2018-09-08
Gelato, l’infinita consolazione di Leopardi
Il poeta Giacomo Leopardi leniva la perpetua angoscia con gigantesche coppe di golosa felicità. Figlio del sorbetto, fu perfezionato da un siciliano che lo fece con la neve dell'Etna. Accese le idee di Voltaire, infiammò Bonaparte, ispirò Proust. In America lo portarono gli italiani.«Giacomo, rimembri ancora/ quel tempo di tua vita mortale/ quando la gola e il tuo corpo frale/ volean gelato e ancora, ancora, ancora?». Lasciateci divertire. Il gelato è diletto, distrazione, gioia, appagamento, ottimismo. E Giacomo Leopardi, goloso del dolce freddo, leniva la perpetua angoscia, nell'ultimo periodo della vita, ospite di Antonio Ranieri a Napoli, al caffè Angioli di via Toledo dove ordinava gigantesche coppe di gelato. Gli scugnizzi napoletani deridevano il piccolo, stortignaccolo, immenso uomo, dicendo che il gelato era più grande di lui. Tutta invidia, che non intaccava i momenti di golosa felicità del conte poeta. Si racconta anche, ma pare che la voce sia stata messa in giro dall'amico Ranieri per non far sapere che Leopardi era morto di colera, che Giacomo moribondo, tormentato dalla febbre e dal gran caldo, abbia sussurrato: «Portatemi un gelato». Il medico, sostenendo che gli avrebbe fatto male, ordinò di portargli una cioccolata calda. L'autore dell'Infinito, esalò l'ultimo respiro su questa disillusione.Il gelato è figlio del sorbetto. Lo chiama «babbo», alla toscana. Il sorbetto nasce, con tutta probabilità, chissà quando e chissà dove, da neve e frutta mescolate insieme. La storia del gelato tira in ballo tutti i popoli: egizi, greci, macedoni, romani, cinesi, inca, ottomani. Dall'arabo sherbet, bevanda fresca, deriverebbe sorbetto. I siciliani, maestri di gelati e granite, sostengono che la neve fosse quella dell'Etna. Con il tempo il sorbetto venne perfezionato con lo zucchero. Con gli stessi elementi lo si fa ancora oggi. Il gelato viene al mondo alla fine del 17° secolo, ma ha un ingrediente in più, fondamentale, il latte. A contendersi la sua paternità sono due fiorentini: il pollivendolo - e pasticciere per diletto - Ruggeri e l'architetto Bernardo Buontalenti. Il primo, al seguito di Caterina de' Medici in Francia, umiliò gli chef transalpini preparando al banchetto di nozze (1533) della quattordicenne padrona con Enrico di Valois, futuro re Enrico II, «ghiaccio all'acqua inzuccherata e profumata». Oooh! di meraviglia e tutti in visibilio.Qualche decennio dopo il Buontalenti, pure lui al servizio dei Palleschi, progettista di splendide ville rinascimentali e scenografo di conviti magnificenti, organizzò a Palazzo Vecchio il pranzo di nozze di un'altra fanciulla medicea, Maria de' Medici, con un altro re di Francia, Enrico IV. Il matrimonio fu celebrato per procura, ma il banchetto fu grandioso: decine di portate, alcune parecchio eccentriche, e, meraviglia finale, un dolce freddo creato dal Buontalenti con ghiaccio, miele e frutta. «Conserva del ghiaccio», lo chiamò lo storico Giuseppe Averani. C'era anche il latte come sostiene più di un gelataio fiorentino di parte? Probabilmente no. Sia il dessert gelato del Ruggeri che quello del Buontalenti erano sorbetti.Una cosa è certa: sorbetto e gelato, come s'intendono adesso, sono italiani. Come la pizza, gli spaghetti, il tiramisù, il cappuccino, la mortadella, il risotto... E, come sempre accade in Italia, si creano due scuole di pensiero antitetiche: c'è chi disse che il dolce ghiacciato rovina lo stomaco (Antonio Persio: Del bever caldo, 1593) e chi, come il medico veronese Alessandro Peccana (Del bever freddo, 1627) replicò che favorisce la digestione. Guelfi e ghibellini, sinistra e destra anche nella sorbettiera.Ma il vero padre del gelato, per molti storici dell'alimentazione, è il siciliano Procopio Cutò che, imparata l'arte di fare il gelato con la neve dell'Etna dal nonno Francesco, pescatore di Aci Trezza, l'esportò a Parigi dove aprì nel 1686 il primo caffè moderno, come lo intendiamo noi oggi: il Cafè Procope. I francesi ribattezzarono il siciliano Procope Dei Coltelli interpretando Cutò come la voce omofona couteaux: coltelli, appunto. Il Cafè Procope ebbe vita lunghissima anche dopo la morte del fondatore. I famosi gelati del locale accesero le idee all'illuminista Voltaire. Il filosofo ne era talmente ghiotto che lo avrebbe voluto illegale per aggiungere agli altri gusti anche quello del proibito. Al Procope, elegante, pieno di specchi, s'accomodarono i rivoluzionari Jean-Paul Marat e Maximilien Robespierre, Napoleone Bonaparte, gli scrittori Théophile Gautier, Honoré de Balzac, Alfred Musset, Paul Verlaine, Oscar Wilde... Tutti a rifarsi la bocca e poi, giù, a produrre opere immortali. «Per i gelati», confesserà Marcel Proust dimentico di Swann e di Albertine, «tutte le volte che ne prendo voglio templi, chiese, obelischi. È come una pittoresca geografia quella che guardo per prima, per poi convertire i monumenti al lampone o alla vaniglia in freschezza nella mia gola».Ma intanto, in Italia, sorbetti e gelati erano diventati talmente importanti da diventare letteratura a sé stante. Nel trattato Lo scalco alla moderna di Antonio Latini (1692) c'è un capitolo dedicato alle «varie sorti di sorbetti e di acque agghiacciate» che insegna come produrre i primi mescolando neve, zucchero, sale, succo di limone, fragole, amarene, cioccolata, e come fare il «sorbetto di latte che prima sia stato cotto». Non parla forse del gelato? Nel 1761 Carlo Goldoni mette il sorbetto in poesia: «Oh amabile sorbetto/ nettare prezioso e delicato,/ benedetto colui che t'ha inventato./ Due cose in questo mondo/ meritano il primo onore/ il sorbetto gelato e il caldo amore». Nel 1775, Filippo Baldini, medico napoletano, convinto che il dolce freddo abbia virtù benefiche, pubblica il libro De sorbetti, dividendoli in tre specie: subacidi (alla frutta), aromatici (cioccolato, caffè, cannella) e lattiginosi. Questi ultimi gelati veri e propri.Anche in America il gelato arriva grazie agli italiani nella seconda metà del Settecento. Il genovese Giovanni Basiolo fa conoscere a New York la panera, una sorta di semifreddo al caffelatte nato nella città della Lanterna. Il pasticciere Filippo Lenzi nel 1773 apre, addirittura, una gelateria artigianale reclamizzandosi sui giornali. Ma gli americani impararono in fretta e ottant'anni dopo una signora di Filadelfia, Nancy Johnson, stanca di girare a mano il composto per fare il gelato, mette insieme una sorta di secchio con un'intercapedine per il ghiaccio e il sale e delle pale interne girate da una manovella: è la prima gelatiera moderna. Il merito di aver dato il via alla prima produzione industriale va a un lattaio di Baltimora, Jacob Fussel che trovandosi con una notevole quantità di panna invenduta, per non buttarla via, la congelò. Quando la tolse dalla ghiacciaia, sorpresa!, la cream, era diventata ice. L'ice cream, gelato alla crema. Fu un successo. Nel giro di pochi anni Fussel aprì una fabbrica di gelato dopo l'altra. Grazie a lui le gelaterie si moltiplicarono e il gelato, da aristocratico che era stato per secoli, divenne popolare.Talmente tanto che nel Settecento i musicisti inserivano nelle opere la cosiddetta «aria di sorbetto», una sorta di intermezzo musicale affidato a cantanti di serie B, per permettere al pubblico di godersi il dolce freddo. La storia della canzone italiana è piena di gelati. Anche teatro e cinema. Memorabile, tra le altre pellicole, la scena di Stanlio e Ollio in discussione col truce gelataio: «Che gusto volete?». «Cioccolato». «Non ce l'ho». Dopo una serie di divertenti battibecchi, Ollio decide per entrambi: «Ci dia quello che ha». «Ecco qui». «Che gusto ci ha dato?». «Cioccolato!».Quando mangiate il gelato state attenti: gli psicologi vi osservano. La dottoressa Viviana Finestrella («Dimmi che gelato mangi e ti dirò chi sei») dice che chi si sbafa un cono con cialda cerca l'esperienza sensoriale completa. Chi ama i ricoperti o, comunque, i gelati con lo stecco, è un insicuro. I ghiaccioli? Vanno bene a personalità effimere e indipendenti. Il biscotto è come la coperta di Linus: è per chi cerca rassicurazione. Chi mangia il gelato in coppetta è un perfettino. Chi ha una personalità moderna adora le praline mordi e fuggi. Anche il modo con cui si mangia il gelato è assai rivelatore. Il deciso lo morde. Il socievole e ottimista lo lecca. L'infantile succhia. Chi lo mordicchia è un introverso e timido. E chi lo fa fuori in due bocconi?
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