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2023-09-22
«I genomi dei vaccinati vanno controllati»
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«È verosimile. Il Dna fa da stampo opposto per la produzione di mRna e, andando di fretta, il filamento rimane. Se intero, difficilmente viene integrato, invece una volta spezzettato singoli frammenti/geni possono entrare nella cellula e finire nel nostro Dna. Le conseguenze possono essere alterazioni funzionali, quanto afferma Buckhaults è allarmante», commenta Mariano Bizzarri, oncologo, professore di patologia clinica all’Università La Sapienza di Roma.
Le dichiarazioni dell’esperto statunitense di genomica del cancro, Phillip Buckhaults, sul vaccino a mRna di Pfizer contaminato da Dna, riportate ieri dalla Verità, pongono nuovi interrogativi sulla sicurezza di questi farmaci. Il professore, grande sostenitore dei vaccini e della piattaforma a mRna, davanti alla commissione per gli affari medici del Senato della Carolina del Sud ha detto che frammenti di Dna estraneo potrebbero inserirsi nel genoma di una persona, diventando un «elemento permanente della cellula». A seconda di dove finisce «può interrompere un gene soppressore del tumore, o attivare un oncogene». Questa imperfezione del vaccino, che potrebbe avere conseguenze inimmaginabili, per Buckhaults è dovuta a «scorciatoie», alla fretta di produrne quantitativi enormi.
Tralasciando la procedura iniziale, che utilizzava un metodo chiamato reazione a catena della polimerasi (Pcr), quando Pfizer ha voluto potenziare la distribuzione su larga scala del vaccino, per produrre l’mRna sintetico avrebbe utilizzato grandi quantità di plasmide purificato dai batteri, ma che ancora conteneva Dna plasmidico. Il prodotto finale non era puro, conteneva sia Dna plasmidico, sia mRna.
L’aggiunta di un enzima per frantumare le molecole di Dna extracromosomico e risolvere, così, la «contaminazione del vaccino», avrebbe «aumentato il rischio di modificazione del genoma nel processo», ha dichiarato l’esperto, profondo conoscitore anche di biochimica e biologia molecolare.
«Non è sorprendente che ci sia Dna nel vaccino», commenta a titolo personale Maurizio Federico, biologo ed esperto di virologia sperimentale, responsabile del Centro per la salute globale presso l’Istituto superiore della sanità. «Non è contaminazione, ma il normale residuo della produzione dell’mRna attraverso la Ivt», la tecnica della trascrizione in vitro. Federico spiega che «le case farmaceutiche ne denunciano la presenza in un rapporto ponderale di circa 1:1000 rispetto all’mRna», però che il metodo di «purificazione post-Ivt (tangential ultrafiltration) non ne permette l’eliminazione. Noi stessi lo vedemmo in una analisi elettroforetica sul vaccino di Moderna. Sicuramente i rapporti mRna/Dna possono variare a seconda dei lotti, in relazione all’efficienza dell’Ivt».
Bizzarri condivide la raccomandazione dell’esperto statunitense di genomica del cancro, di sottoporre le persone vaccinate «a test per vedere se parte del Dna estraneo si è integrato nel genoma delle loro cellule staminali». L’oncologo dichiara che «non è una tecnica difficile. Si può prendere un campione di popolazione vaccinata e verificare se ci sono frammenti di questo Dna, di cui conosciamo le sequenze». Per capire il meccanismo, si può immaginare il nostro Dna come un libro scritto in italiano, con integrate frasi in inglese. Basta ricercare le «foreste» con una scansione, e si trovano. Così, semplificando al massimo, vengono rilevate tracce di Dna plasmidico eventualmente integrato nel nostro Dna. Bizzarri ipotizza che «se si inseriscono delle sequenze che producono la Spike, potrebbero essere cellule nostre a produrla». Ma potrebbe accadere di peggio. Sempre utilizzando l’immagine di un libro, si troverebbero frammenti di parole inglesi inseriti a metà di una frase in italiano «e quindi non più comprensibile. Pensando a segmenti genici, le conseguenze sarebbero incalcolabili».
Buckhaults si è detto preoccupato perché il Dna «è un dispositivo di memorizzazione delle informazioni di lunga durata. È ciò con cui sei nato, con cui morirai e lo trasmetterai ai tuoi figli […] Quindi le alterazioni del Dna… beh, rimangono». Il dottor Federico individua il problema del Dna «nella bio distribuzione che può essere ubiquitaria, vista la sua associazione alle nanoparticelle con conseguente efficiente ingresso in qualsiasi cellula, essendo in grado di andare in circolo dopo l’inoculo. Quindi ogni cellula può essere target di questo Dna». Precisa che «questi plasmidi non avrebbero teoricamente capacità di integrarsi nel Dna genomico», anche se «in ogni caso andrebbe verificato». Però «sicuramente riescono a codificare per Spike a lungo, avendo una emivita all’interno della cellula ben più estesa di qualsiasi mRna seppur modificato, e ad alti livelli». Quindi, il problema non sarebbe tanto la presenza (denunciata) del Dna, «ma il fatto che non se ne è mai voluto indagare biodistribuzione/genotossicità e cancerogenicità. Solo indagando, si può capire», conclude l’esperto. E sottolinea come non si possa trascurare «il vaccino di Astrazeneca, che si basa tutto e solo su tecnologia a Dna, ben più grande di dimensioni (più di dieci volte rispetto a quello presente nei vaccini Pfizer/Moderna), e con quantità enormemente più consistenti».
Roma, finestra cade su una maestra. Ma si continua a pensare ai bavagli
Le scuole sono iniziate da poco più di sette giorni in tutta Italia e come ogni anno i problemi non fanno che aumentare. Se ne potrebbe stilare un elenco infinito, ma su tutti resta quello delle strutture: gli edifici scolastici cadono letteralmente a pezzi. A Roma, per esempio, si è sfiorata l’ennesima tragedia. A un’insegnante di una scuola primaria del quadrante sud è crollata una finestra addosso nel tentativo di aprirla per arieggiare l’aula mensa. La donna è stata portata in ospedale e fortunatamente non è grave. «Ma se fosse successo a un bambino, forse, non avremmo potuto dire la stessa cosa», ha denunciato una madre che nel vedere i sanitari del 118 davanti all’istituto ha pensato al peggio.
Sul posto una squadra di tecnici ha effettuato subito dopo due sopralluoghi. «Uno a poche ore dal crollo e un altro tre giorni fa», ha spiegato l’assessore alla scuola e vicepresidente del VII Municipio, Marcello Morlacchi, che è già in possesso della prima relazione. «Si tratta di infissi installati nove anni fa dalla Regione. Il crollo non è stato provocato dall’incuria: hanno un gancio che, sottoposto al peso della finestra, a volte può risultare difettoso. E in alcuni casi le maniglie sono montate al contrario». Ancora più grave che degli infissi installati appena nove anni fa siano così precari, perché va ricordato che la maggior parte delle scuole italiane non hanno la fortuna di aver ricevuto ristrutturazioni così «recenti». E fa rabbia pensare che sia successo in una delle scuole che invece sono riuscite ad avere i fondi per ammodernare le proprie strutture. E ora cosa si fa? Le finestre dell’edificio coinvolto entro il 26 di settembre verranno controllate, ma nel frattempo rimarranno tutte chiuse. «Verranno aperte, ma “a bandiera” e non a vasistas, quando la mensa sarà vuota, mentre quando è piena saranno chiuse a chiave», spiega Morlacchi. «L’istituto dovrebbe essere un luogo sicuro per i nostri figli - hanno denunciato i genitori dopo la tragedia sfiorata - E invece non lo percepiamo così». Non si tratta solo di una percezione, è la cruda realtà. Le scuole spesso non sono posti sicuri per i nostri figli. Come nel Canavese, dove una scuola media è stata chiusa perché l’edificio era troppo pericoloso per rimanere aperto. Adesso i ragazzi seguono le lezioni dentro ai container. Tra gli interventi di manutenzione, le indagini diagnostiche dei solai dovrebbero risultare prioritarie, ma secondo Legambiente negli ultimi 5 anni sono state fatte solo sul 30,4% degli edifici. Il report di Cittadinanza attiva, pubblicato pochi giorni fa, riferisce che tra il settembre 2022 e l’agosto 2023, sono stati registrati 61 episodi di crollo o distacchi di intonaco nelle scuole. Alcuni studenti di Torino hanno messo in atto una piccola manifestazione alle porte dell’Istituto Erasmo da Rotterdam, a Nichelino. Nel mirino la situazione «fatiscente dell’edilizia scolastica». Uno striscione recitava «Questa scuola cade a pezzi: sotto i tetti ci sono gli studenti». Insomma i ragazzi dovrebbero presentarsi a scuola con l’elmetto perché andare a studiare è una diventata una missione dove si può rischiare anche di perdere la vita. Eppure i presidi cosa fanno all’inizio dell’anno scolastico? Continuano a protestare per riavere le mascherine nelle scuole. Nella mente ancora e solo il Covid. Potrebbe sembrare una barzelletta, ma purtroppo non lo è. I pediatri ritenevano, qualcuno fortunatamente ancora, che la scuola e i suoi bacilli fossero fondamentali per rinforzare i sistemi immunitari dei piccoli studenti. Con le mascherine abbiamo visto che questa mancanza di «allenamento» li ha resi molto più fragili. Malattie apparentemente normali sono ritornate nelle classi in modo molto più aggressivo. Esemplare fu il virus sinciziale, responsabile di moltissime ospedalizzazioni l’autunno scorso e quello precedente. Ai presidi non importa, loro chiedono le mascherine, mentre intorno tutto crolla.
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L’oncologo Mariano Bizzarri condivide la preoccupazione di Buckhaults sui residui di Dna nei sieri a mRna: «Problema serio, sono necessari esami a campione». Il biologo Maurizio Federico conferma: «Mai fatti studi accurati, fenomeno da indagare pure nei farmaci Astrazeneca».L’ennesimo caso dimostra la vera urgenza per le scuole: la sicurezza, non le mascherine. Lo speciale contiene due articoli.«È verosimile. Il Dna fa da stampo opposto per la produzione di mRna e, andando di fretta, il filamento rimane. Se intero, difficilmente viene integrato, invece una volta spezzettato singoli frammenti/geni possono entrare nella cellula e finire nel nostro Dna. Le conseguenze possono essere alterazioni funzionali, quanto afferma Buckhaults è allarmante», commenta Mariano Bizzarri, oncologo, professore di patologia clinica all’Università La Sapienza di Roma.Le dichiarazioni dell’esperto statunitense di genomica del cancro, Phillip Buckhaults, sul vaccino a mRna di Pfizer contaminato da Dna, riportate ieri dalla Verità, pongono nuovi interrogativi sulla sicurezza di questi farmaci. Il professore, grande sostenitore dei vaccini e della piattaforma a mRna, davanti alla commissione per gli affari medici del Senato della Carolina del Sud ha detto che frammenti di Dna estraneo potrebbero inserirsi nel genoma di una persona, diventando un «elemento permanente della cellula». A seconda di dove finisce «può interrompere un gene soppressore del tumore, o attivare un oncogene». Questa imperfezione del vaccino, che potrebbe avere conseguenze inimmaginabili, per Buckhaults è dovuta a «scorciatoie», alla fretta di produrne quantitativi enormi. Tralasciando la procedura iniziale, che utilizzava un metodo chiamato reazione a catena della polimerasi (Pcr), quando Pfizer ha voluto potenziare la distribuzione su larga scala del vaccino, per produrre l’mRna sintetico avrebbe utilizzato grandi quantità di plasmide purificato dai batteri, ma che ancora conteneva Dna plasmidico. Il prodotto finale non era puro, conteneva sia Dna plasmidico, sia mRna. L’aggiunta di un enzima per frantumare le molecole di Dna extracromosomico e risolvere, così, la «contaminazione del vaccino», avrebbe «aumentato il rischio di modificazione del genoma nel processo», ha dichiarato l’esperto, profondo conoscitore anche di biochimica e biologia molecolare.«Non è sorprendente che ci sia Dna nel vaccino», commenta a titolo personale Maurizio Federico, biologo ed esperto di virologia sperimentale, responsabile del Centro per la salute globale presso l’Istituto superiore della sanità. «Non è contaminazione, ma il normale residuo della produzione dell’mRna attraverso la Ivt», la tecnica della trascrizione in vitro. Federico spiega che «le case farmaceutiche ne denunciano la presenza in un rapporto ponderale di circa 1:1000 rispetto all’mRna», però che il metodo di «purificazione post-Ivt (tangential ultrafiltration) non ne permette l’eliminazione. Noi stessi lo vedemmo in una analisi elettroforetica sul vaccino di Moderna. Sicuramente i rapporti mRna/Dna possono variare a seconda dei lotti, in relazione all’efficienza dell’Ivt».Bizzarri condivide la raccomandazione dell’esperto statunitense di genomica del cancro, di sottoporre le persone vaccinate «a test per vedere se parte del Dna estraneo si è integrato nel genoma delle loro cellule staminali». L’oncologo dichiara che «non è una tecnica difficile. Si può prendere un campione di popolazione vaccinata e verificare se ci sono frammenti di questo Dna, di cui conosciamo le sequenze». Per capire il meccanismo, si può immaginare il nostro Dna come un libro scritto in italiano, con integrate frasi in inglese. Basta ricercare le «foreste» con una scansione, e si trovano. Così, semplificando al massimo, vengono rilevate tracce di Dna plasmidico eventualmente integrato nel nostro Dna. Bizzarri ipotizza che «se si inseriscono delle sequenze che producono la Spike, potrebbero essere cellule nostre a produrla». Ma potrebbe accadere di peggio. Sempre utilizzando l’immagine di un libro, si troverebbero frammenti di parole inglesi inseriti a metà di una frase in italiano «e quindi non più comprensibile. Pensando a segmenti genici, le conseguenze sarebbero incalcolabili». Buckhaults si è detto preoccupato perché il Dna «è un dispositivo di memorizzazione delle informazioni di lunga durata. È ciò con cui sei nato, con cui morirai e lo trasmetterai ai tuoi figli […] Quindi le alterazioni del Dna… beh, rimangono». Il dottor Federico individua il problema del Dna «nella bio distribuzione che può essere ubiquitaria, vista la sua associazione alle nanoparticelle con conseguente efficiente ingresso in qualsiasi cellula, essendo in grado di andare in circolo dopo l’inoculo. Quindi ogni cellula può essere target di questo Dna». Precisa che «questi plasmidi non avrebbero teoricamente capacità di integrarsi nel Dna genomico», anche se «in ogni caso andrebbe verificato». Però «sicuramente riescono a codificare per Spike a lungo, avendo una emivita all’interno della cellula ben più estesa di qualsiasi mRna seppur modificato, e ad alti livelli». Quindi, il problema non sarebbe tanto la presenza (denunciata) del Dna, «ma il fatto che non se ne è mai voluto indagare biodistribuzione/genotossicità e cancerogenicità. Solo indagando, si può capire», conclude l’esperto. E sottolinea come non si possa trascurare «il vaccino di Astrazeneca, che si basa tutto e solo su tecnologia a Dna, ben più grande di dimensioni (più di dieci volte rispetto a quello presente nei vaccini Pfizer/Moderna), e con quantità enormemente più consistenti».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/genomi-dei-vaccinati-vanno-controllati-2665715099.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="roma-finestra-cade-su-una-maestra-ma-si-continua-a-pensare-ai-bavagli" data-post-id="2665715099" data-published-at="1695371900" data-use-pagination="False"> Roma, finestra cade su una maestra. Ma si continua a pensare ai bavagli Le scuole sono iniziate da poco più di sette giorni in tutta Italia e come ogni anno i problemi non fanno che aumentare. Se ne potrebbe stilare un elenco infinito, ma su tutti resta quello delle strutture: gli edifici scolastici cadono letteralmente a pezzi. A Roma, per esempio, si è sfiorata l’ennesima tragedia. A un’insegnante di una scuola primaria del quadrante sud è crollata una finestra addosso nel tentativo di aprirla per arieggiare l’aula mensa. La donna è stata portata in ospedale e fortunatamente non è grave. «Ma se fosse successo a un bambino, forse, non avremmo potuto dire la stessa cosa», ha denunciato una madre che nel vedere i sanitari del 118 davanti all’istituto ha pensato al peggio.Sul posto una squadra di tecnici ha effettuato subito dopo due sopralluoghi. «Uno a poche ore dal crollo e un altro tre giorni fa», ha spiegato l’assessore alla scuola e vicepresidente del VII Municipio, Marcello Morlacchi, che è già in possesso della prima relazione. «Si tratta di infissi installati nove anni fa dalla Regione. Il crollo non è stato provocato dall’incuria: hanno un gancio che, sottoposto al peso della finestra, a volte può risultare difettoso. E in alcuni casi le maniglie sono montate al contrario». Ancora più grave che degli infissi installati appena nove anni fa siano così precari, perché va ricordato che la maggior parte delle scuole italiane non hanno la fortuna di aver ricevuto ristrutturazioni così «recenti». E fa rabbia pensare che sia successo in una delle scuole che invece sono riuscite ad avere i fondi per ammodernare le proprie strutture. E ora cosa si fa? Le finestre dell’edificio coinvolto entro il 26 di settembre verranno controllate, ma nel frattempo rimarranno tutte chiuse. «Verranno aperte, ma “a bandiera” e non a vasistas, quando la mensa sarà vuota, mentre quando è piena saranno chiuse a chiave», spiega Morlacchi. «L’istituto dovrebbe essere un luogo sicuro per i nostri figli - hanno denunciato i genitori dopo la tragedia sfiorata - E invece non lo percepiamo così». Non si tratta solo di una percezione, è la cruda realtà. Le scuole spesso non sono posti sicuri per i nostri figli. Come nel Canavese, dove una scuola media è stata chiusa perché l’edificio era troppo pericoloso per rimanere aperto. Adesso i ragazzi seguono le lezioni dentro ai container. Tra gli interventi di manutenzione, le indagini diagnostiche dei solai dovrebbero risultare prioritarie, ma secondo Legambiente negli ultimi 5 anni sono state fatte solo sul 30,4% degli edifici. Il report di Cittadinanza attiva, pubblicato pochi giorni fa, riferisce che tra il settembre 2022 e l’agosto 2023, sono stati registrati 61 episodi di crollo o distacchi di intonaco nelle scuole. Alcuni studenti di Torino hanno messo in atto una piccola manifestazione alle porte dell’Istituto Erasmo da Rotterdam, a Nichelino. Nel mirino la situazione «fatiscente dell’edilizia scolastica». Uno striscione recitava «Questa scuola cade a pezzi: sotto i tetti ci sono gli studenti». Insomma i ragazzi dovrebbero presentarsi a scuola con l’elmetto perché andare a studiare è una diventata una missione dove si può rischiare anche di perdere la vita. Eppure i presidi cosa fanno all’inizio dell’anno scolastico? Continuano a protestare per riavere le mascherine nelle scuole. Nella mente ancora e solo il Covid. Potrebbe sembrare una barzelletta, ma purtroppo non lo è. I pediatri ritenevano, qualcuno fortunatamente ancora, che la scuola e i suoi bacilli fossero fondamentali per rinforzare i sistemi immunitari dei piccoli studenti. Con le mascherine abbiamo visto che questa mancanza di «allenamento» li ha resi molto più fragili. Malattie apparentemente normali sono ritornate nelle classi in modo molto più aggressivo. Esemplare fu il virus sinciziale, responsabile di moltissime ospedalizzazioni l’autunno scorso e quello precedente. Ai presidi non importa, loro chiedono le mascherine, mentre intorno tutto crolla.
Da domani in Arabia Saudita al via la final four. A inaugurare il torneo saranno Milan e Napoli, in campo giovedì (ore 20 italiane) per la prima semifinale. Venerdì tocca a Inter e Bologna contendersi un posto nella finalissima di lunedì 22 dicembre.
Il primo trofeo della stagione si assegna ancora una volta lontano dall’Italia. Da domani la Supercoppa entra nel vivo a Riyadh con la formula della final four: giovedì la semifinale tra Milan e Napoli, venerdì quella tra Inter e Bologna, lunedì 22 dicembre la finale che chiuderà il programma e consegnerà il titolo.
Riyadh si prepara ad accogliere di nuovo la Supercoppa italiana,. Tre partite secche, quattro squadre e una posta che va oltre il campo: Napoli, Inter, Milan e Bologna portano in Arabia Saudita storie diverse, ambizioni opposte e un equilibrio che negli ultimi anni ha reso la competizione meno scontata di quanto dicano le statistiche.
Il Napoli arriva da campione d’Italia, il Bologna da vincitore della Coppa Italia, l’Inter da seconda forza del campionato e il Milan da detentore del trofeo. È soltanto la terza edizione con il formato a quattro, ma è già sufficiente per raccontare una Supercoppa che ha cambiato volto: nelle ultime due stagioni hanno vinto squadre che non partivano con lo scudetto cucito sul petto, un’inversione rispetto a una tradizione che per decenni aveva premiato quasi sempre i campioni d’Italia.
Proprio il Milan è il simbolo di questo ribaltamento. Campioni in carica, i rossoneri hanno spezzato una serie di finali perse all’estero e hanno riscritto la storia della manifestazione vincendo prima da finalista di Coppa Italia e poi da seconda classificata in campionato. In Arabia Saudita tornano con l’obiettivo di agganciare la Juventus in vetta all’albo d’oro, dove oggi i bianconeri comandano con nove successi, uno in più di Inter e Milan.
Il primo incrocio, giovedì 18 dicembre, è contro il Napoli. Gli azzurri inseguono invece un ritorno al passato: l’ultima Supercoppa vinta risale al 2014, una finale rimasta negli archivi per durata e tensione. Da allora, tentativi falliti e una presenza costante tra semifinali e finali mancate. Per la squadra di Antonio Conte, il confronto con il Milan è anche un passaggio chiave per evitare una prima volta storica: mai la squadra campione d’Italia in carica è rimasta fuori dall’atto conclusivo della competizione.
Dall’altra parte del tabellone, Inter e Bologna. I nerazzurri sono ormai una presenza abituale nella Supercoppa a quattro, protagonisti nelle ultime due edizioni e detentori di record individuali che raccontano la continuità del loro percorso. Il Bologna, invece, vivrà un esordio assoluto: sarà il tredicesimo club a partecipare alla manifestazione, chiamato subito a misurarsi con una dimensione internazionale che rappresenta una novità anche simbolica per il club. Negli ultimi anni la Supercoppa si è decisa spesso senza supplementari e rigori, ma resta una competizione capace di ribaltare copioni già scritti. Lo dimostrano le rimonte, i gol decisivi negli ultimi minuti e una storia che, pur ricca di record individuali e panchine vincenti, continua a sorprendere.
Fuori dal campo, la tappa di Riyadh diventa anche una vetrina per il calcio italiano. La Lega Serie A ha annunciato iniziative dedicate all’inclusione di tifosi con disabilità sensoriali, che accompagneranno tutte le partite del torneo. Da un lato, l’utilizzo di una mappa tattile interattiva permetterà a tifosi ciechi e ipovedenti di seguire l’andamento della gara attraverso il tatto; dall’altro, magliette sensoriali trasformeranno i suoni dello stadio in vibrazioni per tifosi sordi. Un progetto che coinvolgerà complessivamente trenta spettatori per ciascuna iniziativa, inserendosi nel programma ufficiale della competizione.
A rappresentare visivamente la Supercoppa sarà invece il nuovo Trophy travel case, realizzato dal brand fiorentino Stefano Ricci. Un baule pensato per accompagnare il trofeo nelle tappe internazionali, simbolo di un’italianità che la Serie A continua a esportare all’estero, soprattutto in Medio Oriente, dove la Supercoppa si gioca per il quarto anno consecutivo.
Il calcio d’inizio è fissato. A Riyadh non si gioca soltanto una coppa, ma un racconto che intreccia campo, storia recente e immagine del calcio italiano nel mondo. E, come spesso accade in Supercoppa, i numeri potrebbero non bastare per spiegare come andrà a finire.
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(Apple Tv)
Non è affatto detto che sia così perché, dietro l’obiettivo di rovesciare le formule della fantascienza, si nasconde l’ambizione di una riflessione sul rapporto tra benessere collettivo e libertà individuale, tra felicità globale e identità personale. Il tutto proposto con grande cura formale, ottime musiche e qualche lungaggine autoriale. Possibili, lontani, riferimenti: Lost, per i prologhi spiazzanti e i flashback, Truman Show, per la solitudine e l’apparenza stranianti, Black Mirror, per la cornice distopica. Ma la mano dell’ideatore è inconfondibile.
Ci troviamo ad Albuquerque, la città del New Mexico già teatro dei precedenti plot di Gilligan, ma stavolta la vicenda è tutt’altra. Siamo in un futuro progredito e un certo rigore si è già radicato nella quotidianità. Per esempio, l’avviamento delle auto di ultima generazione è collegato alla prova di sobrietà del palloncino: se si è stati al pub, l’auto non parte. Individuato da un gruppo di astronomi, un virus Rna proveniente dallo spazio, trasmesso in laboratorio da un topo e contagiato tramite baci e alimenti, rende gli esseri umani felici, gentili e samaritani con il prossimo. Le persone agiscono come un’unica mente collettiva, ma non a causa di un’invasione aliena, tipo L’invasione degli ultracorpi, bensì per il fatto che «noi siamo noi», garantisce un politico che parla dalla Casa Bianca, anche se non è il presidente. «Gli scienziati hanno creato in laboratorio una specie di virus, più precisamente una colla mentale capace di tenerci legati tutti insieme». In questo mondo, non esiste il dolore, non si registrano reati, le prigioni sono vuote, le strade non sono mai congestionate, regna la pace. Tutto è perfetto e patinato, perché la contraddizione non esiste. Debellata, dietro una maschera suadente. La colla mentale dispone alla benevolenza e alla correttezza le persone. Che però non possono scegliere, ma agire solo in base a un «imperativo genetico». Soltanto 12 persone in tutto il Pianeta sono immuni al contagio. Ma mentre undici sembrano disposte a recepirlo, l’unica che si ribella è Carol Sturka (Reha Seehorn), una scrittrice di romanzi per casalinghe sentimentali. Cinica, diffidente, omosex e discretamente testarda, malgrado vicini, conoscenti e certi soccorritori ribadiscano le loro buone intenzioni - «vogliamo solo renderti felice» - lei non vuole assimilarsi ed essere rieducata dal virus dei buoni. I quali, ogni volta che lei respinge bruscamente le loro attenzioni, restano paralizzati in strane convulsioni, alimentando i suoi sensi di colpa. Il prezzo della libertà è una solitudine sterminata, addolcita dal fatto che, componendo un numero di telefono, può vedere esaudito ogni desiderio: cibi speciali, cene su terrazze panoramiche, giornate alle terme, Rolls Royce fiammanti. Quando si imbatte in qualche complicazione è immediatamente soccorsa da Zosia (Karolina Wydra), volto seducente della mente collettiva, o da un drone, tempestivo nel recapitarle a domicilio la più bizzarra delle richieste. A Carol è anche consentito di interagire con gli altri umani esenti dal contagio. Che però non condividono il suo progetto di ribellione alla felicità coatta: tocca a noi riparare il mondo. «Perché? La situazione sembra ideale, non ci sono guerre, viviamo tranquilli», ribatte un viveur che sfrutta ogni lusso e privilegio concesso dalla mente collettiva.
L’idea di questa serie risale a circa otto o nove anni fa, ha raccontato Gilligan in un’intervista. «In quel periodo io e Peter Gould (il suo principale collaboratore, ndr.) avevamo iniziato a lavorare a Better Call Saul e ci divertivamo parecchio. Durante le pause pranzo avevo l’abitudine di vagare nei dintorni dell’ufficio immaginando un personaggio maschile con cui tutti erano gentili. Tutti lo amavano e non importa quanto lui potesse essere scortese, tutti continuavano a trattarlo bene». Poi, nella ricerca del perché di questa inspiegabile gentilezza, la storia si è arricchita e al posto di un protagonista maschile si è imposta la figura della scrittrice interpretata da Reha Seehorn, già nel cast di Better Call Saul. Su di lei, a lungo sola in scena, si regge lo sviluppo del racconto. A un certo punto, provata dalla solitudine, ma senza voler smettere d’indagare anche perché incoraggiata dalle prime inquietanti scoperte, Carol cambia strategia, smorzando la sua ostilità…
Il titolo della serie deriva da «E pluribus unum», cioè «da molti, uno», antico motto degli Stati Uniti, proposto il 4 luglio 1776 per simboleggiare l’unione delle prime 13 colonie in una sola nazione. Gilligan ha trasferito la suggestione di quel motto a una dimensione esistenziale e filosofica, inscenando una sorta di apocalisse dolce per riflettere sulla problematica convivenza tra singolo e collettività. Per questo, in origine, Plur1bus era scritto con l’1 al posto della «i».
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Emmanuel Macron (Ansa)
La sola istanza che ha una parvenza di rappresentanza è il Palamento europeo. Così il Mercosur, il mega accordo commerciale con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, più annessi, che deve creare un’area di libero scambio da 700 milioni di persone che Ursula von der Leyen vuole a ogni costo per evitare che Javier Milei faccia totalmente rotta su Donald Trump, che il Brasile si leghi con la Cina e che l’Europa dimostri la sua totale ininfluenza, rischia di crollare e di portarsi dietro, novello Sansone, i filistei dell’eurocrazia.
Il Mercosur ieri ha fatto due passi indietro. Il Parlamento europeo con ampia maggioranza (431 voti a favore Pd in prima fila, 161 contrari e 70 astensioni, Ecr-Fratelli d’Italia fra questi, i lepenisti e la Lega hanno votato contro) ha messo la Commissione con le spalle al muro. Il Mercosur è accettabile solo se ci sono controlli stringenti sui requisiti ambientali, di benessere animale, di salubrità, di rispetto etico e di sicurezza alimentare dei prodotti importati (è la clausola di reciprocità), se c’è una clausola di salvaguardia sulle importazioni di prodotti sensibili tra cui pollame o carne bovina. Se l’import aumenta del 5% su una media triennale si torna ai dazi. Le indagini devono essere fatte al massimo in tre mesi e la sospensione delle agevolazioni deve essere immediata. Tutti argomenti che la Von der Leyen mai ha inserito nell’accordo. Ma sono comunque sotto il minimo sindacale richiesto da Polonia, Ungheria e Romania che sono contrarie da sempre e richiesto ora dalla Francia che ha detto: «Così com’è l’accordo non è accattabile».
Sono le stesse perplessità dell’Italia. Oggi la Commissione dovrebbe incontrare il Consiglio europeo per avviare la trattativa e andare, come vuole Von der Leyen, alla firma definitiva prima della fine dell’anno. La baronessa aveva già prenotato il volo per Rio per domani, ma l’hanno bloccata all’imbarco! Perché Parigi chiede la sospensione della trattativa. La ragione è che gli agricoltori francesi stanno bloccando il Paese: ieri le quattro principali autostrade sono state tenute in ostaggio da trattori che sono tornati a scaricare il letame sulle prefetture. Il primo ministro Sébastien Lecornu ha tenuto un vertice sul Mercosur incassando un no deciso da Jean-Luc Mélenchon, da Marine Le Pen ma anche dai repubblicani di Bruno Retailleau che è anche ministro dell’interno.
Domani, peraltro, a Bruxelles sono attesi almeno diecimila agricoltori- la Coldiretti è la prima a sostenere questa manifestazione - che con un migliaio di trattori assedieranno Bruxelles. L’Italia riflette, ma è invitata a fare minoranza di blocco dalla Polonia; la Francia vuole una mano per il rinvio. Certo che il Mercosur divide: la Coldiretti ha rimproverato il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino che invece vuole l’accordo (anche l’Unione italiana vini spinge) di tradire la causa italiana. Chi invece vuole il Mercosur a ogni costo sono la Germania che deve vendere le auto che non smercia più (grazie al Green deal), la Danimarca che ha la presidenza di turno e vuole lucrare sull’import, l’Olanda che difende i suoi interessi commerciali e finanziari.
C’è un’evidente frattura tra l’Europa che fa agricoltura e quella che vuole usare l’agricoltura come merce di scambio. Le prossime ore potrebbero essere decisive non solo per l’accordo - comunque deve passare per la ratifica finale dall’Eurocamera - ma per i destini dell’Ue.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Questo allentamento delle norme consente che nuove auto con motore a combustione interna possano ancora essere immatricolate nell’Ue anche dopo il 2035. Non sono previste date successive in cui si arrivi al 100% di riduzione delle emissioni. Il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha naturalmente magnificato il ripensamento della Commissione, affermando che «mentre la tecnologia trasforma rapidamente la mobilità e la geopolitica rimodella la competizione globale, l’Europa rimane in prima linea nella transizione globale verso un’economia pulita». Ursula 2025 sconfessa Ursula 2022, ma sono dettagli. A questo si aggiunge la dichiarazione del vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné, che ha definito il pacchetto «un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea». Peccato che, in conferenza stampa, a nessuno sia venuto in mente di chiedere a Séjourné perché si sia arrivati alla necessità di un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea. Ma sono altri dettagli.
L’autorizzazione a proseguire con i motori a combustione (inclusi ibridi plug-in, mild hybrid e veicoli con autonomia estesa) è subordinata a condizioni stringenti, perché le emissioni di CO2 residue, quel 10%, dovranno essere compensate. I meccanismi di compensazione sono due: 1) utilizzo di e-fuel e biocarburanti fino a un massimo del 3%; 2) acciaio verde fino al 7% delle emissioni. Il commissario Wopke Hoekstra ha spiegato infatti che la flessibilità è concessa a patto che sia «compensata con acciaio a basse emissioni di carbonio e l’uso di combustibili sostenibili per abbattere le emissioni».
Mentre Bruxelles celebra questa minima flessibilità come una vittoria per l’industria, il mondo reale offre un quadro ben più drammatico. Ieri Volkswagen ha ufficialmente chiuso la sua prima fabbrica tedesca, la Gläserne Manufaktur di Dresda, che produceva esclusivamente veicoli elettrici (prima la e-Golf e poi la ID.3). Le ragioni? Il rallentamento delle vendite di auto elettriche. La fabbrica sarà riconvertita in un centro di innovazione, lasciando 230 dipendenti in attesa di ricollocamento. Dall’altra parte dell’Atlantico, la Ford Motor Co. ha annunciato che registrerà una svalutazione di 19,5 miliardi di dollari legata al suo business dei veicoli elettrici. L’azienda ha perso 13 miliardi nel suo settore Ev dal 2023, perdendo circa 50.000 dollari per ogni veicolo elettrico venduto l’anno scorso. Ford sta ora virando verso ibridi e veicoli a benzina, eliminando il pick-up elettrico F-150 Lightning.
La crisi dell’auto europea non si risolve certo con questa trovata dell’ultima ora. Nonostante gli sforzi e i supercrediti di CO2 per le piccole auto elettriche made in Eu, la domanda di veicoli elettrici è debole. Questa nuova apertura, ottenuta a fatica, non sarà sufficiente a salvare il settore automobilistico europeo di fronte alla concorrenza cinese e al disinteresse dei consumatori. Sarebbe stata più opportuna un’eliminazione radicale e definitiva dell’obbligo di zero emissioni per il 2035, abbracciando una vera neutralità tecnologica (che includa ad esempio i motori a combustione ad alta efficienza di cui parlava anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz). «La Commissione oggi fa un passo avanti verso la razionalità, verso il mercato, verso i consumatori ma servirà tanto altro per salvare il settore. Soprattutto servirà una Commissione che non chiuda gli occhi davanti all’evidenza», ha affermato l’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi, anche presidente dell’Automotive Regions Alliance. La principale federazione automobilistica tedesca, la Vda, ha detto invece che la nuova linea di Bruxelles ha il merito di riconoscere «l’apertura tecnologica», ma è «piena di così tanti ostacoli che rischia di essere inefficace nella pratica». Resta il problema della leggerezza con cui a Bruxelles si passa dalla definizione di regole assurde e impraticabili al loro annacquamento, dopo che danni enormi sono stati fatti all’industria e all’economia. Peraltro, la correzione di rotta non è affatto un liberi tutti. La riduzione del 100% delle emissioni andrà comunque perseguita al 90% con le auto elettriche. «Abbiamo valutato che questa riduzione del 10% degli obiettivi di CO2, dal 100% al 90%, consentirà flessibilità al mercato e che circa il 30-35% delle auto al 2035 saranno non elettriche, ma con tecnologie diverse, come motori a combustione interna, ibridi plug-in o con range extender» ha detto il commissario europeo ai Trasporti Apostolos Tzizikostas in conferenza stampa. Può darsi che sarà così, ma il commissario greco si è dimenticato di dire che quasi certamente si tratterà di auto cinesi.
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