Il trio comico composto da Giorgio Gherarducci, Marco Santin e Carlo Taranto torna in televisione con un nuovo programma tutto suo in onda in prima serata su Italia 1 a partire da giovedì 29 novembre. «Mai dire gol? Non potrebbe più esistere. Sarebbe impossibile rifare un programma di culto come quello. All'epoca, curavamo tutto: durava un'ora e avevamo la possibilità di passarne al vaglio ogni singolo pezzetto».
Il trio comico composto da Giorgio Gherarducci, Marco Santin e Carlo Taranto torna in televisione con un nuovo programma tutto suo in onda in prima serata su Italia 1 a partire da giovedì 29 novembre. «Mai dire gol? Non potrebbe più esistere. Sarebbe impossibile rifare un programma di culto come quello. All'epoca, curavamo tutto: durava un'ora e avevamo la possibilità di passarne al vaglio ogni singolo pezzetto».Un tavolone, le voci fuori campo, qualche opinionista e un ospite, il Mago Forrest a fare gli onori di casa. Mai dire talk, al debutto su Italia 1 nella prima serata di giovedì 29 novembre, marca il ritorno della Gialappa’s alla comicità Mediaset. Ma i tre tossicchiano. Parlare di «ritorno» è improprio. La Band, che dello sberleffo ha fatto un’arte, non ha mai lasciato la televisione. «In Rai, abbiamo potuto fare Milano-Roma, Mai dire news», puntualizzano, rifiutando - o evitando - di farsi trascinare nel commento degli anni che gli sono toccati in sorte. La Gialappa’s, nella Mediaset più recente, è stata costretta entro confini tristanzuoli. E a cattivo gioco ha fatto buon viso. L’Isola dei Famosi, il Grande Fratello Vip, Mai dire reality ha saputo usarli per ribadire il proprio primato, la superiorità della vecchia scuola su una comicità televisiva che ha cercato di far suoi i ritmi, frenetici e affatto divertenti, di Internet. Così, è tornata. In prima serata, perché la seconda, raccontano, «non esiste più».«Un tempo, la seconda serata era la palestra di presentatori e comici, ma oggi è stata fagocitata da prime serate interminabili». Programmi che durano tre, quattro, cinque ore, rendendo impraticabile il lavoro di un tempo. Mai dire gol, con i citofoni e i gollonzi, «Non potrebbe più esistere», spiega la triade formata da Giorgio Gherarducci, Marco Santin e Carlo Taranto, «Sarebbe impossibile rifare un programma di culto come quello. All’epoca, curavamo tutto: durava un’ora e avevamo la possibilità di passarne al vaglio ogni singolo pezzetto». Cosa, questa, irripetibile.Mai dire talk, che i tre tengono a specificare non essere un reboot di Mai dire gol, dura due, tre ore. «Come ogni programma di prima serata», solo più divertente. Il format, originale, prevede che l’avvicendarsi, in prima tv, di personaggi più e meno noti. Il Mago Forest, insieme alle giornaliste Greta Mauro e Stefania Scordio, è stato chiamato a presiedere un enorme talk show. Un salotto dotato di tutti i crismi dell’informazione: gli opinionisti fissi - tra cui si contano Yuri Chechi, Maurizia Cacciatori, Barbara De Rossi e Jake La Furia -, gli ospiti, diversi di puntata in puntata, le rubriche, i contributi esterni. La brieffatrice, portata in scena da Brenda Lodigiani. «Si tratta di una figura fondamentale per qualsiasi talk che si rispetti. È colei che assegna le parti, invitando gli ospiti a litigare, perché le risse fanno ascolti», spiega la Gialappa’s, che nel proprio talk sui generis ha voluto qualche vecchia conoscenza.Tra i contributi più attesi, c’è quello di Marcello Cesena, in arte Jean-Claude. Il comico, dopo cinque anni di pausa, riporterà su Italia1 la Sensualità a corte. Quel suo “madreeh” diventato d’uso comune. «In origine, Sensualità a corte era una striscia cartoon, oggi è, invece, una vera e propria serie tv, con tanto i morti e guest star». Jean-Claude, parruccone d’ispirazione francese, dovrà vedersela con l’organizzazione di un omicidio, quello di Madre, trasfigurata in una creatura ossessionata da Instagram e influencer. «Nella prima puntata, sarà la Chanel di Gomorra, Cristina Donadio, a intervenire», spiega inoltre Cesena, affiancato, nel team ritorni, da Maccio Capatonda. «Rifarò i trailer e mi calerò nei panni di un nuovo personaggio, un tale di nome Jerry Polemica, capace di inchieste e satira», dice Capatonda, al cui fianco, in conferenza stampa, è seduta una pletora di colleghi più e meno noti.Mai dire talk, che ai citofoni ha sostituito i contributi audio («Il primo sarà quello di un finto Vittorio Feltri», sulla scia di un successo inaugurato da Maurizio Crozza), ha deciso di annoverare tra le sue fila i giovani. Ci sono Le Coliche, che con Francesco Marioni fanno il verso ai Thegiornalisti, c’è Michela Giraud, pronta a chiedersi dove saranno i Ferragnez tra dieci anni, e c’è Liliana Fiorelli, intenta a imitare Elisa Isoardi e Giorgia Meloni. Unica, forse, tra le figure politiche.La Gialappa’s, che in scaletta, tra i personaggi parodiati, ha pure Asia Argento e gli Angela, Piero e Alberto, non si è sbottonata sul fronte politico. «Mai dire talk non vuole essere una parodia dei talk esistenti, ma un modo per ridere (anche) dell’attualità. Abbiamo provato ad invitare qualche politico. Ci hanno risposto: "Vediamo com’è la prima puntata"», dicono, rivelando, però, che qualcuno tra i vecchi colleghi ha accettato di tornare a collaborare. «Su Paola Cortellesi nutriamo qualche speranza, Fabio De Luigi è impegnato ma potrebbe farcela. Giovanni Storti parteciperà».
Elly Schlein (Ansa)
Corteo a Messina per dire no all’opera. Salvini: «Nessuna nuova gara. Si parte nel 2026».
I cantieri per il Ponte sullo Stretto «saranno aperti nel 2026». Il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, snocciola dati certi e sgombera il campo da illazioni e dubbi proprio nel giorno in cui migliaia di persone (gli organizzatori parlano di 15.000) sono scese in piazza a Messina per dire no al Ponte sullo Stretto. Il «no» vede schierati Pd e Cgil in corteo per opporsi a un’opera che offre «comunque oltre 37.000 posti di lavoro». Nonostante lo stop arrivato dalla Corte dei Conti al progetto, Salvini ha illustrato i prossimi step e ha rassicurato gli italiani: «Non è vero che bisognerà rifare una gara. La gara c’è stata. Ovviamente i costi del 2025 dei materiali, dell’acciaio, del cemento, dell’energia, non sono i costi di dieci anni fa. Questo non perché è cambiato il progetto, ma perché è cambiato il mondo».
Luigi Lovaglio (Ansa)
A Milano si indaga su concerto e ostacolo alla vigilanza nella scalata a Mediobanca. Gli interessati smentiscono. Lovaglio intercettato critica l’ad di Generali Donnet.
La scalata di Mps su Mediobanca continua a produrre scosse giudiziarie. La Procura di Milano indaga sull’Ops. I pm ipotizzano manipolazione del mercato e ostacolo alla vigilanza, ritenendo possibile un coordinamento occulto tra alcuni nuovi soci di Mps e il vertice allora guidato dall’ad Luigi Lovaglio. Gli indagati sono l’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone; Francesco Milleri, presidente della holding Delfin; Romolo Bardin, ad di Delfin; Enrico Cavatorta, dirigente della stessa holding; e lo stesso Lovaglio.
Leone XIV (Ansa)
- La missione di Prevost in Turchia aiuta ad abbattere il «muro» del Mediterraneo tra cristianità e Islam. Considerando anche l’estensione degli Accordi di Abramo, c’è fiducia per una florida regione multireligiosa.
- Leone XIV visita il tempio musulmano di Istanbul ma si limita a togliere le scarpe. Oggi la partenza per il Libano con il rebus Airbus: pure il suo velivolo va aggiornato.
Lo speciale contiene due articoli.
Pier Carlo Padoan (Ansa)
Schlein chiede al governo di riferire sull’inchiesta. Ma sono i democratici che hanno rovinato il Monte. E il loro Padoan al Tesoro ha messo miliardi pubblici per salvarlo per poi farsi eleggere proprio a Siena...
Quando Elly Schlein parla di «opacità del governo nella scalata Mps su Mediobanca», è difficile trattenere un sorriso. Amaro, s’intende. Perché è difficile ascoltare un appello alla trasparenza proprio dalla segretaria del partito che ha portato il Monte dei Paschi di Siena dall’essere la banca più antica del mondo a un cimitero di esperimenti politici e clientelari. Una rimozione selettiva che, se non fosse pronunciata con serietà, sembrerebbe il copione di una satira. Schlein tuona contro «il ruolo opaco del governo e del Mef», chiede a Giorgetti di presentarsi immediatamente in Parlamento, sventola richieste di trasparenza come fossero trofei morali. Ma evita accuratamente di ricordare che l’opacità vera, quella strutturale, quella che ha devastato la banca, porta un marchio indelebile: il Pci e i suoi eredi. Un marchio inciso nella pietra di Rocca Salimbeni, dove negli anni si è consumato uno dei più grandi scempi finanziari della storia repubblicana. Un conto finale da 8,2 miliardi pagato dallo Stato, cioè dai contribuenti, mentre i signori del «buon governo» locale si dilettavano con le loro clientele.







