, o forse meglio dire con diversi capi e diverse code. Noi stiamo lì a cercare di capire quale filo tirare per disfarlo e rivelarcelo ma gli occhi e le mani non bastano. Così aggiungiamo le lenti di una macchina fotografica e di una cinepresa, girandoci intorno, ci diciamo, forse ascolteremo alcune delle sue tante storie, raggiungeremo come scriveva diversi lustri or sono Jack Kerouac (1959) in una sua poesia, Seduto sotto l’albero numero due, «quel massiccio albero fortezza / popoloso di canti». Lo facciamo ogni volta che incontriamo un gigante verde silenzioso, non potendoci parlare, non come noi saremmo eventualmente disposti ad ascoltare, ci danziamo intorno, tentando diciamoci pure la verità, di rubargli qualche grammo d’anima, e chissà, forse ci riusciamo anche.Qui a parlarcene è il vento, che non sta zitto un attimo, e il colore indefinibile delle acque del mare, un incanto assoluto, e siamo tutti sbalorditi da tanta bellezza tutta insieme. Anche l’albero, di per sé un capolavoro, quasi svanisce di fronte a questo pomeriggio in spiaggia. Quasi, dicevo, poiché la sua intricata architettura festa lì a sottendere molti episodi dell’esistenza su questo piccolo pianeta del sistema solare. All’Orto botanico di Cagliari, visitato già tante volte, ci parlano degli alberi chi li cura, con quella loro sapienza intessuta in parte sui libri studiati e divorati, ma messa sempre alla prova, anzi inverata dalle prove del tempo, dai temporali, dalle stagioni che arrivano e se ne vanno, dal cambiamento climatico, ogni albero ha una propria verità che va semplicemente assecondata, per quanto possibile. Siano ficus, araucarie, pini, palme, tassodi, melaleuche, colonie di ninfee, opuntie o euforbie arboree, non sono loro a doversi adattare a noi, siamo noi che dobbiamo capire loro. Siamo dunque arrivati ai piedi di un enorme olivastro, un nove metri di circonferenza, e qui abbiamo ascoltato la sua storia cava, poiché l’albero nel 1968 prese fuoco, accidentalmente, e fumò per ore e ore prima che le fiamme fossero domate, ma oramai dentro era vuoto, ustionato; sono passati 56 anni da allora, ma l’albero non si è arreso, sebbene menomato ha ricominciato a crescere, a coprire, ad allungarsi, e attualmente ostenta una bella e rigogliosa chioma circolare, sotto la quale è un piacere venire a risparmiarsi da un sole ancora furioso. E qui un uomo di 84 anni, si è avvicinato e ha iniziato a raccontarci alcune storie, mischiando l’italiano per noi stranieri un po’ bambini, e la sua lingua madre, così corta e sontuosa, una lingua da re, penso ogni volta. Orgogliosa, ondulata, rocciosa. Lui è nato in quella casa là, che vediamo, a quanti, 200 o 300 passi di distanza. Ha sempre vissuto qui, è cresciuto, ha pregato, ha faticato nei campi qui intorno, s’è sposato, ha avuto figli e ora ancora sulla medesima geografia; seguendo i profondi solchi disegnati sul suo viso gli crederesti anche, certo, a noi sembra improbabile che esistano ancora di queste avventure terrestri, eppure siamo qui, nel comune di Baunei, innanzi ad un «suzzastro» magistrale, sopravvissuto alla fame del «foco», accanto alla chiesa di Santa Maria Navarrese, fondata mille anni orsono, nel 1052, dalla figlia si dice del re di Navarra, scampata ad un naufragio. Le storie d’altronde non finiscono mai.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)