Gestire senza uccidere l’economia. Scommessa contro il modello cinese
Quella del coronavirus sarà una lunga maratona, non uno sprint sui 100 metri. Da questo punto di vista, rimanendo freddi, occorrerebbe valutare lucidamente i diversi approcci messi in campo da vari Paesi, evitando di fermarsi su una sola soluzione, essendo pronti ad adattamenti continui, e avendo come bussola il dubbio e la ricerca, più che le certezze granitiche e pregiudiziali.
Non sembra andare in questa direzione la discussione pubblica italiana: siamo purtroppo il Paese che detiene il tragico record dei morti, eppure si coglie la demonizzazione di qualunque impostazione alternativa, accompagnata dal rituale attacco a Donald Trump e Boris Johnson.
Il primo modello - che il governo italiano ha preso come riferimento - è quello cinese. Blocco totale di un territorio (lì, una porzione percentualmente piccola; qui, tutto il Paese) e divieti assoluti. È uno schema congeniale a un sistema centralizzato e autoritario, a un regime che non esita ad applicare la legge marziale: il punto è capire quanto possa essere riprodotto in una società libera e interconnessa. Qualche giorno fa, il presidente Xi Jinping si è presentato a Wuhan marcando con il suo arrivo la fine della fase peggiore. La macchina della propaganda ha fatto il resto: occultamento delle responsabilità di Pechino nella diffusione delle informazioni e nella circolazione del virus; tentativo di rovesciare la narrazione, presentando la Cina come il Paese che ha sconfitto il morbo; e gran lavorio per attrarre altri nella propria orbita geopolitica (Italia in testa, con l'operazione dell'arrivo a Roma dei medici).
Il secondo modello - asiatico ma non autoritario né dittatoriale - è quello ipertecnologico della Corea del Sud, basato sull'individuazione superprecisa dei potenziali positivi, sulla loro geolocalizzazione e tracciamento costante, con un numero enorme di tamponi effettuati e quarantene rigide ma ultramirate. L'elevata disponibilità di posti in rianimazione ha corroborato questo approccio, che, a fronte di un numero altissimo di contagiati, ha prodotto meno vittime che in Italia.
Il terzo modello è quello Usa, che potremmo considerare un innalzamento a potenza dello schema sudcoreano. Donald Trump, fino a 48 ore fa, aveva assunto toni di sottovalutazione, che l'altra sera ha però capovolto mettendo in campo un programma impressionante. Il piano prevede: un sito realizzato da Google per una prima verifica casalinga sui sintomi (e sulla necessità di effettuare il test); la possibilità di fare il test nei parcheggi auto messi a disposizione dai supermercati (come Walmart e Walgreens); test ultrarapidi predisposti dalla Roche e da altre compagnie; partnership con laboratori e assicurazioni. Il tutto con una sistematica collaborazione pubblico-privato: Trump era circondato, mentre faceva l'annuncio, dai vertici di aziende e compagnie. E, alla fine del suo discorso, Wall Street è schizzata verso l'alto. Trump prevede 50 miliardi di dollari di stanziamenti, oltre al blocco dei voli dall'Europa.
Il quarto modello è quello britannico. I media italiani hanno spesso distorto le frasi di Boris Johnson, che non ha affatto detto che occorrerà «abituarsi» a perdere vite, ma ha preparato la popolazione anche allo scenario più cupo. Quella di Londra è una scommessa, ovviamente avallata dal comitato scientifico che affianca il governo: per il momento, non blindare tutto (ma nei prossimi giorni ci sarà lo stop agli eventi pubblici e non si escludono altre chiusure), nella convinzione che comunque il virus circolerà. Autoisolamento di 7 giorni per chiunque abbia febbre leggera, tosse, raffreddore. E puntare ad allontanare di diverse settimane il picco, evitando che gli ospedali siano subito congestionati. Non è ovviamente detto che la scommessa funzioni: ma l'obiettivo è proprio quello di concentrare le risorse del sistema sanitario sui più deboli.
Nessuno può sapere quale modello darà la prova migliore. Gli ultimi tre tentano di gestire l'emergenza e di non ammazzare l'economia. Vale la pena di provare a capire, prima di giudicare.





