2024-04-29
Gianni Cuperlo: «Il Pd dovrebbe uscire dal palazzo»
Il dirigente critico verso Elly Schlein: «Una volta mobilitavamo centinaia di migliaia di persone. Giuseppe Conte ci attacca? “Competition is competition”. Non so se l’elezione della Salis basterebbe a farla scarcerare».Onorevole Gianni Cuperlo qui in terra ostile, tutto quello che dirà sarà usato contro di lei. Ma parleremo solo di politica e non della cronaca giudiziaria spicciola di queste ore che riguarda suoi illustri colleghi di partito.«Ci sto. Ma un attimo che mi sposto nella sala del mappamondo. In commissione Affari costituzionali sull’autonomia regionale c’è un po’ di animosità».Con un pizzico di civetteria sostiene di essere un dirigente poco ascoltato dentro il Pd.«Mi sono candidato ad un congresso che si stava risolvendo in un legittimo derby fra due candidature molto solide (Bonaccini e Schlein) ponendo al centro della mia mozione un tema. Con Veltroni nel 2008 il Pd esordisce prendendo 12 milioni di voti che in 17 anni si sono dimezzati. Indicavo risposte e possibili contromisure contro la perdita di un consenso così rilevante».Criticando aspramente il possibile inserimento del nome Schlein nel simbolo alle prossime Europee l’hanno però ascoltata.«Fossi stato solo io a criticare la scelta, dubito si sarebbe ottenuto lo stesso risultato. Lo spirito della proposta era compensare la decisione di non candidarsi in tutte e cinque le circoscrizioni con un’iniziativa volta a valorizzare quello che viene gergalmente definito, con un’orribile formula, “valore aggiunto”. E penso davvero che questo avesse un razionale solido. Il profilo di una giovane donna alternativa a Giorgia Meloni avrebbe senz’altro indotto ad avvicinarsi al Pd elettori probabilmente a noi non vicini. Ma ritengo preponderante il fatto che i nostri elettori siano affezionati all’idea di una comunità non identificata con una leadership, sempre temporanea per definizione».Le candidature alle prossime Europee del Pd la convincono?«Sì, perché è una miscela che riflette anche la capacità di un partito come il nostro di far convivere in una condizione di pluralismo effettivo posizioni diverse traendone il massimo valore. Io darò una delle mie preferenze nella circoscrizione centrale alla segretaria capolista e l’altra a Marco Tarquinio. So anche che Cecilia Strada e Giorgio Gori non hanno esattamente le stesse opinioni su alcuni dossier di politica estera. Ma è nella natura del partito da cui provengo, il Pci, proporre candidature che non si sposano totalmente all’ortodossia del partito. Pensi all’esperienza della sinistra indipendente dentro le nostre istituzioni».Avrebbe candidato Ilaria Salis?«È una questione molto delicata. Non ho elementi per capire se la sua candidatura e la sua eventuale elezione nell’ordinamento europeo le avrebbero assicurato la libertà da un trattamento carcerario incompatibile con quello che definiamo stato di diritto. Pensi a Puigdemont in Catalogna ed alla sua vicenda. Ora che è presente nelle liste di Avs mi auguro soltanto che sia eletta».Giuseppe Conte non è un alleato leale e non perde occasione per bullizzarvi. Diciamolo!«“Competition is competition” e la corsa alle elezioni europee col sistema proporzionale accentua questa condotta. Non possiamo fargliene una colpa. Cerca di aumentare il consenso del suo movimento. Il Pd deve capire che se anche fossimo accreditati di un 30%, rispetto al 20%, dovremmo comunque allearci con dei partner per essere un’alternativa di governo. Ma piuttosto che concentrarsi su Conte è sul Pd che dovremmo investire. Un Pd forte aiuta le alleanze. Non è una frase fatta o faziosa. Prenda il centrodestra. Lì dentro, pur odiandosi in segreto come in ogni buona famiglia, si sono presentati sempre uniti alle elezioni. Ed hanno ben chiara la gerarchia dei rapporti di forza. Per lungo tempo la leadership è stata di Berlusconi. Per una brevissima stagione, poi culminata con il suicidio del Papeete, è toccato a Salvini. Ora tocca a Giorgia Meloni. Io sono convinto che il Pd debba avere questo ruolo, anche per autorevolezza di una classe dirigente diffusa sul territorio, che non è solamente la sua segretaria nazionale».Copiare il centrodestra: chi prende più voti comanda. È la sintesi del Cuperlo-pensiero.«È un tema interessantissimo ben presente sin dalla fondazione del Partito democratico nel 2007 con la coincidenza addirittura scolpita nello statuto fra segretario del partito e candidato premier alle elezioni. Il sistema politico italiano era caratterizzato da un evidentissimo, chiarissimo ed apparentemente solidissimo bipolarismo, addirittura tendente verso un potenziale bipartitismo. Nel 2008 il Pd ed il neocostituito Popolo delle libertà guadagnarono addirittura il 70% dei consensi. Poi cinque anni più tardi nel 2013 arriva il tornado Grillo ed il M5s entra in Parlamento con il 24% dei consensi. Ma fin dal 1994 il Pds era stato il partito egemone. E questo aveva consentito che si creassero le precondizioni per una leadership vincente quale quella di Romano Prodi grazie all’esperienza dei comitati “L’Italia che vogliamo”. Mobilitavamo centinaia di migliaia di persone. A questo penso. Uscire dal Palazzo e dalle formule. Poi magari arriveremo a ciò che dice lei. Ma non è detto».Solleva il tema della partecipazione alla politica. Dal 2008 abbiamo perso sette milioni di elettori alle urne. Due milioni in più gli astenuti subito dopo il governo Monti. Quattro ulteriori subito dopo il governo Draghi. Se vuoi allontanare gli elettori fai un governo tecnico. Dovrebbe quindi essere favorevole e non contrario all’elezione diretta del presidente del Consiglio!«Posso condividere la premessa senza farla precipitare però nell’elezione diretta del premier. I governi tecnici sono stati un’eccezione nella storia d’Italia. Ma se diventano un elemento quasi di continuità questo è un problema. Partiti forti, radicati e rappresentativi rendono più solida la democrazia. Ma la riforma è molto confusa e poco convincente. Posso darle più di un motivo. Il primo sarà banale. Non esiste in nessuna democrazia del mondo. Dopo averla sperimentata in Israele per tre votazioni di seguito, preso atto che non garantiva più stabilità ma anzi introduceva elementi di maggiore incertezza del quadro politico, hanno fatto marcia indietro. Inoltre è altrettanto oggettivo, sebbene Giorgia Meloni si ostini a negarlo, che i poteri del presidente della Repubblica, organo di garanzia, sono ridimensionati».Sulla terzietà del Quirinale ci sarebbe da polemizzare un po’, Cuperlo.«Al netto delle valutazioni che chiunque può avere sulla singola presidenza, i poteri del capo dello Stato agiscono come una fisarmonica che può allargarsi o restringersi a seconda delle contingenze del momento. Con una maggioranza di governo ben radicata e numeri incontrovertibili, effettivamente il capo dello Stato svolge una funzione notarile, rispetto all’evolversi del quadro politico. Altrimenti interviene con una maggiore presenza, un maggiore attivismo ed anche un maggiore decisionismo».Ben presente da tempo…«Nella riforma si prevede infine che il capo dello Stato nomini automaticamente il premier indicato dagli elettori. Nel caso si dimetta, o in caso di impedimento o di morte, potrà nominare una seconda figura scelta tra i parlamentari eletti nelle forze di maggioranza. Un secondo premier che avrebbe in pratica più poteri del primo. Da lui dipende l’eventuale scioglimento della legislatura. Siccome come classe politica non godiamo di grande stima del Paese, preserviamo le prerogative del Quirinale. Io penso che mettere mano a quella roba lì non convenga».In questo momento state, tanto per non farvi mancare nulla, dando aspra battaglia anche sulla riforma dell’autonomia differenziata.«La cui introduzione, tema tanto caro alla Lega, impone una sorta di presidenzialismo tanto caro a Fdi. Lungi da me alzare il ditino o scagliare la prima pietra. Anton Checov diceva che quando nel primo atto di un dramma teatrale compare una pistola, prima o dopo quella pistola sparerà. Oggi il ministro Calderoli si fa vanto delle sue 23 materie di governo da trasferire alle Regioni che ne facessero richiesta. Ma nel 2001 la riforma del Titolo Quinto della Costituzione l’abbiamo fatta noi con un colpo di maggioranza. Quella pistola a Calderoli gliela abbiamo data noi. I successivi e falliti tentativi di riforma della Costituzione del 2006 e del 2016 dovrebbero averci insegnato che non si cambia la forma di Stato o di governo a colpi di maggioranza».Cuperlo, vi siete presi la festa del 25 aprile dal 1994 in poi dopo che ha vinto Berlusconi per usarla come una clava. Lo ammetta!«Sono nato a Trieste, lei conosce la storia della risiera di San Sabba. L’unico campo di sterminio nazista in Italia che i tedeschi quando fuggono fanno saltare per aria. Io non avrei alimentato la polemica. Ma me lo chiede lei ed io rispondo. Se da un lato chiedere a Giorgia Meloni di definirsi antifascista è come chiedere a Totti di definirsi laziale, dall’altro è innegabile constatare che lei non ha alcuna responsabilità politica o anagrafica delle leggi razziali. Dico solo che in lei, come nella seconda carica dello Stato, pesa una continuità con le radici di quella storia che si sono proiettate nella cronaca degli anni che abbiamo alle spalle. Un solo esponente di quella destra ha provato ad archiviare quella pagina per davvero: Gianfranco Fini. Ed ha pagato un prezzo politico per questo. C’è poi un motivo di più stringente attualità. Giorgia Meloni manifesta vicinanza a forze politiche che in Europa non si definiscono liberali. E fa parte di uno schema di gioco che lei sa usare abilmente. Alla Camera legge il discorso istituzionale con grande compostezza. Nella replica si mette i guantoni. Insomma, si restringono gli spazi di libertà fingendosi vittime della dittatura gender o mondialista. Senza scomodare la filosofia è un’ottima declinazione pratica del detto napoletano “chiagne e fotti”».
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