2019-09-23
Roberto Calderoli: «Giallorossi senza vergogna. Alle regionali li travolgeremo»
Il vicepresidente del Senato: «La Lega risale nei sondaggi perché la gente ha compreso che Pd e M5s vogliono solo spartirsi il potere. Matteo Renzi? Vuol fare il Bettino Craxi della situazione».Senatore Calderoli, i sondaggi danno la Lega in risalita. Gli elettori hanno perdonato a Matteo Salvini lo strappo che ha riportato la sinistra al governo?«Ero certo che, nell'immediato, ci sarebbe stata una flessione. Anzi, pensavo sarebbe stata più consistente. Ma mi aspettavo pure la ripresa, solo non così rapida. Anche perché giornaloni e tg hanno travisato i motivi della crisi».E i veri motivi quali sono stati? «Quando si è entrati nella campagna elettorale per le europee c'è stato un susseguirsi di offese personali. Sembrava che il nemico dei 5 stelle fosse la Lega e non il Pd ».A chiedere a Salvini di staccare la spina sarebbero stati i governatori del Nord, per il no grillino all'autonomia.«Sull'autonomia hanno fatto una miriade di tavoli - dell'Ikea - ma non ci siamo mossi di un dito. I grillini lanciavano proposte quasi provocatorie».Ad esempio?«Se io sono bravo ad amministrare e, mantenendo gli stessi servizi, spendo 70 anziché 100, il 30 che risparmio dovrei poterlo tradurre in ulteriori servizi o in riduzione della pressione fiscale».È ragionevole.«E invece la loro teoria era che quelle risorse andassero destinate a un fondo perequativo e ripartite tra quelli che sono meno capaci di amministrare».Poi c'era il tema infrastrutture.«Centinaia di no. Ma le faccio un altro esempio, una cazzata provocata da questo immobilismo».Quale?«Lo dico perché l'altro giorno è morto un altro bimbo dimenticato in auto. Il Parlamento aveva approvato una legge per introdurre i seggiolini antiabbandono, ma mancano i decreti attuativi».E il capitolo economico?«Si poteva discutere di come ridurre la pressione fiscale, se con la flat tax o con il taglio del cuneo fiscale. Ma se uno va a negoziare in Europa il deficit all'1,7%, significa che non si può fare niente».La Tav è stata un casus belli?«Giuseppe Conte aveva chiarito: con gli ulteriori fondi dell'Europa, i benefici supereranno i costi. E questi invece votano contro, sapendo che vanno a sbattere. La sfiducia a Conte l'hanno espressa loro».Roberto Calderoli, esponente storico della Lega, è vicepresidente del Senato. Da sempre coriaceo, ha dato l'ennesima, la più importante prova di forza, per il modo in cui, in questi anni, ha affrontato la malattia. Un vero combattente.Prendiamo tutto per buono. Ma ora l'autonomia la vedrete con il binocolo…«Non avevamo nemmeno raggiunto un'intesa su una proposta da presentare in Parlamento. Prima l'autonomia la vedevano con il binocolo, ora la vedremo con il cannocchiale… Non cambia molto».Una spallata al Conte bis il centrodestra la può dare alle regionali. La contromossa è il patto civico tra Pd e M5s in Umbria. Il «passo indietro» dei partiti è il gioco delle tre carte per celare l'inciucio?«Parte della ripresa della Lega nasce proprio da questa cosa».Cioè?«Finora era solo la Lega a notare che Pd e 5 stelle si stavano mettendo d'accordo da tempo, dal voto su Ursula von der Leyen. Adesso se n'è accorta anche la gente».La dissimulazione civica non inganna nessuno?«Gli elettori capiscono che questi si stanno accordando per la pura e semplice gestione del potere. Va bene tutto, purché non ci sia la Lega».Nel cordone sanitario anti Carroccio c'è lo zampino del Colle? «L'unica cosa che posso rimproverare a Mattarella è di aver ipotizzato incarichi di governo, nel 2018, a Elisabetta Alberti Casellati, Roberto Fico, persino Carlo Cottarelli, ma non a Matteo Salvini, leader della coalizione vincente».Sul modo in cui ha gestito la crisi di governo non ha obiezioni?«Ha ricevuto due forze politiche che gli presentavano una maggioranza che numericamente esisteva. Doveva fare un tentativo. Certo, poi c'è una valutazione soggettiva sulla maggioranza numerica».La maggioranza esisteva numericamente, ma non politicamente?«Non esisteva elettoralmente».La scissione di Matteo Renzi era pianificata da tempo. E intanto lui ha fatto nascere il Conte bis.«Così s'è assicurato il primo piatto sul tavolo. Ora si prende la seconda tranche: parteciperà alla spartizione di ciò che c'è da spartire».È l'inizio della fine per il governo giallorosso? O Renzi vuole davvero farlo durare fino al 2023?«Credo che Renzi abbia bisogno di tempo per strutturarsi. Lui non è il tipo che punta al partitino da 3 o 4%. Per me il Conte bis troverà altrove i suoi ostacoli».Dove?«Alle elezioni regionali, come dicevamo prima».A partire dall'Umbria, appunto.«Dopo quello che i 5 stelle hanno detto sullo scandalo sanità… Io andrò a fare campagna elettorale, voglio proprio vedere le loro facce: sono senza vergogna».Temono una Caporetto.«Sì, ma in politica non si riesce mai a fare semplici somme tra elettorati diversi: ti perdi sempre per strada qualcuno. In questo caso, quel qualcuno possono diventare veramente tanti».Prevede un disastro per loro?«Tra il 2019 e il 2020, si andrà a votare in varie Regioni: Umbria, Emilia Romagna, Calabria, Liguria, Veneto, Toscana, Marche, Campania e Puglia. Rischiano di finire come Massimo D'Alema nel 1999».Cioè?«Potrebbero prendere una trombata talmente enorme da essere costretti a dimettersi».La prima battaglia campale è nel feudo rosso dell'Emilia Romagna. L'altro giorno Repubblica citava un sondaggio che darebbe il governatore, Stefano Bonaccini, avanti di 10 punti. «Non prenderei Repubblica per oro colato. Bonaccini è il governatore uscente: dov'è arrivato è arrivato. Il suo sfidante deve ancora partire. Vedremo».La Lega blinderà Lucia Borgonzoni come candidata alla presidenza?«La decisione di Salvini è quella. Dopodiché, siamo in coalizione: dovrà mettersi d'accordo con tutti».In Emilia Romagna terrà banco il tema di Bibbiano. Non è stato un po' imprudente portare quella bimba sul palco di Pontida?«Hanno guardato il dito senza vedere la luna».Cioè?«Salvini ha denunciato un fatto criminale e questi si sono messi a discutere se la bambina era o non era di Bibbiano. Il punto è che bisogna lavorare sulla prevenzione e sulla repressione degli affidi illeciti. Le critiche erano squallide».Sia a Pontida, sia ai gazebo leghisti, campeggiava uno slogan: «Liberi». Va bene la rinuncia alle poltrone, ma poi passa il messaggio per cui la Lega preferisce rinunciare alle responsabilità di governo.«No. Noi parlavamo di una forma ben precisa di libertà».Quale?«Le spiego. Fra Camera e Senato abbiamo circa 150 onorevoli che hanno acceso un nuovo mutuo per la casa, ma non hanno un lavoro. Con lo scioglimento delle Camere avrebbero potuto perdere il seggio. Il Conte bis sono stati costretti a votarlo: non hanno avuto scelta, hanno perso la libertà».Voi invece siete «liberi» da questo condizionamento.«Io sono libero perché posso scegliere per il bene del popolo e non per gli interessi nemmeno di cortile, ma proprio di casa…».Renzi ha definito la sua strategia un «capolavoro tattico». L'ultimo atto del capolavoro sarebbe il ritorno al proporzionale: lui diventerebbe l'ago della bilancia, la Lega verrebbe neutralizzata.«Renzi diventerebbe il Bettino Craxi della situazione, ma con la metà dei suoi voti. C'è uno scambio in atto: i 5 stelle ottengono il taglio dei parlamentari, la sinistra il proporzionale. Ma non possono neutralizzarci se abbiamo il 35-40%».Pure il Pci nella prima Repubblica superava il 30%, ma era fuori dai giochi. Qui si potrebbe riproporre quello schema, solo che la vittima della conventio ad excludendum sarebbe il Carroccio.«La conventio ad excludendum non funzionerebbe, il centrodestra ce la farebbe a superare il 50%. Lo scopo di Renzi è provare a infilarsi ai tavoli. Il problema sono le conseguenze sul Paese».Che intende?«Quando il sistema funzionava così, con i governi dei sei mesi, gli elettori che ricevevano una scarpa prima e una scarpa dopo le elezioni, sono esplosi i disastri del Paese, come il debito pubblico. Vogliamo tornare a quel periodo?».Domanda retorica.«Renzi, pur di pesare, arriverebbe anche ad accettare una logica del genere. Ma lui non era quello che sosteneva l'Italicum, la legge elettorale maggioritaria?».«Così sapremo la sera stessa delle elezioni chi ha vinto», diceva.«Ecco. Ci vuole un minimo di coerenza. Uno come Renzi dovrebbe solo stare zitto. Invece, se per Pietro il gallo cantò tre volte, per lui canta di continuo».Torna in auge il progetto del centrodestra. Silvio Berlusconi a che gioco gioca?«Il centrodestra del 1994 non è riproponibile. Ma per costruire una nuova piattaforma bisogna fare chiarezza. L'atteggiamento di Berlusconi a volte è equivoco».Equivoco?«Pensi a certe sortite: il proporzionale non è così male, sosterremo Paolo Gentiloni in Europa, siamo pronti a votare i provvedimenti del Conte bis se li condivideremo… Sono cose che danno da pensare».Idee per un centrodestra unito: che ne pensa di quella di Giorgia Meloni sul presidenzialismo?«Io sono un sostenitore convinto dell'elezione diretta del capo dello Stato. Poiché sto lavorando al referendum abrogativo della legge elettorale, ho sentito diversi costituzionalisti. Vorremmo unire legge elettorale maggioritaria ed elezione diretta del capo dello Stato».Interessante.«È un punto di partenza. Poi si ragiona su quali poteri attribuire a quel presidente. Ma quella formula mi è cara perché è legata a una fase particolare della mia vita».Ah sì?«Era il 2012. Mi ero operato di tumore all'intestino e avevo Ignazio La Russa, Maurizio Gasparri e altri che venivano in ospedale a sottopormi gli emendamenti alla riforma costituzionale».Emendamenti per introdurre il presidenzialismo?«Sì. Al Senato, quella riforma l'avevamo approvata. Poi, alla Camera, affondò nelle sabbie mobili…».
Un appuntamento che, nelle parole del governatore, non è solo sportivo ma anche simbolico: «Come Lombardia abbiamo fortemente voluto le Olimpiadi – ha detto – perché rappresentano una vetrina mondiale straordinaria, capace di lasciare al territorio eredità fondamentali in termini di infrastrutture, servizi e impatto culturale».
Fontana ha voluto sottolineare come l’esperienza olimpica incarni a pieno il “modello Lombardia”, fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato e sulla capacità di trasformare le idee in progetti concreti. «I Giochi – ha spiegato – sono un esempio di questo modello di sviluppo, che parte dall’ascolto dei territori e si traduce in risultati tangibili, grazie al pragmatismo che da sempre contraddistingue la nostra regione».
Investimenti e connessioni per i territori
Secondo il presidente, l’evento rappresenta un volano per rafforzare processi già in corso: «Le Olimpiadi invernali sono l’occasione per accelerare investimenti che migliorano le connessioni con le aree montane e l’area metropolitana milanese».
Fontana ha ricordato che l’80% delle opere è già avviato, e che Milano-Cortina 2026 «sarà un laboratorio di metodo per programmare, investire e amministrare», con l’obiettivo di «rispondere ai bisogni delle comunità» e garantire «risultati duraturi e non temporanei».
Un’occasione per il turismo e il Made in Italy
Ampio spazio anche al tema dell’attrattività turistica. L’appuntamento olimpico, ha spiegato Fontana, sarà «un’occasione per mostrare al mondo le bellezze della Lombardia». Le stime parlano di 3 milioni di pernottamenti aggiuntivi nei mesi di febbraio e marzo 2026, un incremento del 50% rispetto ai livelli registrati nel biennio 2024-2025. Crescerà anche la quota di turisti stranieri, che dovrebbe passare dal 60 al 75% del totale.
Per il governatore, si tratta di una «straordinaria opportunità per le eccellenze del Made in Italy lombardo, che potranno presentarsi sulla scena internazionale in una vetrina irripetibile».
Una Smart Land per i cittadini
Fontana ha infine richiamato il valore dell’eredità olimpica, destinata a superare l’evento sportivo: «Questo percorso valorizza il dialogo tra istituzioni e la governance condivisa tra pubblico e privato, tra montagna e metropoli. La Lombardia è una Smart Land, capace di unire visione strategica e prossimità alle persone».
E ha concluso con una promessa: «Andiamo avanti nella sfida di progettare, coordinare e realizzare, sempre pensando al bene dei cittadini lombardi».
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Francesco Zambon (Getty Images)
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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