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2021-11-24
Giallo sulle terapie intensive friulane. I conti dei posti letto non tornano
Massimiliano Fedriga (Ansa)
Il Friuli passa in giallo dalla prossima settimana e con lo stesso colore, a essere magnanimi, si può indicare anche la «sparizione» di alcuni posti letto nelle terapie intensive dell'ospedale di Palmanova. Non una bella pubblicità per il presidente, Massimiliano Fedriga, che guida anche la Conferenza delle Regioni.
Il sospetto che i conti non tornassero, in Friuli Venezia Giulia, era venuto già da qualche settimana al sindacato locale degli anestesisti (Aaroi), che aveva denunciato pubblicamente come gli otto letti di terapia intensiva della Medicina d'urgenza di Palmanova (meno di 6.000 abitanti in provincia di Udine) non fossero realmente tali. Adesso, è arrivato l'esito di un'ispezione del ministero della Salute che certificherebbe i dubbi degli anestesisti. Gli otto letti ci sono, ma non sono attrezzati per una vera terapia intensiva e quindi ne uscirebbe sconfessato anche l'assessore regionale alla Sanità, Riccardo Riccardi. In sostanza, bisognerà capire se in quel reparto di Palmanova sono stati ricoverati, in tutti questi mesi, pazienti che avrebbero avuto bisogno di un trattamento più delicato, oppure se siano semplicemente alterati i dati ufficiali, che com'è noto concorrono a far scattare anche i diversi colori delle Regioni, e che per il Friuli parlavano di 175 posti letto. Un errore di 8 unità, quindi, sarebbe pari al 4,5% e non è poco, visto che mercoledì scorso l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) segnalava che la Regione era già quella con le strutture sanitarie più gravate dalla quarta ondata, con il 14% delle terapie intensive occupate da pazienti Covid. Ovvero 4 punti percentuali oltre la soglia d'allerta, fissata al 10%.
L'ispezione arrivata da Roma ha anche scoperto che nel pronto soccorso di Palmanova c'era una pericolosa sovrapposizione dei percorsi Covid e non Covid, con evidenti rischi di contagio fra i pazienti. All'ospedale di Gorizia, poi, è stata accertata una carenza di gestione dei flussi dei dati informativi a tutti i livelli, sia sul vero numero di vittime della pandemia cinese che sui posti letto ancora disponibili. Ora, dopo la scoperta degli ispettori mandati dal ministro Roberto Speranza, il Friuli rischia non solo di passare in zona gialla, ma anche di finire presto in zona arancione.
Di sicuro, per adesso, c'è che oggi è l'unica Regione già di fatto in giallo, visto che per l'ufficialità basterà aspettare il monitoraggio di venerdì prossimo da parte della cabina di regia. In zona gialla diventa obbligatorio indossare la mascherina anche all'aperto, sono chiuse le discoteche, mentre i teatri e i cinema restano aperti. In Friuli ci sono 309 casi settimanali ogni 100.000 abitanti e ci sono le due provincie che al momento registrano l'incidenza più alta d'Italia: Trieste con 687 casi e Gorizia con 492. In più, a lunedì erano state ampiamente superate entrambe le soglie dei ricoveri sopra le quali scatta il giallo (il 10% di letti occupati nelle terapie intensive e il 15% negli altri reparti). Rispettivamente, siamo al 15% e al 17%, con numeri che crescono di giorno in giorno.
Tornando al caso delle intensive «fasulle», le opposizioni in Consiglio regionale ovviamente attaccano. Walter Zalukar, del gruppo Misto, afferma che «forse sarebbe stato meglio impiegare tempo ed energie per potenziare i servizi piuttosto che propagandare posti letto inesistenti, confutando i dati dei professionisti, che sui quei letti ci lavorano ogni giorno». Mentre il segretario regionale del Pd, Cristiano Shaurli, punta il dito contro l'assessore Riccardi: «Avevano ragione gli anestesisti e aveva torto Riccardi: questo è il dato di fatto del report ministeriale sulle terapie intensive. In più l'assessore ha tentato di fornire ai cittadini informazioni distorte e addomesticate, ribadendo la sua versione anche di fronte all'esito ufficiale dell'ispezione».
Sulla vicenda delle terapie intensive fantasma, Fedriga non ha ancora risposto, ma continua a segnalarsi per la linea dura con i no vax. Dal vertice delle Regioni con il governo di lunedì sulle nuove misure anti pandemia il presidente del Friuli è uscito soddisfatto perché «la nostra proposta di differenziare le misure restrittive in relazione alla vaccinazione sembra sia stata ascoltata con attenzione». Al Corriere della Sera, ha aggiunto: «Ricordate le zone colorate? Un'ipotesi è quella che i provvedimenti restrittivi non si applichino a chi si è sottoposto alla vaccinazione. A questi sarà garantita la possibilità di continuare a svolgere le attività altrimenti vietate». Fedriga, con una fuga in avanti rispetto alle posizioni del centrodestra e di Fratelli d'Italia in particolare, è anche tornato sul cosiddetto super green pass: «La ritengo un'ipotesi plausibile, e chiarisco meglio. Con il tampone sarà consentito solo andare al lavoro. Per svolgere le attività vietate nella specifica zona, bisognerà essere o vaccinati o guariti». Quanto a Matteo Salvini, il presidente del Friuli sostiene che «tutte le posizioni sono concordate con lui».
In Spagna si vive (bene) senza pass
In Italia ci avviciniamo a un'ulteriore stretta alla libertà dei non vaccinati con l'arrivo del «super green pass», sbandierato come l'unica soluzione per «salvare il Natale» e arma contro la risalita dei contagi.
I pasdaran sanitari invocano restrizioni, forti dell'esempio dei Paesi vicini come Austria, Germania e Paesi Bassi dove il timore della pandemia ha dato nuovamente il via a limitazioni molto pesanti per i cittadini. Gli ultrà del certificato, però, sembrano non accorgersi di uno Stato altrettanto vicino a noi, dove sebbene non vi sia l'ombra di un obbligo di green pass, i contagi non stanno accelerando. È il caso della Spagna, dimenticata dai talk show e dai giornali, ma prova lampante dell'inadeguatezza del pass come strumento di salute pubblica. Il lieve aumento dei contagi nel Paese non è infatti paragonabile a quello del resto d'Europa. Confrontando la situazione spagnola con quella italiana, poi, salta subito all'occhio che, con quasi la stessa percentuale di persone vaccinabili che hanno ricevuto due dosi (l'84%), le morti per milione di abitanti sono inferiori a quelle italiane (quattro contro nove). Dunque, la Spagna ha la nostra stessa percentuale di vaccinati, tasso di decessi inferiore, parametri sotto controllo, con molte meno restrizioni. Il governo centrale di Madrid, guidato da Pedro Sànchez, infatti, non ha mai preso in considerazione l'idea di rendere obbligatorio il «pasaporte Covid» a livello nazionale. Significativa la posizione del ministro della Salute, Carolina Darias: dopo la contrarietà al pass espressa l'estate scorsa, negli ultimi giorni ha fatto sapere che le Comunità possono richiedere il certificato in specifiche aree territoriali , in uno spazio limitato e tenuto conto della situazione epidemiologica. Presupposti palesemente diversi da quelli imposti ai cittadini italiani.
La certificazione viene utilizzata dagli spagnoli per lo più per viaggiare all'estero, sebbene esistano parecchie differenze tra le diverse Comunità. In Galizia, per esempio, è richiesto per entrare nelle discoteche, condividere stanze negli ostelli ed entrare negli ospedali; a Maiorca e Ibiza serve per andare a ballare e per accedere alle Rsa, in Catalogna per prendere parte a banchetti nuziali e per entrare nei locali da ballo. Ad aver ostacolato l'introduzione del pass sono stata soprattutto le Corti regionali, chiamate a esprimersi sulla sua legittimità. Dopo i niet dell'estate scorsa di Andalusia, Canarie e Cantabria, l'ultimo stop è arrivato dai giudici baschi, che non hanno autorizzato il pass per sedere al ristorante, entrare in discoteca e assistere ai concerti come chiesto dalle autorità della Comunità indipendentista.
Basta comunque dare un'occhiata alle prime pagine dei maggiori quotidiani del Paese per rendersi conto che il clima generale non è paragonabile all'allarmismo ingiustificato che persiste in Italia. Certo, le autorità sanitarie invocano prudenza e sono contrarie all'allentamento dei parametri che classificano i territori in rischio basso, medio o alto. Il ministero della Salute ha proposto ieri la chiusura di bar e ristoranti alle 23 e massimo dieci persone a tavola per i territori che entreranno in zona a rischio 2, cioè con un'incidenza da 100 a 300 casi ogni 100.000 abitanti. Misure che potranno essere più stringenti nelle Regioni che più temono la nuova ondata, generalmente quelle con un clima meno mite, ma che mai prenderebbero la piega delle restrizioni all'italiana, con dileggio e caccia ai no vax annessi. Eppure, da Cadice a Bilbao, nessuno strilla all'apocalisse, e tanto meno al green pass per poter lavorare.
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Un'ispezione del ministero della Salute sconfessa l'assessore Riccardo Riccardi: nell'ospedale di Palmanova le otto rianimazioni dichiarate non esistono. Un dato falso che incide sul colore della Regione in guerra con i no pass.Madrid vanta un numero di vaccinati simile all'Italia e meno morti evitando di ricorrere alle nostre misure. Anche grazie ai giudici, la card regionale si limita a poche attività.Lo speciale contiene due articoli.Il Friuli passa in giallo dalla prossima settimana e con lo stesso colore, a essere magnanimi, si può indicare anche la «sparizione» di alcuni posti letto nelle terapie intensive dell'ospedale di Palmanova. Non una bella pubblicità per il presidente, Massimiliano Fedriga, che guida anche la Conferenza delle Regioni.Il sospetto che i conti non tornassero, in Friuli Venezia Giulia, era venuto già da qualche settimana al sindacato locale degli anestesisti (Aaroi), che aveva denunciato pubblicamente come gli otto letti di terapia intensiva della Medicina d'urgenza di Palmanova (meno di 6.000 abitanti in provincia di Udine) non fossero realmente tali. Adesso, è arrivato l'esito di un'ispezione del ministero della Salute che certificherebbe i dubbi degli anestesisti. Gli otto letti ci sono, ma non sono attrezzati per una vera terapia intensiva e quindi ne uscirebbe sconfessato anche l'assessore regionale alla Sanità, Riccardo Riccardi. In sostanza, bisognerà capire se in quel reparto di Palmanova sono stati ricoverati, in tutti questi mesi, pazienti che avrebbero avuto bisogno di un trattamento più delicato, oppure se siano semplicemente alterati i dati ufficiali, che com'è noto concorrono a far scattare anche i diversi colori delle Regioni, e che per il Friuli parlavano di 175 posti letto. Un errore di 8 unità, quindi, sarebbe pari al 4,5% e non è poco, visto che mercoledì scorso l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) segnalava che la Regione era già quella con le strutture sanitarie più gravate dalla quarta ondata, con il 14% delle terapie intensive occupate da pazienti Covid. Ovvero 4 punti percentuali oltre la soglia d'allerta, fissata al 10%. L'ispezione arrivata da Roma ha anche scoperto che nel pronto soccorso di Palmanova c'era una pericolosa sovrapposizione dei percorsi Covid e non Covid, con evidenti rischi di contagio fra i pazienti. All'ospedale di Gorizia, poi, è stata accertata una carenza di gestione dei flussi dei dati informativi a tutti i livelli, sia sul vero numero di vittime della pandemia cinese che sui posti letto ancora disponibili. Ora, dopo la scoperta degli ispettori mandati dal ministro Roberto Speranza, il Friuli rischia non solo di passare in zona gialla, ma anche di finire presto in zona arancione. Di sicuro, per adesso, c'è che oggi è l'unica Regione già di fatto in giallo, visto che per l'ufficialità basterà aspettare il monitoraggio di venerdì prossimo da parte della cabina di regia. In zona gialla diventa obbligatorio indossare la mascherina anche all'aperto, sono chiuse le discoteche, mentre i teatri e i cinema restano aperti. In Friuli ci sono 309 casi settimanali ogni 100.000 abitanti e ci sono le due provincie che al momento registrano l'incidenza più alta d'Italia: Trieste con 687 casi e Gorizia con 492. In più, a lunedì erano state ampiamente superate entrambe le soglie dei ricoveri sopra le quali scatta il giallo (il 10% di letti occupati nelle terapie intensive e il 15% negli altri reparti). Rispettivamente, siamo al 15% e al 17%, con numeri che crescono di giorno in giorno. Tornando al caso delle intensive «fasulle», le opposizioni in Consiglio regionale ovviamente attaccano. Walter Zalukar, del gruppo Misto, afferma che «forse sarebbe stato meglio impiegare tempo ed energie per potenziare i servizi piuttosto che propagandare posti letto inesistenti, confutando i dati dei professionisti, che sui quei letti ci lavorano ogni giorno». Mentre il segretario regionale del Pd, Cristiano Shaurli, punta il dito contro l'assessore Riccardi: «Avevano ragione gli anestesisti e aveva torto Riccardi: questo è il dato di fatto del report ministeriale sulle terapie intensive. In più l'assessore ha tentato di fornire ai cittadini informazioni distorte e addomesticate, ribadendo la sua versione anche di fronte all'esito ufficiale dell'ispezione». Sulla vicenda delle terapie intensive fantasma, Fedriga non ha ancora risposto, ma continua a segnalarsi per la linea dura con i no vax. Dal vertice delle Regioni con il governo di lunedì sulle nuove misure anti pandemia il presidente del Friuli è uscito soddisfatto perché «la nostra proposta di differenziare le misure restrittive in relazione alla vaccinazione sembra sia stata ascoltata con attenzione». Al Corriere della Sera, ha aggiunto: «Ricordate le zone colorate? Un'ipotesi è quella che i provvedimenti restrittivi non si applichino a chi si è sottoposto alla vaccinazione. A questi sarà garantita la possibilità di continuare a svolgere le attività altrimenti vietate». Fedriga, con una fuga in avanti rispetto alle posizioni del centrodestra e di Fratelli d'Italia in particolare, è anche tornato sul cosiddetto super green pass: «La ritengo un'ipotesi plausibile, e chiarisco meglio. Con il tampone sarà consentito solo andare al lavoro. Per svolgere le attività vietate nella specifica zona, bisognerà essere o vaccinati o guariti». Quanto a Matteo Salvini, il presidente del Friuli sostiene che «tutte le posizioni sono concordate con lui».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/giallo-terapie-intensive-friulane-2655784368.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="in-spagna-si-vive-bene-senza-pass" data-post-id="2655784368" data-published-at="1637696540" data-use-pagination="False"> In Spagna si vive (bene) senza pass In Italia ci avviciniamo a un'ulteriore stretta alla libertà dei non vaccinati con l'arrivo del «super green pass», sbandierato come l'unica soluzione per «salvare il Natale» e arma contro la risalita dei contagi. I pasdaran sanitari invocano restrizioni, forti dell'esempio dei Paesi vicini come Austria, Germania e Paesi Bassi dove il timore della pandemia ha dato nuovamente il via a limitazioni molto pesanti per i cittadini. Gli ultrà del certificato, però, sembrano non accorgersi di uno Stato altrettanto vicino a noi, dove sebbene non vi sia l'ombra di un obbligo di green pass, i contagi non stanno accelerando. È il caso della Spagna, dimenticata dai talk show e dai giornali, ma prova lampante dell'inadeguatezza del pass come strumento di salute pubblica. Il lieve aumento dei contagi nel Paese non è infatti paragonabile a quello del resto d'Europa. Confrontando la situazione spagnola con quella italiana, poi, salta subito all'occhio che, con quasi la stessa percentuale di persone vaccinabili che hanno ricevuto due dosi (l'84%), le morti per milione di abitanti sono inferiori a quelle italiane (quattro contro nove). Dunque, la Spagna ha la nostra stessa percentuale di vaccinati, tasso di decessi inferiore, parametri sotto controllo, con molte meno restrizioni. Il governo centrale di Madrid, guidato da Pedro Sànchez, infatti, non ha mai preso in considerazione l'idea di rendere obbligatorio il «pasaporte Covid» a livello nazionale. Significativa la posizione del ministro della Salute, Carolina Darias: dopo la contrarietà al pass espressa l'estate scorsa, negli ultimi giorni ha fatto sapere che le Comunità possono richiedere il certificato in specifiche aree territoriali , in uno spazio limitato e tenuto conto della situazione epidemiologica. Presupposti palesemente diversi da quelli imposti ai cittadini italiani. La certificazione viene utilizzata dagli spagnoli per lo più per viaggiare all'estero, sebbene esistano parecchie differenze tra le diverse Comunità. In Galizia, per esempio, è richiesto per entrare nelle discoteche, condividere stanze negli ostelli ed entrare negli ospedali; a Maiorca e Ibiza serve per andare a ballare e per accedere alle Rsa, in Catalogna per prendere parte a banchetti nuziali e per entrare nei locali da ballo. Ad aver ostacolato l'introduzione del pass sono stata soprattutto le Corti regionali, chiamate a esprimersi sulla sua legittimità. Dopo i niet dell'estate scorsa di Andalusia, Canarie e Cantabria, l'ultimo stop è arrivato dai giudici baschi, che non hanno autorizzato il pass per sedere al ristorante, entrare in discoteca e assistere ai concerti come chiesto dalle autorità della Comunità indipendentista. Basta comunque dare un'occhiata alle prime pagine dei maggiori quotidiani del Paese per rendersi conto che il clima generale non è paragonabile all'allarmismo ingiustificato che persiste in Italia. Certo, le autorità sanitarie invocano prudenza e sono contrarie all'allentamento dei parametri che classificano i territori in rischio basso, medio o alto. Il ministero della Salute ha proposto ieri la chiusura di bar e ristoranti alle 23 e massimo dieci persone a tavola per i territori che entreranno in zona a rischio 2, cioè con un'incidenza da 100 a 300 casi ogni 100.000 abitanti. Misure che potranno essere più stringenti nelle Regioni che più temono la nuova ondata, generalmente quelle con un clima meno mite, ma che mai prenderebbero la piega delle restrizioni all'italiana, con dileggio e caccia ai no vax annessi. Eppure, da Cadice a Bilbao, nessuno strilla all'apocalisse, e tanto meno al green pass per poter lavorare.
Il Tribunale dei minori de l'Aquila. Nel riquadro, la famiglia Trevallion Birmingham (Ansa)
Un bambino è un teste fragile estremamente suggestionabile, perché è abituato al fatto che non deve contraddire un adulto, e, soprattutto se il bambino è spaventato, tende a compiacere l’adulto e a dire quello che l’adulto vuole. Ricordiamo che esiste la Carta di Noto, un protocollo di linee guida per l’ascolto del minore in caso di presunti abusi sessuali o maltrattamenti, elaborato da esperti di diverse discipline (magistrati, avvocati, psicologi, ecc.), che sono state sistematicamente disattese per esempio a Bibbiano. Un bambino deportato dalla sua famiglia è per definizione terrorizzato. Il termine corretto per i bambini tolti dalle famiglie dalle assistenti sociali è deportazione. La deportazione avviene all’improvviso, da un istante all’altro, con l’interruzione totale di tutti gli affetti, genitori, nonni, amici, eventuali animali domestici. Il deportato è privato dei suoi oggetti e del suo ambiente e con la proibizione di contatti con la sua vita precedente. Il deportato non ha nessuna padronanza della sua vita. Questo è lo schema della deportazione. Assistenti sociali possono mentire e psicologi possono avvallare queste menzogne con interrogatori suggestivi che portano i bambini a mentire. I motivi sono tre: compiacenza verso superiori o colleghi (è già successo), interesse economico (è già successo), fanatismo nell’applicare le proprie teorie: l’abuso sessuale dei padri sui bambini è diffusissimo, una famiglia non ha il diritto di vivere in un bosco, una madre povera non ha diritto ad allevare suo figlio, i bambini appartengono allo Stato, a meno che non siano rom allora appartengono al clan, un non vaccinato è un nemico del popolo oltre che della scienza e va deportato e vaccinato (è già successo).
Un’assistente sociale può mentire. E dato che la menzogna è teoricamente possibile deve essere necessario, per legge, che a qualsiasi interazione tra lo psicologo e l’assistente sociale e il bambino sia presente un avvocato di parte o un perito di parte, psicologo o altra figura scelta dalla famiglia. È necessario quindi che venga fatta immediatamente una legge che chiarisca che sia vietato una qualsiasi interazione tra il bambino e un adulto, assistente sociale, psicologo, ovviamente magistrato, dove non sia presente un perito di parte o un avvocato. Facciamo un esempio a caso. Supponiamo (siamo nell’ambito delle supposizioni, il posto fantastico dei congiuntivi e dei condizionali) che l’assistente sociale che ha dichiarato che i bambini della famiglia del Bosco sono analfabeti, oltre ad aver compiuto il crimine deontologico gravissimo della violazione di segreto professionale, abbia mentito. Certo è estremamente probabile che i figli di una famiglia con un livello culturale alto, poliglotta, la cui madre lavora in smart working siano analfabeti. È la cosa più logica che ci sia, però supponiamo per ipotesi fantastica che l’assistente sociale abbia mentito. In questo caso è evidente che i bambini non possono tornare a casa per Natale. Se i bambini tornassero a casa in tempi brevi, non sarebbe difficile fare un video dove si dimostra che scrivono benissimo, che leggono benissimo, molto meglio dei coetanei in scuole dove il 90% degli utenti sono stranieri che non sanno nemmeno l’italiano e meno che mai l’inglese, si potrebbe dimostrare che sono perfettamente in grado di farsi una doccia da soli e anche di cucinare un minestrone.
La deportazione di un bambino, coi rapporti troncati da un colpo di ascia, produce danni incalcolabili. I bambini sono stati sottratti ai loro affetti per darli in mano a una tizia talmente interessata al loro interesse che sputtana loro e la loro famiglia davanti a tutta l’Italia e per sempre (il Web non dimentica) con affermazioni (vere?) sul loro analfabetismo e sulla loro incapacità a fare una doccia. Questi bambini rischiano di essere aggrediti e sfottuti dai coetanei per questo, si è spianata la strada a renderli vittime di bullismo per decenni. Con impressionante sprezzo di qualsiasi straccio di deontologia gli operatori, tutti felici di squittire a cani e porci informazioni che dovrebbero essere assolutamente riservate (anche questi il segreto professionale e la deontologia non sanno che cosa siano), ci informano che i bambini annusano con perplessità i vestiti che profumano di pulito. I vestiti non profumano di pulito. Hanno l’odore dei pessimi detersivi industriali reclamizzati alla televisione che deve essere la fonte principale se non l’unica da cui nasce la cultura degli operatori. I loro componenti sono pessimi, non solo inquinanti, ma anche pericolosi per la salute umana a lungo termine: stesso discorso per lo sciampo e il bagno schiuma, soprattutto negli orfanatrofi di Stato, le cosiddette case famiglie, dove si comprano i prodotti meno cari, quindi quelli con i componenti peggiori.
Nessuno dei libricini su cui hanno studiato gli operatori ha spiegato che ci sono ben altri sistemi per garantire una pulizia impeccabile. In tutte le foto che li ritraggono con i genitori, ai tempi distrutti per sempre in cui erano felici, i bambini sono pulitissimi. Tra l’altro tutte queste incredibili esperte di comportamento infantile, non hanno mai sentito parlare di comportamento oppositivo? Un bambino normale, una volta deportato con arbitrio dalla sua vita e dalla sua famiglia, può spezzarsi ed essere malleabile o può resistere ed essere oppositivo. Fai la doccia. Non la voglio fare. Scrivi. Non sono capace. Il bambino oppositivo deve essere frantumato. Non ti mando a casa nemmeno per Natale.
Sia fatta una legge immediatamente. Subito. I bambini del bosco devono avere di fianco un avvocato. Noi popolo italiano, che con le nostre tasse paghiamo i servizi sociali e la deportazione dei bambini, abbiamo il diritto a pretendere che non siano soli. I bambini nel bosco passeranno un Natale da deportati. Qualcuno si sentirà in dovere di informarci che in vita loro non avevano mai mangiato un qualche dolce industriale a base di zucchero, grassi idrogenati e coloranti e che grazie alla deportazione questa lacuna è stata colmata.
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La famiglia Trevallion-Birmingham (Ansa)
È infatti una prepotenza senza significato confrontare una bomba affettiva e esistenziale come tre fratellini che giocano e si vogliono evidentemente bene, accompagnata da genitori altrettanto uniti, e naturalmente affettivi con norme e abitudini di un Paese dove il nucleo abitativo più frequente nelle città più prestigiose consiste in un cittadino singolo. Pretendere che i pochi figli superstiti in qualche «terra di nessuno», con i suoi boschi e le affettuosità (che ancora esistono fuori dalle famiglie-tipo), si uniformino ai secchi diritti e cupe abitudini del sociologico e disperato «gruppo dei pari» è un’operazione di una freddezza stalinista, per fortuna destinata allo scacco. È coltivata da burocrazie che scambiano relazioni profonde e vere, comunque indispensabili alla vita e alla sua felicità, con strumenti tecnici, adoperabili solo quando la famiglia purtroppo non c’è più, molto spesso per l’ottusità e la corruzione dello Stato stesso che le subentra (come racconta Hanna Arendt) quando è riuscito a distruggerla. Se non si vuole creare danni inguaribili, tutti, anche i funzionari dello Stato, dovrebbero fare attenzione a non sostituire gli aspetti già legati all’umano fin dalla creazione del mondo, con pratiche esterne magari infiocchettate dalle burocrazie ma che non c’entrano nulla con la sostanza dell’uomo e la sua capacità di sopravvivere.
Certo, la bimba Utopia Rose, citata nel bel pezzo di Francesco Borgonovo del 18 dicembre, è una testimone insostituibile di un’altra visione del mondo rispetto alle varie ideologie che prevalgono in questo momento, unendo ferocia e ricchezza, cinismo e follia. Impossibile di fronte ai fratellini che tanto scandalizzano le burocrazie perbene non ricordare (oltretutto a pochi giorni dal Natale) l’ordine di Gesù: «Lasciate che questi piccoli vengano a me». Nessuno dubita che entreranno nel Regno prima degli assistenti sociali. Utopia Rose, la più grande, è affettuosa e impegnata, lavoratrice e giocattolona, organizzatrice e sognatrice. Però non è sola (Come si fa a non amarla, e anche un po’ invidiarla?). Non soltanto perché ha i suoi due fratellini, e i tre quarti del pubblico fa il tifo per loro. Ma perché questa visione loro e dei genitori di cercare una vita buona e naturale, semplicemente felice e affettuosa verso sé e verso gli altri e tutto il mondo vivente, cresce con la stessa velocità con la quale si sviluppa l’idolatria verso tutto ciò che è artificiale, fabbricato, mentale, non affettivo. È già qualche anno che chi viene in analisi scopre soprattutto questo: l’urgenza di mettersi al riparo dagli egoismi e pretese grandiose, vuote e fredde, e invece amare. Ormai il fenomeno trasborda nelle cronache. Trasgressione conclusiva, dialettale e popolaresca (milanese): «Spérèm»!
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(Imagoeconomica)
A leggere queste parole c’è davvero da impazzire. In pratica si continua a ripetere che questi bambini sono bravi, educati, felici e amati. Ma hanno difficoltà con la lettura e si cambiano i vestiti troppo raramente. E alle nostre istituzioni, oltre che a una parte della politica, sembra normale che tanto basti per strapparli ai genitori e lasciarli in una casa famiglia a tempo indeterminato. In aggiunta, si continuano a trattare papà e mamma Trevallion come discoli da raddrizzare. Si scrive e si dice che ora si comportano bene, che hanno accettato di modificare la propria casa, di vaccinare i figli, di farli incontrare con un insegnante. Lo ripetono pure i giudici della Corte d'appello che hanno confermato venerdì la validità del provvedimento di allontanamento e hanno passato la palla al Tribunale dei minori dell'Aquila per eventuali nuove decisioni. La corte conferma «tutte le criticità rilevate nell'ordinanza del Tribunale dei minorenni» tra cui i «gravi rischi per la salute fisica e psichica dei bambini, per la loro sana crescita, per lo sviluppo armonioso della loro personalità». Ma rileva «gli apprezzabili sforzi di collaborazione» da parte dei genitori e auspica «un definitivo superamento del muro di diffidenza da loro precedentemente alzato verso gli interventi e le offerte di sostegno». Chiaro, no? Quando papà e mamma saranno più docili e addomesticati, il ricatto potrà forse concludersi.
Pare infatti che il nodo di tutta questa storia, sia soltanto questo: bisogna compiacere i magistrati. Chi non lo fa è un pericoloso pasdaran della destra, è uno che fa campagna politica per il referendum sulla giustizia. Lo dice chiaramente Elisabetta Piccolotti di Alleanza verdi e sinistra, la quale se la prende con i ministri Matteo Salvini e Eugenia Roccella «che continuano a fare gli sciacalli con l’unico scopo di preparare il terreno per il referendum sulla giustizia. Noi di Avs», spiega Piccolotti, «crediamo che il percorso di dialogo con la famiglia debba dare i giusti frutti, come sostengono anche gli avvocati: i bambini devono tornare a casa dai genitori, con la garanzia che non saranno negati loro il diritto all’istruzione e alla socialità che solo la scuola assicura davvero». Ah, ma dai: i bambini devono tornare a scuola, perché quella parentale non va. Di più: bisogna che il ministro Valditara invii «gli ispettori nella scuola paritaria che ha certificato l’assolvimento dell’obbligo scolastico per la bambina di 11 anni, nonostante pare che la bimba sappia a stento scrivere il proprio nome sotto dettatura».
Interessante cortocircuito. Con la famiglia del bosco i compagni di Avs sono inflessibili, invocano perquisizioni e correzioni. Ma con altri sono molto più teneri. Nei riguardi degli antagonisti di Askatasuna, per dire, hanno parole di miele. Marco Grimaldi, vicecapogruppo di Avs alla Camera, si è aggregato al corteo di protesta contro lo sgombero del centro sociale. «Noi non abbiamo nulla da nascondere», grida. «Siamo parte, alla luce del sole, di un’associazione a resistere, quella dell’antifascismo che i trumpiani di tutto il mondo vorrebbero dichiarare fuori legge. Ma fino a quando la nostra Costituzione sarà in piedi nessuno potrà impedirmi di manifestare il mio dissenso ed io continuerò a farlo». La sua compagna di partito Ilaria Salis ribadisce che «lo spirito di Askatasuna continuerà ad ardere». Bravi, bravissimi, dei veri rivoluzionari, dei grandi ribelli antisistema. Ma per chi sceglie davvero un modello di vita alternativo, a quanto risulta, non hanno pietà. Anzi, dicono le stesse cose dei magistrati.
Fateci caso: Elisabetta Piccolotti ha pronunciato praticamente le stesse frasi scandite da Virginia Scalera, giudice del tribunale di Pescara e presidente della sezione Abruzzo dell’Anm. Costei è intervenuta ieri dicendo che c’è «stato un attacco scomposto e offensivo nei confronti dei giudici da parte dei ministri Salvini e Roccella, espresso peraltro in mancanza di conoscenza del provvedimento, perché le motivazioni non sono ancora uscite. E comunque è inaccettabile il tono. Abbiamo l’impressione chiara», insiste Scalera, «che sia un modo per riattivare l’attenzione dell’opinione pubblica, strumentalizzando una storia significativa in ottica referendaria. Ogni volta si additano i giudici, si parla di sequestro di bambini. Stigmatizziamo gli attacchi del governo».
Siamo sempre lì: guai a sfiorare i giudici, guai ad avanzare anche solo un minuscolo dubbio sul loro operato. Persino la sinistra radicale, quella che si batte contro i confini e contro la fantomatica «repressione», alla bisogna si rimette in riga al fianco delle toghe. E intanto tre bambini bravi e educati sono ancora tenuti lontano dai loro genitori.
A proposito di cortocircuiti sinistri, sia concessa un’ultima considerazione. Negli anni passati, con l’avvicinarsi del Natale, fior di sacerdoti e militanti progressisti hanno proposto presepi pieni zeppi di barconi e migranti. È un vero peccato che quest’anno qualcuno di questi impegnati a favore dei più deboli non abbia pensato a un bel presepe con la famiglia del bosco posizionata in mezzo ai pastori.
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Orazio Schillaci (Ansa)
Stiamo parlando della Cceps, la commissione centrale esercenti professioni sanitarie che funziona come una sorta di Corte d’Appello. Due giorni fa doveva svolgersi a Roma l’udienza, fissata a ridosso del Natale per esaminare i ricorsi di almeno 25 medici radiati dall’Ordine. Nemmeno il tempo di aprire la seduta, e subito è stata rinviata con data da destinarsi.
Il 18 sera, infatti, l’indipendenza e imparzialità dei componenti della Cceps è stata messa in discussione dalle istanze di ricusazione di uno dei legali dei medici radiati, l’avvocato Mauro Sandri. La presidente e il suo vice, così pure diversi membri dell’organo del ministero della Salute che esercita il giudizio di secondo grado, si sono già espressi contro le critiche nei confronti del vaccino Covid. In alcuni casi, anche contro gli stessi dottori che hanno presentato ricorso, si legge nella memoria di ricusazione.
Una cosa inaudita, che vanificherebbe qualsiasi conclusione della commissione. Non attiva da anni, la Cceps era stata ricostituita lo scorso ottobre dal ministro Schillaci su pressione di Filippo Anelli, presidente Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri. A marzo, il capo dei medici si lamentava perché il ricorso «di fatto vanifica l’azione sanzionatoria degli Ordini, facendo sì che medici sospesi o addirittura radiati continuino a esercitare».
Così, per liquidare in fretta la questione, in un’udienza fissata per trattare i soli procedimenti dei medici radiati (in violazione del normale calendario), tutte le memorie scritte dei difensori dovevano essere presentate nella stessa mattinata del 19 e «date in pasto» a medici, a magistrati che il loro giudizio già l’hanno formulato.
Le istanze di ricusazione presentate dall’avvocato Sandri sono state nei confronti della presidente della Cceps, Giulia Ferrari, in quanto come componente del Consiglio di Stato ha partecipato alla stesura di numerose sentenze nelle quali ha «sempre respinto le domande di illegittimità delle sospensioni dal lavoro avanzate da pubblici dipendenti».
E nei confronti del vice presidente Oscar Marongiu «che ha partecipato a decisioni di contenuto analogo quale componente del Tar di Cagliari». Ma non è finita. La maggior parte dei componenti la Cceps per quanto riguarda i ricorsi dei medici sono professionisti che hanno fatto parte di Consigli dell'Ordine, che hanno emesso provvedimenti di radiazione e che hanno espresso, prima del processo, opinioni che fanno già chiaramente trasparire la posizione che avranno nel giudizio di secondo grado.
Tra questi c’è Giovanni Leoni, presidente dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri della Provincia di Venezia e vice presidente nazionale Fnomceo. Il presidente a luglio 2022 si era opposto all’idea dell’allora governatore Luca Zaia di reintegrare i medici sospesi perché non vaccinati: «Sarebbe un pessimo messaggio», disse. E che aveva definito l’abolizione della sanzione ai no vax «un premio ai furbetti. Questa scelta non è un messaggio educativo alla popolazione sul rispetto delle regole». Qualcuno ha dei dubbi su come Leoni giudicherà il ricorso di medici quali Ennio Caggiano, Barbara Balanzoni, Fabio Milani, Riccardo Szumski? Sono solo alcuni dei dottori stimati, amati dai loro pazienti, però presi di mira dagli Ordini professionali perché osavano contrastare la non scienza imposta con i dpcm di Speranza e Conte.
Ennio Caggiano di Camponogara, nel Veneziano mandato a processo per aver compilato 16 certificati di esenzione dal vaccino ritenuti falsi dalla Procura di Venezia, è stato assolto da ogni accusa pochi mesi fa. Eppure il 20 maggio del 2022 il presidente dell’Ordine dei medici di Venezia ne firmò la radiazione. Oggi il medico si dice sconcertato di sapere che lo stesso Leoni dovrebbe valutare il suo ricorso. «L’incompatibilità assoluta. Invece di chiudere una vicenda che si trascina da anni, analizzando oggettivamente i fatti, vogliono ribadire che avevano ragione. È una cosa ridicola e tragica nello stesso tempo».
Un periodo, quello della pandemia e dei diktat, segnato anche da brutte storie di delazioni. Fabio Milani, stimato professionista bolognese non vaccinato, nel dicembre del 2021 curò con antibiotico e cortisone una famiglia con polmonite da Covid abbandonata a Tachipirina e vigile attesa dal proprio medico di famiglia. Segnalato dal collega all'Ordine, aveva subìto un lungo processo per esercizio abusivo della professione, conclusosi nel gennaio 2025 perché «il fatto non sussiste». Ma non era finita. Il medico venne radiato nell’agosto 2022 con l’accusa di aver violato il codice deontologico. Con quale imparzialità sarà giudicato in secondo grado da una simile commissione?
«Nessun medico radiato può essere giudicato per avere espresso opinioni critiche sulla gestione dell'emergenza sanitaria», ribadisce l’avvocato Sandri. «Nessuno mi ha denunciato per aver maltrattato un paziente», osserva Riccardo Szumski, il consigliere di Resistere Veneto risultato tra i più eletti alle ultime Regionali, evidenziando l’assurdità di una sanzione così grave. «Mi sembra una commissione non a tutela dei medici e dei pazienti, ma dell’obbedienza a ogni costo. E Schillaci era un collaboratore dell’ex ministro Roberto Speranza. Nella mia radiazione venne citata la frase del presidente Sergio Mattarella “non si invochi la libertà per sottrarsi all’obbligo vaccinale” ma la libertà, secondo me, è un bene assoluto».
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