
Parla l'allora capo di Finmeccanica, Pier Francesco Guarguaglini: «Alla vigilia dell'attacco al Raìs avevamo accordi per elicotteri, treni e il sistema di difesa dei confini. Se Silvio Berlusconi avesse lasciato il testimone a Gianni Letta, la storia sarebbe stata diversa».«Atterrammo con l'aereo nel deserto, ci venne incontro un uomo in giacca e cravatta. Era il capo dei Tuareg nel sud della Libia. Mi disse che i suoi uomini controllavano egregiamente il territorio e che le nostre apparecchiature avrebbero integrato bene questa attività». Pier Francesco Guarguaglini ha da poco compiuto 81 anni, ma non ha perso lo smalto con cui ha gestito, come amministratore delegato e presidente, per più di un decennio il nostro colosso della Difesa, Finmeccanica, adesso Leonardo. Nella sua casa nel centro di Roma, a pochi passi da piazza Venezia, racconta gli anni precedenti alla guerra in Libia, quel 2011 che però segnò anche la fine del governo di centrodestra di Silvio Berlusconi come il cambio ai vertici di Finmeccanica. Proprio in quegli anni Guargualini veniva travolto da una tempesta di inchieste giudiziarie. Alla fine i sette processi sono ormai finiti nel dimenticatoio delle Procure, tra archiviazioni o prescrizioni. Nessuna accusa è stata provata. Un passato da scienziato («Ricordo ancora negli anni Settanta le visite negli Stati Uniti e in Unione Sovietica»), ora l'ingegnere si limita a osservare quello che accade in Italia, anche con un certo distacco. «Non ho visto il piano industriale di Alessandro Profumo», spiega subito alla Verità. «Comunque credo che all'azienda occorra una visione globale di lungo periodo». Guarguaglini non commenta neppure le oscillazioni del titolo in Borsa degli ultimi mesi. «Ma lasci stare la Borsa! Non sono numeri indicativi, sono legati a chi vuole speculare. Un aspetto importante dell'attuale situazione è aver perso il controllo della società americana, la Drs. La Finmeccanica ha perso totalmente il controllo, perché gli americani convinsero Giuseppe Orsi a lasciare tutto come proxy». Ma è sulla Libia che affiorano i ricordi, soprattutto dopo il fermo dell'ex presidente Nicolas Sarkozy per un finanziamento da 20 milioni di euro da parte di Muammar Gheddafi. Quel 2011 Guarguaglini lo ricorda bene, sia prima sia dopo la decisione di intervenire in guerra da parte della Francia e con l'intervento decisivo dell'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. L'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi era sotto attacco su più fronti, dalla magistratura fino all'Europa. «Ecco, forse all'epoca Berlusconi avrebbe potuto lasciare il testimone a un suo uomo di fiducia come Gianni Letta: la storia avrebbe avuto un altro corso». Del resto la guerra ha distrutto tutto e oltre a morti e feriti, ha portato le bandiere dell'Isis in Cirenaica. Non solo ha incrementato gli sbarchi di migranti sulle nostre coste ma ha pure fatto perdere all'Italia importanti interessi economici, nel settore petrolifero e anche in quello legato alle infrastrutture strategiche. Come erano i rapporti con la Francia in quegli anni? «All'epoca io andavo spesso all'Eliseo e lì parlavo di politica industriale con Claude Gueant, il Gianni Letta di Sarkozy. Ora ho visto che è stato anche lui coinvolto nello scandalo sui soldi ricevuti da Gheddafi». Finmeccanica era molto impegnata su quel territorio. Di che cifre parliamo, quanto valevano le commesse in Libia? «Si prevedeva, negli anni successivi, di prendere ordini del valore di 5-10 miliardi di euro».Come? «Innanzitutto c'era una storica fabbrica di Agusta Westland, a 20 chilometri da Tripoli. Produceva elicotteri per il civile, tra cui le eliambulanze». Poi? «In quegli anni era partito in Libia un grande progetto per realizzare linee ferroviarie. Era un progetto ambizioso, volevano coprire tutta la costa dalla Tunisia all'Egitto, una parte della commessa se l'erano aggiudicata i cinesi e i russi, ma noi partecipavamo con una quota grazie ad Ansaldo Sts. In più gli fornimmo in prestito un convoglio di Ansaldo Breda, che usarono per l'inaugurazione di cinque chilometri di binari». E quel convoglio dove è finito? «Bella domanda, a fine agosto 2010 glielo cedemmo gratis, poi dopo la guerra credo sia rimasto lì. Fu usato durante la visita di Berlusconi. Ricordo tutti gli operai cinesi che ci salutavano lungo la linea ferroviaria con le bandierine, mentre i nostri lavoratori italiani ci attendevano all'arrivo». Poi il contratto per il pattugliamento dei confini. «Sì, quello era molto importante. In pratica fornivamo alla Libia le apparecchiature per sorvegliare i confini con il Ciad, il Niger e l'Algeria. Lì la situazione per i libici era storicamente difficile». Algeria, Niger e Ciad, tutti stati molto vicini ai francesi. Magari non volevano i nostri satelliti su quei confini? «Guardi io andai a trovare il capo dei Tuareg nel deserto, a Sahra Awbari. Mi accolse in giacca e cravatta quando scesi dall'aereo con mia moglie. Mi disse subito che loro già controllavano il territorio benissimo. Fu critico con Gheddafi, perché il Raìs voleva che si sviluppassero le città, mentre lui era affezionato alle oasi nel deserto. La sua era bellissima, verde e lussureggiante, con persino mucche olandesi al pascolo! Parlammo a lungo di come potevamo aiutarli. Mi portò anche sulla torre del forte di Ghat, roccaforte costruita dall'Italia per i nostri soldati; da lì si potevano vedere i confini della Liba con l'Algeria». E poi? (ride) «Il giorno dopo non lo riconobbi neppure, perché si era vestito da vero tuareg, con la faccia coperta e il turbante azzurro. Con il governo libico facemmo un accordo per la fornitura di un sistema di sorveglianza dei confini del valore di 300 milioni di euro. Era composto da radar, sensori a infrarosso e centri di comando e controllo; comprendeva anche mezzi di trasporto ed equipaggiamenti per le truppe». In seguito cosa accadde? «La fornitura doveva essere pagata per metà dal governo libico e per metà dal governo italiano. I libici nicchiavano e non si andava avanti. Poi, un giorno, l'ambasciatore libico, mi disse che Sarkozy aveva promesso a Gheddafi che la parte libica sarebbe stata pagata dalla Comunità europea. Finmeccanica fece le verifiche a Bruxelles e risultò che non vi era alcun stanziamento previsto. Sa come finì?». Me lo dica «I 300 milioni di euro li pagammo tutti noi».Si trattava di un sistema all'avanguardia? «Certo, era del tipo del sistema Vts usato per controllare le coste italiane». Ma la fornitura, la faceste? «In parte, cominciando a spedire gli apparati radar e a infrarossi. Dopo la caduta di Gheddafi, incontrai i rappresentanti del nuovo governo libico che mi disse che la fornitura era immagazzinata a Bengasi. Poi non ho saputo più nulla». Ma i vostri contatti con i servizi sul territorio non vi avevano avvisato della possibilità di una guerra? «Personalmente sono stato colto di sorpresa da quegli eventi. Mi ricordo che alcuni mesi prima delle sommosse, quando già si erano avuti moti in Egitto e Tunisia, parlando con amici americani, fu escluso che cose simili potessero avvenire il Libia».
Stadio di San Siro (Imagoeconomica)
Ieri il Meazza è diventato, per 197 milioni, ufficialmente di proprietà di Milan e Inter. Una compravendita sulla quale i pm ipotizzano una turbativa d’asta: nel mirino c’è il bando, contestato da un potenziale acquirente per le tempistiche troppo strette.
Azione-reazione, come il martelletto sul ginocchio. Il riflesso rotuleo della Procura di Milano indica un’ottima salute del sistema nervoso, sembra quello di Jannik Sinner. Erano trascorsi pochi minuti dalla firma del rogito con il quale lo stadio di San Siro è passato dal Comune ai club Inter e Milan che dal quarto piano del tribunale è ufficialmente partita un’inchiesta per turbativa d’asta. Se le Montblanc di Paolo Scaroni e Beppe Marotta fossero state scariche, il siluro giudiziario sarebbe arrivato anche prima delle firme, quindi prima dell’ipotetica fattispecie di reato. Il rito ambrosiano funziona così.
Lo ha detto il vicepresidente esecutivo della Commissione europea per la Coesione e le Riforme Raffaele Fitto, a margine della conferenza stampa sul Transport Package, riguardo al piano di rinnovamento dei collegamenti ad alta velocità nell'Unione Europea.
Mario Venditti (Ansa)
Dopo lo scoop di «Panorama», per l’ex procuratore di Pavia è normale annunciare al gip la stesura di «misure coercitive», poi sparite con l’istanza di archiviazione. Giovanni Bombardieri, Raffaele Cantone, Nicola Gratteri e Antonio Rinaudo lo sconfessano.
L’ex procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, è inciampato nei ricordi. Infatti, non corrisponde al vero quanto da lui affermato a proposito di quella che appare come un’inversione a «u» sulla posizione di Andrea Sempio, per cui aveva prima annunciato «misure coercitive» e, subito dopo, aveva chiesto l’archiviazione. Ieri, l’ex magistrato ha definito una prassi scrivere in un’istanza di ritardato deposito delle intercettazioni (in questo caso, quelle che riguardavano Andrea Sempio e famiglia) che la motivazione alla base della richiesta sia il fatto che «devono essere ancora completate le richieste di misura coercitiva». Ma non è così. Anche perché, nel caso di specie, ci troviamo di fronte a un annuncio al giudice per le indagini preliminari di arresti imminenti che non arriveranno mai.
Alessia Pifferi (Ansa)
Cancellata l’aggravante dei futili motivi e concesse le attenuanti generiche ad Alessia Pifferi: condanna ridotta a soli 24 anni.
L’ergastolo? È passato di moda. Anche se una madre lascia morire di stenti la sua bambina di un anno e mezzo per andare a divertirsi. Lo ha gridato alla lettura della sentenza d’appello Viviana Pifferi, la prima accusatrice della sorella, Alessia Pifferi, che ieri ha schivato il carcere a vita. Di certo l’afflizione più grave, e che non l’abbandonerà finché campa, per Alessia Pifferi è se si è resa conto di quello che ha fatto: ha abbandonato la figlia di 18 mesi - a vederla nelle foto pare una bambola e il pensiero di ciò che le ha fatto la madre diventa insostenibile - lasciandola morire di fame e di sete straziata dalle piaghe del pannolino. Nel corso dei due processi - in quello di primo grado che si è svolto un anno fa la donna era stata condannata al carcere a vita - si è appurato che la bambina ha cercato di mangiare il pannolino prima di spirare.






