2024-03-28
I dubbi (censurati) dell’Iss tedesco su lockdown, mascherine e vaccini
Obbligo di mascherina a Hessel (Getty Images)
Pubblicati in Germania i verbali del Koch Institut. Nelle loro riunioni, gli esperti esprimevano dubbi su chiusure, vaccini, obbligo di Ffp2 e super green pass: «Tecnicamente ingiustificabili». E adesso il caso scuote persino i vertici del Bundestag.In Italia sono 1.500 gli operatori arruolati nel 2020 in carceri e Rsa mai regolarizzati e dimenticati.Lo speciale contiene due articoli.In Germania li chiamano «protocolli esplosivi». Sono l’equivalente tedesco dei verbali della task force anti Covid, che a giugno 2021 il ministero della Salute italiano dovette desecretare, per effetto di una sentenza del Tar. Le 1.000 pagine del Robert Koch Institut (Rki), la massima autorità di vigilanza sulle malattie infettive con sede a Berlino (è tipo il nostro Iss), contengono ancora molti omissis. Ma ciò che è stato reso pubblico, grazie alla causa intentata dalla rivista online Multipolar, ha attirato l’attenzione delle testate nazionali (la Bild, lo Spiegel, Zdf), del numero due del Bundestag e di rappresentanti di spicco della Cdu. Si è scoperto, infatti, che mentre il governo federale seguiva la strada di chiusure e mascherine coatte, poi delle vaccinazioni a tappeto e del super green pass, gli esperti, tra di loro, esprimevano dubbi sulle varie misure antivirus. Non sono dettagli, considerato il costo economico dei diktat e la frattura che i divieti, gli obblighi e la discriminazione di chi rifiutava le dosi hanno provocato nelle società e nella loro ossatura costituzionale. Siamo a dicembre 2020: il 16 di quel mese, Angela Merkel decide per il secondo lockdown. Gli scienziati del Rki appaiono preoccupati dal blocco delle attività produttive. E osservano: «I lockdown talvolta hanno conseguenze più gravi del Covid stesso». In mente, in quel momento, hanno l’Africa. Per le regioni meno sviluppate, fermare il lavoro significa morire di fame. Le chiusure hanno un impatto insostenibile sugli indigenti, che spesso sono anche quelli che vivono in zone con servizi sanitari inadeguati. Fatto sta che il commento dei tecnici, lapidario, definitivo, poteva attagliarsi altrettanto bene all’Europa o agli Stati Uniti: da noi, quanta gente ha perso il posto in quei mesi terribili? Quanti ristoratori, baristi, albergatori, sono stati rovinati dai domiciliari voluti dall’esecutivo di Giuseppe Conte e Roberto Speranza? Quel provvedimento ha rovinato migliaia di persone, ma non ha ridotto né le infezioni né le vittime. Poche settimane prima, il 30 ottobre 2020, i saggi del Robert Koch manifestano serie perplessità anche sull’altro dogma dell’era pandemia: le Ffp2. «Non ci sono prove», ammettono nei verbali, per consigliarne l’impiego «al di fuori della sicurezza sul lavoro». Peccato che, proprio in quel periodo, le regole si stessero facendo ovunque più rigorose. Alcuni Länder, anzi, non si accontentavano di chiedere che le persone si coprissero in qualche modo naso e bocca; pretendevano proprio la Ffp2. Ai lettori della Verità, la smitizzazione delle mascherine non suonerà certo nuova. La pietra tombale sull’utilità di renderle ovunque obbligatorie l’ha messa una celebre rassegna Cochrane. Le ragioni del fiasco dei bavagli sono tante e vanno dalla necessità che se ne faccia un utilizzo corretto, al loro frequente ricambio. I protocolli del Rki, però, forniscono un motivo in più d’indignazione: gli scienziati, infatti, sapevano a priori che le Ffp2 sarebbero state un feticcio, utili al massimo in contesti circoscritti.I «competenti» erano titubanti persino sui vaccini, in particolare il preparato di Astrazeneca. Già l’8 gennaio 2021, quindi prima che partisse l’affannosa rincorsa a immunizzare i cittadini - si fa per dire, dato che nessun farmaco era in grado di impedire la circolazione del virus - la squadra del Koch Institut avvisa che «occorre discutere» di quel farmaco, considerato «meno perfetto» e «meno sicuro». Il gruppo suggerisce di restringerne la somministrazione e rileva che i dati relativi agli anziani scarseggiano. A inizio marzo, però, la Stiko, la commissione sui vaccini, lo raccomanda a tutte le fasce d’età. Più in là, anche Berlino deciderà di limitarne l’uso; come l’Italia, dove, però, dovranno prima morire di trombosi insegnanti e agenti giovani e sani, oltre alla diciottenne Camilla Canepa.Nell’imbarazzante faldone, non può mancare una sezione dedicata al «modello 3G»: geimpft (vaccinato), genesen (guarito), getestet (testato). In breve, il super green pass di Germania e Austria.Il 5 marzo 2021, il team del Rki sottolinea che le speciali esenzioni garantite a chi si è sottoposto alle inoculazioni «non sono tecnicamente giustificabili». Il certificato che comprova la vaccinazione, affermano gli epidemiologi, non può «costituire la base» per la suddivisione dei cittadini in «categorie» alle quali conferire «privilegi». Per capirci: in termini scientifici, non c’era motivo di permettere a un vaccinato di salire su un autobus, lasciando a terra un renitente. Checché ne pensasse Mario Draghi, il green pass non dava affatto «la garanzia di trovarsi tra persone che non sono contagiose».Il Robert Koch Institut non è stato prodigo di spiegazioni su queste carte. Ha risposto in merito alla querelle che è sorta a proposito di una modifica alla valutazione del rischio, da moderato ad alto, inserita a marzo 2020 da un soggetto il cui nome è stato sbianchettato. L’ente assicura che si trattava di un suo dipendente e non di un esponente del governo federale: valutazione tecnica, dunque, non politica.Cosa insegna il caso scoppiato in Germania? Quanto ai contenuti, non molto invero: che affidarsi a lockdown, mascherine e green pass fosse una forma di superstizione, ormai, dovrebbero averlo capito pure le pietre. Eppure, in giro, c’è ancora chi sostiene che quella della lotta al Covid sia «una storia da rivendicare» (parola di Speranza). Ciò che continua a emergere, ovvero le opacità degli organismi con ruoli decisionali, le anomalie nella catena di trasmissione tra esperti e politici, le dissonanze tra le perplessità confessate in segreto e il dogmatismo adottato in pubblico, a tratti violento, dimostra per l’ennesima volta quanto sia opportuno insistere affinché venga a galla tutta la verità. L’abbiamo archiviata quasi fosse stata una parentesi accidentale, ma la pandemia è stata uno degli eventi più importanti di un’epoca in cui la storia si muove a ritmi accelerati.Ironia della sorte, dei documenti del Koch si è appreso qualcosa solo grazie alla pertinacia di un magazine di solito screditato, poiché vicino all’estrema destra e pure un tantino filorusso. In modo analogo, qui, i verbali della task force sono spuntati grazie all’impegno di Galeazzo Bignami, di Fdi, che s’è preso la briga di rivolgersi al tribunale. Dov’era la grande stampa? Dov’erano i giornalisti «cani da guardia» della democrazia? Troppo impegnati a fare i cani da compagnia del potere?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/germania-inchiesta-covid-2667622353.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="oss-scaricati-a-fine-emergenza-per-lo-stato-sono-dei-volontari" data-post-id="2667622353" data-published-at="1711617629" data-use-pagination="False"> Oss scaricati a fine emergenza: per lo Stato sono dei «volontari» Chiamati a prestare servizio in piena emergenza Covid nei posti più esposti ai contagi, come carceri e case di riposo, e poi lasciati senza lavoro. È quanto accaduto a 1.500 operatori sanitari che, nell’aprile del 2020, furono arruolati dalla protezione civile tramite un bando apposito in tutta Italia. All’epoca, il Paese era appena entrato nel caos pandemico. Gli Oss in questione, scriveva il bando, avrebbero dovuto essere impiegati fino fino al 31 luglio 2020, presunto termine dello stato di emergenza. In realtà, come sappiamo, l’emergenza si protrasse, terminando ufficialmente il 31 marzo 2022. Ma alcuni dei 1.500 operatori continuarono a lavorare anche oltre, maturando dai 18 ai 32 mesi di servizio. In cui lavoravano su turni, anche notturni, con appositi badge e timbrando i cartellini a inizio e fine giornata, spesso con un solo giorno di riposo settimanale. Dei dipendenti al servizio dello Stato a tutti gli effetti, che tuttavia per anni non hanno ricevuto un regolare stipendio, ma dei rimborsi spesa, senza il regolare versamenti dei contributi previdenziali. Un pasticcio burocratico comprensibile nei primi mesi dell’emergenza, ma che sarebbe dovuto essere sanato nei periodi successivi. Il vero schiaffo da parte dello Stato, però, gli operatori l’hanno ricevuto quando hanno richiesto di essere stabilizzati, come altri migliaia di sanitari assunti grazie alla Legge di Bilancio per il 2022. Questa normativa, volta a favorire i cosiddetti «precari del Covid», ossia il personale medico che ha prestato servizio all’indomani dello scoppio dalla pandemia e durante, ha accorciato il periodo di servizio utile per far sorgere il diritto alla trasformazione del contratto precario in indeterminato. Il precedente decreto Madia richiedeva infatti 24 mesi di lavoro, poi ridotti a 18, anche non continuativi. Parametri in cui rientrano i 1.500 operatori utilizzati in carceri e Rsa, ma che non vengono loro riconosciuti. La stabilizzazione infatti spetta ai professionisti che abbiano lavorato alle dipendenze del Ssn, rapporto non riconosciuto agli Oss arruolati tramite il bando della Protezione civile, classificati come «volontari». Un cavillo burocratico che impedisce a 1.500 operatori di essere assunti e poter lavorare, dopo anni di servizio. «È un’ingiustizia», spiega Barbara Facco, coordinatrice nazionale Oss della Uil Fpl, «queste persone hanno lavorato, reclutate sì dalla protezione civile, ma sotto le direttive del servizio sanitario nazionale. Auspichiamo quindi un intervento normativo a livello nazionale, anche perché ci sono diversità importanti su base regionale che rischiano di determinare conseguenze a macchia di leopardo». Intervento che, malgrado i numerosi appelli da parte degli operatori sanitari e l’interesse anche della politica, con diverse interrogazioni parlamentari, ha preso la forma di un eterno scaricabarile tra il ministero della Giustizia (per i sanitari impegnati nelle carceri) e quello della Salute. «Assurdo siano escluse figure di cui si è ancora alla spasmodica ricerca. In Veneto, per esempio, c’è una carenza stimata di quasi 5.000 Oss. A fronte di questa carenza, la questione di questo gruppo di persone formate, che ha avuto esperienza lavorativa e addestramento, ma che non vengono riconosciuti, va fatta riflessione», conclude Facco. Persone, prima celebrate come eroi, alle quali ora non è riconosciuto nemmeno il diritto a percepire l’assegno di disoccupazione. Come se il loro impegno non fosse mai esistito.